Archivi del mese: febbraio 2012

Impatto dei Media sul Processo di Scoperta delle Informazioni

Goodreads, rete sociale esclusivamente concentrata sulla lettura ed i libri, ha pubblicato di recente i dati su come i libri vengono scoperti dai propri iscritti, su quali siano i media e le modalità che influenzano il processo di conoscenza, di scoperta di un titolo. I dati emergenti, a mio avviso, sono d’interesse al di là del segmento di mercato editoriale al quale si riferiscono in maniera specifica.

I risultati pubblicati, che si basano sull’osservazione e l’analisi, vale la pena di ricordarlo, di oltre 7 milioni di utenti,  confermano, in caso ce ne fosse bisogno, il valore, il potere del passaparola come veicolo principale di influenza.  Nonostante Goodreads sia molto ben integrato con Facebook, sia il social network più popolato del pianeta che Twitter non sembrano avere un ruolo rilevante nel processo di scoperta, nel suscitare interesse nei confronti dei libri.

Immediatamente dopo amici e canali specializzati, librerie, biblioteche e lo store di Amazon, sono i giornali la prima fonte di apprendimento dell’uscita di nuove pubblicazioni. Elemento che lascia ipotizzare un forte legame tra lettura di quotidiani e libri. Probabilmente chi legge lo fa a prescindere dal mezzo e dal supporto, parrebbe.

Come mostra il grafico di sintesi sottostante l’interesse e l’attenzione dei lettori, degli iscritti a Goodreads, schizza letteralmente alle stelle, indipendentemente dal genere letterario,quando un titolo viene citato da un mass media che sia un’importante broadcaster radiofonico o, ancora una volta, un quotidiano [inter]nazionale.

Elemento che riporta alla mente l’ipotesi, la tendenza che Tom Foremski ha raccolto nella definizione di SoDOMM [The Social Distribution of Mass Media] con social media e social network nel ruolo di mezzi di distribuzione sociale dei mezzi di massa.

Si tratta di aspetti che coniugati all’analisi di quali siano le aree di discriminazione, di qualificazione per trovare e valutare quale sia informazione di qualità per le nuove generazioni, per  i cosiddetti digital natives, possono aiutare ad qualificare la dimensione sociale dell’informazione digitale fornendo gli elementi di qualificazione e di riflessione sui possibili scenari evolutivi identificando al meglio le corrette modalità di promozione e di relazione con il proprio pubblico di riferimento.

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La Guida Passo per Passo all’Utilizzo dei Social Media per le Aziende

Devo ancora capire se sono io che seleziono male amici e potenziali clienti o se invece, come credo, si tratta di una problematica più allargata non solo ristretta alla mia cerchia personale di conoscenze. Qualunque sia la risposta, di fatto verifico quasi quotidianamente ancora oggi ignoranza mista a scetticismo su come utilizzare in chiave di comunicazione d’impresa  social media e social network.

Mi auguro che la pubblicazione dell’infografica sottostante, che riprende passo per passo gli elementi salienti per una corretta gestione in chiave corporate dei social media, possa essere d’ausilio a chi ancora ha difficoltà di comprensione delle logiche e delle dinamiche di quest’area e magari, scusandomi per l’atto di egoismo, mi permetta di risparmiarmi l’ennesima affannata spiegazione sul tema.

L’infografica mi pare sufficientemente chiara e dettagliata per lo scopo per il quale è stata realizzata da essere autoesplicativa senza bisogno di maggiori commenti o approfondimenti. Nella complessiva adeguatezza e correttezza dei diversi passaggi proposti è certamente da rivedere l’ordine dei primi 5 proposti nella grafica, con sicuramente la necessità di definire obiettivi e pubblico di riferimento prima dei mezzi e delle piattaforme da utilizzare. In caso contrario le probabilità di intraprendere un percorso errato sarebbero elevate se non certe. [*]

L’unico elemento che credo valga ulteriormente la pena di sottolineare è che evidentemente l’approccio deve essere circolare ed integrato indipendentemente dalla dimensione aziendale. Il processo di analisi e pianificazione aiuterà a focalizzare meglio gli obiettivi ed a misurare meglio i risultati ritarando, se del caso, le azioni successive.

Buon lavoro.

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Social TV Best Practices

Al-Jazeera English, canale in lingua inglese dell’emittente televisiva araba, ha vinto il premio della britannica Royal Television Society come “news channel of the year” affermandosi, tra gli altri, contro Sky News e BBC.

Informazione di qualità e social TV coniugate con sapienza sono gli elementi distintivi che hanno costruito un anno di successi per l’emittente. Questo l’argomento intorno al quale ruota l’articolo della mia colonna settimanale all’interno degli spazi dell’European Journalism Observatory pubblicato oggi.

Se il tema è di vostro interesse e voleste approfondire non vi resta che leggere QUI.

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Morte & Resurrezione della Carta

Sono tempi in cui il lancio di una pubblicazione su carta fa notizia.

E’ stato lanciato ieri «The Sun on Sunday» erede, sostituto naturale in casa Murdoch del frettolosamente chiuso a luglio dell’anno scorso «News of the World»  in seguito allo scandalo delle intercettazioni dal quale è stato travolto.

Dopo la chiusura del settimanale l’80% degli investimenti pubblicitari che vi erano allocati e ben 800mila lettori sono scomparsi, evaporati nel nulla senza che nessuno dei concorrenti esistenti, quale ad esempio il  «Sunday Mirror», riuscisse a recuperarne una quota significativa.

Secondo quanto annunciato su Twitter personalmente da Rupert Murdoch il primo numero di ieri di «The Sun on Sunday» avrebbe venduto la bellezza di 3 milioni di copie.

Ovviamente si tratta di dati di vendita che probabilmente si ridimensioneranno nelle prossime uscite poichè è noto che al lancio si ottengano risultati superiori a quelle che poi saranno le vendite fisiologiche, ciò nonostante sia il tasso di sostituzione di investimenti e lettori tendente a zero, che il successo del primo numero credo debbano far riflettere.

Se indubbiamente non si può pensare solamente di riarredare il Titanic, altrettanto si tratta, come si suol dire volgarmente, di non buttare via il bambino con l’acqua sporca, come mi pare venga fatto abitualmente da coloro afflitti da tabletmania o altre simili affezioni patologiche.

Come ho già avuto modo di dire , sarò della vecchia scuola, forse, ma mi hanno sempre insegnato che per innovare, per costruire il futuro è necessaria una attenta gestione del portfolio prodotti/canali. Mi pare si chiami matrice di boston ed anche in tutti i suoi adattamenti non mi risulta che contempli la possibilità di buttare alle ortiche l’80% delle revenues.

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Libertà Complementare

La pioggia di emendamenti rischia di annacquare e intorbidire i provvedimenti del Governo relativi alle liberalizzazioni.

Tra tutti gli emendamenti proposti, per quanto riguarda gli interessi dello scrivente e degli argomenti trattati all’interno di questi spazi, è quello relativo alle edicole che pare essere a rischio di snaturare in maniera significativa lo spirito ed il significato della prima stesura. Emendamento “bipartisan” presentato da Simona Vicari [PDL] e Filippo Bubbico [PD] del quale, forse non casualmente, i giornali non parlano nonostante l’ampia copertura generale del tema, che rappresenta una pericolosa marcia indietro rispetto alla concezione originaria.

L’emendamento proposto infatti eliminerebbe la possibilità precedentemente prevista da parte dei giornalai di rifiutare i prodotti collaterali ricevuti, quell’accozzaglia di perline ed amuleti che inonda quotidianamente le edicole in viurtù di una pretestuosa ed anacronistica interpretazione della parità di trattamento, così come la possibilità di defalcare il valore del materiale restituito ai distributori locali in compensazione dei pagamenti delle nuove consegne.

Sono elementi che alleggerirebbero di non poco la pressione finanziaria alla quale 30mila le edicole sin qui sopravvisute sono sottoposte e, soprattutto, restituirebbe dignità imprenditoriale ad una categoria troppo spesso vituperata dagli altri attori del sistema favorendo il necessario processo di modernizzazione che dovrebbe essere alla base delle proposte di liberalizzazione e del quale la filiera editoriale ha tanto bisogno.

Se le modifiche venissero approvate i giornalai italiani,  che inizialmente erano stati promossi a lavoratori autonomi, che avevano facoltà di  decidere del loro destino, che, pur nei i limiti della legge, potevano scegliere cosa far entrare nelle loro rivendite e cosa no, ritornerebbero al loro status di peones per garantire a loro spese flussi di cassa ad editori disonesti inquinando, forse in maniera definitiva, la possibilità di un’evoluzione positiva di tutto il sistema.

Mi segnala un rappresentante della categoria che Pietro Barcellona, un giurista, docente di diritto, scrive che “la certezza di esistere non è data dal denaro,ma dall’universo simbolico”, da quell’insieme di segni, usi, consuetudini, simboli insomma che sono capaci di mantenere un individuo nel suo mondo. La parete è ora liscia, buona per precipitare a terra con un grande tonfo. I ganci sulla parete messi da chi aveva scritto la prima parte del decreto, erano l’ universo simbolico dei giornalai. Se fosse confermato che ora non c’è più, sarà impossibile ripristinarlo.

Un concetto di libertà complementare agli interessi deviati, ancora una volta, di pochi. Un’opzione senza ritorno che chiunque abbia a cuore uno sviluppo sano e sostenibile del nostro Paese non può accettare.

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Voilà la Réclame

Disponibili pubblicamente le prime anticipazioni sull’andamento del mercato pubblicitario per mezzo nel nostro paese dell’anno appena trascorso.

Il mercato pubblicitario italiano nel 2011, secondo le rilevazioni della Nielesen,  complessivamente si chiude con una riduzione degli investimenti a totale tipologie di comunicazione [commerciale nazionale, locale, rubricata e di servizio] del -3,8%.  Un risultato che è comune alla raccolta di tutti i media ad esclusione di Internet.

La televisione rimane abbondantemente il mezzo che assorbe la maggior quantità di investimenti pubblicitari, con una quota superiore al 50% sul totale, nonostante un calo nella raccolta pubblicitaria del -3,1%. La stampa riporta risultati negativi: i periodici sono quelli che nell’anno hanno subito meno perdite, fermandosi a un -3,7%,  i quotidiani registrano un calo del 5,8% e la free press crolla letteralmente registrando una flessione quasi del 43%.

Internet, come anticipato, è l’unico mezzo in crescita con un +12,3% rispetto al 2010 con una dimensione in valori assoluti degli investimenti che è quasi pari a quella della radio e circa un quarto del totale della raccolta della carta stampata [quotidiani + periodici]. Paragone utile, oserei dire necessario, per [ri]dare un senso alla dimensione dopo che  si assiste ad annunci continui di sorpassi del Web sulla stampa che, evidentemente, non si riferiscono alla nostra realtà nazionale.

Internet aumenta anche il numero di aziende, il numero di inserzionisti  rispetto all’anno precedente seppure in maniera modesta: +4,5% [3762 vs 3600]; inoltre in quasi la metà dei casi  [42,7% ] si tratta di imprese, di marchi che investono esclusivamente su questo mezzo. Logica di investimento che è vicina quelle che investono nella stampa, soprattutto periodica, e al contrario distante dalle aziende che investono in televisione con meno di un quinto [18%] che ha una pianificazione mono mediatica.

Elemento che, da un lato, consente di comprendere come sulla Rete e, in parte, sulla stampa siano veicolati prevalentemente piccoli budget ancora oggi, e dall’altro lato, evidenzia un potenziale problema di efficacia di tale modalità di pianificazione, di investimento, essendo noto che una gestione multimediale, una comunicazione che utilizza un ventaglio di mezzi, solitamente, ha maggiori probabilità di successo, a parità di condizione evidentemente.

Sono aspetti che di riflesso forniscono una dimensione alle attese di ricavi del comparto editoriale dal Web nel nostro Paese.

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Credibilità, Fiducia & Qualità dell’Informazione

In base ad una ricerca tesa a verificare quale media sia ritenuto più credibile durante la campagna elettorale effettuata negli Stati Uniti il primato della credibilità resta ai mezzi tradizionali. In particolare  sono i giornali tradizionali nel formato cartaceo a detenere il primato relativo della credibilità con il 22% dei rispondenti che li ritiene molto credibili mentre blog e social media vengono ritenuti i meno affidabili con solo il 6% degli intervistati che vi ripone fiducia assoluta e ben oltre un terzo che ritiene che abbiano addirittura effetti negativi sulla qualità delle informazioni.

Si tratta di una tendenza che conferma quanto era emerso recentemente dai risultati della dodicesima edizione del Trust Barometer condotta da Edelman secondo i quali le fonti di informazione tradizionale sono quelle alle quali continua ad essere riconosciuto complessivamente il maggior tasso di fiducia nonostante tutto.

Risultati che nel loro insieme, come giustamente rileva Fabio Cavallotti, indicano quanto il “brand” editore mantenga un considerevole valore sul mercato, asset tutt’altro che trascurabile in prospettiva futura.

Ed è proprio con un occhio al futuro che The Berkman Center for Internet & Society dell’Università di Harvard ha condotto una ricerca sui giovani sotto i 18 anni per esplorare e mappare quale fosse il loro utilizzo e valutazione dell’informazione.

«Youth and Digital Media: From Credibility to Information Quality», questo il titolo dello studio,  ha analizzato l’impatto di Internet relativamente alla ricerca di informazioni, al loro utilizzo e  quale la relazione esistente con la creazione di contenuti.

Lo studio ha analizzato l’idea di qualità dell’informazione da quattro angolature distinte così da offrire un panorama davvero esaustivo che, secondo quanto affermano i ricercatori, possa essere anche di riferimento per ulteriori analisi future. In particolare è stata esaminata:

  1. La prospettiva etnografica: che definisce la qualità dell’informazione in base a quali criteri guidano la scelta verso un determinato tipo di informazione rispetto ad un’altra.
  2. La prospettiva adulto – normativa: che definisce la qualità dell’informazione in termini di aspettative di risultato e norme
  3. La prospettiva sistemica: che definisce la qualità dell’informazione in termini concettuali, astratti
  4. La prospettiva prescrittiva: che definisce la qualità dell’informazione  in funzione di quanto sia in grado di migliorare la condizione di vita dell’individuo, giovane o adulto che sia.

Il rapporto conclusivo integrale elaborato si compone di circa 150 pagine tutte da leggere ed interpretare per chi è interessato al tema.

L’infografica sottostante, per i più pigri o i meno coinvolti, riassume le evidenze salienti emergenti identificando con chiarezza quale siano le quattro aree di discriminazione, di qualificazione per trovare e valutare quale sia informazione di qualità per le nuove generazioni, per  i cosiddetti digital natives.

Una definizione ed un percorso fluidi, fatti di esperienza, interattività ed aspetti visivi che qualificano l’idea di informazione, concetto distinto da notizia come ho più volte sottolineato nel tempo, costruendo un concetto di qualità la cui base trova elemento fondamentale nella creazione e propagazione dell’informazione passando anche attraverso nuovi strumenti e mezzi quali i giochi.

Sono aspetti che aiutano a qualificare la dimensione sociale dell’informazione digitale fornendo gli elementi di qualificazione e di riflessione sui possibili scenari evolutivi.

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El Pais: Da Media a Rete Sociale

Che un importante evoluzione per l’edizione online di «El Pais» fosse prossima si era capito dall’apertura ad hoc di un blog: “el cambio por dentro” [il cambio visto da dentro] aperto a metà di questo mese che lo esplicitava chiaramente.

Da ieri, da questa notte, tutti i cambiamenti realizzati al sito web del quotidiano spagnolo sono stati rilasciati e dunque visibili a tutti.

Una riorganizzazione fondata su tre pilastri, su tre aree concettuali:

  • Area Tecnologica: Con un nuovo CMS, un nuovo sistema di gestione dei contenuti, ma soprattutto con la centralità di Eskup, la rete sociale attiva da tempo che riunisce per interessi le diverse communities di utenti del quotidiano.
  • Ristrutturazione dell’organizzazione dell’informazione: Basata sulle etichette, sulle tag.
  • Riorganizzazione del modello di lavoro interno.

Tre aspetti evidentemente complementari, tutti necessari, per usare una nota metafora, a far reggere lo sgabello, a sostenere l’evoluzione di «El Pais» nella direzione desiderata. Spiegati ed approfonditi da Javier Moreno, Direttore del quotidiano, e da un manuale d’uso realizzato ad hoc per l’occasione.

Certamente nel layout proposto del sito web, a mio parere, vi sono alcune aree da revisionare e migliorare, a cominciare dall’eccessiva lunghezza della home page che costringe il lettore ad un numero di scroll eccessivi e che denuncia la persistenza di un carico pubblicitario sulla pagina principale del quotidiano che è a sua volta evidenza della persistenza del dilemma del prigioniero.

Altrettanto certamente, sempre dalla mia prospettiva ovviamente, è molto interessante ed importante che a monte della concezione della revisione dell’edizione online vi sia un idea di sinergia, di complementarietà e convergenza che si esprime nell’idea di lavorare in maniera univoca sul brand del quotidiano rendendo concettualmente indifferente se la fruzione avvenga in formato digitale o cartaceo.

Soprattutto, è fondamentale l’idea di evoluzione da media a rete sociale che la rilevanza data ad Eskup sottintende e che personalmente, se posso ricordarlo, avevo avuto modo di raccomandare come uno dei key pillars sui quali lavorare evidenziandone il ruolo fondamentale per il recupero di una relazione con le persone e, di riflesso, base indipensabile ad un recupero dei ricavi.

Personalmente non ho dubbi, «El Pais» è sulla strada giusta da tempo e queste revisioni presentate oggi rappresentano la naturale evoluzione di un approccio strategico di apertura, trasparenza e relazione con il lettore, con le persone.

Il quotidiano diviene, o torna ad essere a seconda dei punti di vista, “luogo” che favorisce il contatto e la relazione  con e tra le persone sulla base dei loro distinti interessi. Mi sento pronto a scommettere darà i suoi frutti, anche, economicamente.

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Investimenti Pubblicitari & Media

Pressochè contemporaneamente alle mie riflessioni sul contorto meccanismo che spinge gli editori a privilegiare la quantità, i volumi di traffico al proprio sito, rispetto alla qualità della relazione con le persone, con i lettori, una ricerca pubblicata da Flurry aggiorna i dati che citavo nell’articolo all’interno degli spazi dell’European Journalism Observatory.

Dati che analizzando la relazione tra tempo speso per ciascun media e livello di investimento pubblicitario, confermano ulteriormente come l’online, ed in particolare ancor più tutta l’area legata al web in mobilità, parrebbe abbia prospettive di raccolta pubblicitaria davvero rilevanti. E’ sempre la carta stampata che ne esce con minori prospettive poichè pare essere il media che in assoluto oggi assorbe investimenti apparentemente sproporzionati rispetto al tempo che le persone vi dedicano.

L’impatto concettuale che pare emergere sulle prospettive future di investimenti pubblicitari e media è di tale portata da aver spinto anche il «Washington Post» a riprenderne la tavola di sintesi sottoriportata che, appunto, evidenzia un rapporto di 5:1 tra livello di investimenti e tempo per la carta stampata. Fondamentalmente nulla di nuovo se non per l’aggiornamento degli eCPM medi a seconda della stratificazione socio-demografica della popolazione di riferimento.

Oltre ai concetti precedentemente espressi sul tema, che confermo assolutamente, dei quali vi risparmio la ripetizione rimandandovi alla lettura del precitato articolo di lunedì, l’aggiornamento consente di riprendere ed approfondire altri aspetti che per sintesi non avevo esplicitato.

In breve.

Allo stato attuale ogni deviazione dalla copertura di notizie, di informazioni che massimizzino l’audience implica inevitabilmente la perdita di una quota, più o meno rilevante, del volume di visite e dunque dei corrispondenti ricavi pubblicitari. Si tratta di un fatto noto, risaputo, forse tanto da essere banale, ma che esplicitato con chiarezza, mi pare dia la dimensione del rapporto e dei vincoli che nel tempo si sono costruiti, assolutamente anche in Rete, tra investimenti pubblicitari e media e dell’impatto che inevitabilmente questo genera come influenza sull’informazione proposta e trasmessa.

Inoltre, senza arrivare agli eccessi concettuali di pensiero espressi dal neo Presidente FIEG, Giulio Anselmi, e dal Prof. Derrick de Kerckhove, che durante la conferenza stampa della filiera della carta [Editoria, Stampa e Trasformazione] svoltasi a Roma pochi giorni fa hanno magnificato, in parte evidentemente puor cause, il ruolo e la supremazia della carta affermando che ” la carta è il mezzo capace di stimolare il pensiero e articolarlo, è il mezzo che crea l’individuo”, è indubbio che i dati [ri]proposti da Flurry siano fuorvianti.

Certamente è notoriamente insito nei benefici della stampa la possibilità di soffermarsi, leggere, approfondire e, se del caso, conservare, un valore che nel caso della comunicazione pubblicitaria diviene anche rassicurazione oltre che approfondimento. Elemento al quale si abbina la conferma di pochi giorni fa di una ricerca che fa emergere come la maggior parte dei lettori di giornali e riviste su tablet sia insoddisfatta da questo tipo di esperienza, e continui a preferire la versione cartacea.

Come concludeva Piero Vietti nel suo focus di ieri su carta stampata e online/digitale “Il futuro dei giornali [ e della carta stampata in generale, aggiungo io] si gioca su questo crinale, tra vecchio mercato da non deludere e nuovo da conquistare. Vincerà chi saprà soddisfarli entrambi”. E’ un aspetto che se analizzato solo sulla base della relazione tra tempo e denari puntati su ciascun cavallo, su ciascun media, rischia di portare fuori strada chi si affidasse solo a tale criterio.

Update –  Ieri a commento dell’articolo l’amico Fabio Cavallotti scrive: “Da questo dibattito, [dilemma?], si gioca molto del futuro non solo dell’editoria come apparato industriale, ma pure dell’informazione e della circolazione della cultura. Se per ipotesi il modello audience/cpm/quantità diventasse l’unica architrave dell’ecosistema, si porrebbe il problema della soluzione di continuità tra chi accede – perché può per soldi e per preparazione scolastica – agli strumenti di approfondimento e tra chi – per i motivi opposti – resta nel recinto di del trash e della facile manipolazione. Fino a oggi – con processo che si è formato e accelerato negli anni ’60 – il modello ha permesso – pur con limiti e imperfezioni – un accesso al sapere tendenzialmente interclassista. Ma domani? La piega che tra prendendo la scuola pubblica ci sta già annunciando il domani? ” – E’ assolutamente un ulteriore potenziale pericolo di un approccio esclusivamente quantitativo che avevo omesso. Grazie a Fabio per averlo ricordato.

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Il Punto di Arrivo o Il Punto di Partenza?

Il futuro dell’informazione è digitale. E’ questo probabilmente l’unico punto sul quale la stragrande maggioranza di giornalisti ed esperti del settore pare essere d’accordo.

Come sappiamo, non sono noti i contorni, i tempi e, soprattutto, allo stato attuale non è chiaro con quale sostenibilità economica, ma non passa giorno senza che venga sostenuta a gran voce la scomparsa, più o meno prossima, della carta ed i vantaggi, le opportunità e le prospettive del digitale.

Approccio, oserei direi quasi “ideologico”, che è spesso sintetizzato nel concetto di digital first del quale «The Guardian» è diventato quasi sinonimo e bandiera per il coraggio e la determinazione nell’affrontare tale percorso.

Certamente, come recita la frase di Clay Shirky sopra riportata [NB: cliccando sull’immagine avrete accesso alla presentazione completa della quale vi consiglio la lettura se vi fosse sfuggita in precedenza] , il modello sul quale si è basata la carta stampata negli ultimi 100 anni non funziona e non è più funzionale ad editori, investitori pubblicitari e persone, nel nuovo ecosistema dell’informazione.

Altrettanto certamente si è generalmente ampiamente travisato il significato dell’idea di digital first sia perchè è stato complessivamente, come spesso avviene, tralasciato l’impatto e le implicazioni sull’organizzazione del lavoro delle redazioni che, soprattutto, per la persistente tendenza a ragionare in termini di contrapposizione invece che di sinergia e complementarietà tra carta e digitale, tra vecchio e nuovo.

L’equivoco di fondo è però, direi, di maggior ampiezza e portata.

Si continua fondamentalmente a concentrarsi sul mezzo, sulle soluzioni, tavolta sulle “trovate”, che la tecnologia offre, dimenticando troppo spesso, ho l’impressione, che tutto quello di cui si discute, tutto quello che è è fonte di ragionamenti più o meno condivisi o condivisibili non può prescindere da un punto: le persone.

Devo ancora riflettere, approfondire, per dirmi se sia il punto di partenza o il punto di arrivo, certamente l’idea di mettere al centro i lettori, le persone, il passaggio dal digital first ad un più fondamentale audience first, o ancora meglio, appunto, people first, è imprescindibile per editori, imprese che investono in comunicazione pubblicitaria e, ovviamente, per le persone stesse.

Se, come si va ripetendo da tempo, l’ecosistema dell’informazione, e l’equilibrio di gestione delle redazioni tra costi e ricavi aggiungo io, non può prescindere dalla collaborazione con le persone. Se le persone, la loro attenzione ed il loro coinvolgimento, sono il bene che gli editori da sempre [s]vendono agli investori. Se, come credo, senza persone interessate e coinvolte, non esistono di fatto notizie.

Allora, che sia il punto di arrivo o quello di partenza diviene trascurabile, resta fondamentale [ri]mettere, anche nel caso del giornalismo, al centro le persone troppo a lungo, nella migliore delle ipotesi, trascurate.

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