Archivi del mese: ottobre 2012

Dal Web alla Carta

Di ritorno dalla “gita” milanese al convegno dell’ANES per parlare davanti ad un’attenta platea di 150 editori delle opportunità,  dei modi, e soprattutto delle ragioni, della mia previsione di un futuro “ibrido”, anche, per l’editoria tecnica professionale specializzata, ha attirato la mia attenzione una neo nata pubblicazione: «Spam Magazine».

La rivista, che viene pubblicata con cadenza mensile, è stata lanciata il 10 ottobre, ha una foliazione di 112 pagine ed un formato di 14,8 x 21 cm. Per il primo numero è stata fatta una tiratura di 10mila copie distribuite gratuitamente a Milano in 100 punti di distribuzione e attraverso delle hostess negli atenei universitari della città.

Mentre le riviste passano dalla carta al digitale, SPAM passa dal digitale alla carta. Il free magazine nasce  per portare su carta i pensieri e le idee più interessanti della rete: recensioni, articoli, grafiche, fotografie, illustrazioni, ricette, video, per un totale di 12 sezione che vanno dall’attualità all’ambiente passando per letteratura e multimedia.

«Spam Magazine» si propone come il primo magazine da sfogliare con uno smartphone: per collegarsi alla fonte degli articoli e delle foto proposte nel magazine, per fruire di contenuti multimediali extra, per connettersi direttamente a landing page commerciali, giochi interattivi creati ad-hoc dagli inserzionisti o per visualizzare pagine pubblicitarie che sfruttano la tecnologia della realtà aumentata. Per  ogni articolo grazie all’utilizzo dei QR codes, o meglio action codes come li ho ormai ribattezzati, sono forniti contenuti supplementari fruibili con il proprio smartphone.

Molto interessante anche l’approccio alla comunicazione pubblicitaria che più che basarsi sui format tradizionali, sulle classiche pagine pubblicitarie, si propone di integrare il più possibile gli annunci promozionali con i contenuti del magazine al fine di rendere più naturale e interessante la loro presenza, rendendo così la proposta più in sintonia con i lettori e dunque di maggior appeal per gli investitori pubblicitari, per le aziende.

Interessante esempio concreto di convergenza editoriale e conferma di come sia possibile innovare anche sulla carta.

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Il Cambiamento nelle Abitudini di Lettura delle Notizie

Mobiles Republic, impresa che sviluppa applicazioni per la lettura delle notizie, ha condotto un’indagine in 5 nazioni del mondo, Italia compresa, intervistando complessivamente 1354 individui, per capire meglio i cambiamenti apportati dal digitale alle abitudini di lettura delle persone.

L’infografica sottostante ne riassume i principali risultati. Nel complesso sono le notizie nazionali ad avere il maggior appeal, a riscuotere il maggior interesse per le persone. Sono i francesi la popolazione che invece, tra i Paesi esaminati, mostra il maggior interesse per le notizie internazionali.

Tra le persone che spendono tra 5 minuti e mezz’ora al giorno per avere notizie si conferma come venga usata una pluralità di fonti. Televisione e radio si attestano oltre il 50% per preferenza come fonte d’informazione, i giornali [di carta] sono al 37%.

Accuratezza delle notizie e  aggiornamento tempestivo dell’informazione sono i due principali criteri di valutazione. A questi su aggiunge come terzo elemento di scelta la gratuità, la possibilità di non dover pagare. Attitudine particolarmente spiccata proprio nel nostro Paese, in Italia, dove il 68% degli intervistati lo indica come elemento preferenziale e discriminatorio.

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Il Futuro è Ibrido

Mutuando l’idea, il concetto, da quello automobilistico di veicoli a propulsione ibrida, dunque con due sistemi di spinta complementari, ho deciso di titolare il mio intervento di domani 30 ottobre al convegno dell’ANES, Associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata, “Il Futuro è Ibrido”.

Intervento nel quale parlerò delle opportunità offerte dalla convergenza e dalla crossmedialità anche attraverso esempi concreti di come l’utilizzo dei QR codes, che mi è piaciuto definire “action codes“, della realtà aumentata, e di altre soluzioni possano creare valore aggiunto per le pubblicazioni cartacee.

Tenendo conto che, come sempre avviene, sono un punto di appoggio al ragionamento, qui sotto trovate le slide.

Sempre in tema, si consiglia la lettura di “The World Is Not Enough: Google and the Future of Augmented Reality”

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Il Primo Criterio per l’Utilizzo Aziendale dei Social Media

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ottobre 28, 2012 · 8:30 am

Il Muro del Pianto

Il futuro del giornalismo, e dei giornali è online.

Adesso lo dice anche l’ultimo album di Superman che lascia il suo lavoro al Daily Planet per fondare, si dice, un nuovo «Huffington Post» o «Drudge Report» e c’è anche chi gli spiega, giustamente, le differenze tra lavorare in un giornale tradizionale ed in una redazione liquida.  Storia che in questa settimana ha fatto il giro del mondo presa ad esempio delle evoluzioni in corso.

Se Superman in passato qualche problema di lavoro l’aveva già avuto, un paio di giorni fa la Asociación de la Prensa de Madrid ha aperto “El Muro de las Lamentaciones de los Periodistas” [il muro delle lamentele dei giornalisti]. Muro virtuale in cui si possono inserire video, foto o testi, spazio di denuncia sulla situazione professionale e lavorativa dei giornalisti spagnoli.

Uno dei primi messaggi ad apparire sulla bacheca richiama l’hastag #gratisnotrabajo [non lavoro gratis] popolarissimo su Twitter da mesi.

Le due facce della stessa medaglia della difficile transizione al digitale dei giornali e del dilemma del prigioniero, richiamato nell’articolo di ieri, che come avviene in ogni comparto industriale impatta direttamente sulle condizioni di chi vi lavora[va].

Ad integrazione, si suggerice la lettura di: “What’s Really Killing Print Journalism”, bella analisi sul tema ricca di approfondimenti possibili.

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Leggere [Bene] i Numeri del NYTimes

I dati diffusi ieri dal «The New York Times» sui suoi risultati economici nei primi nove mesi del 2012 confermano quello che, utilizzando una metafora, ho da tempo deciso di definire il dilemma del prigioniero, pietra miliare della teoria dei giochi che illustra egregiamente il falso paradosso della probabilità contro la logica. Un modello che pare perfettamente calzante all’attuale difficoltà di definire se e come sia possibile rimpiazzare i ricavi della carta con quelli del digitale.

Rispetto allo stesso periodo del 2011 i ricavi pubblicitari registrano una flessione del 7,1%, con un calo del 10,9% per la versione cartacea accompagnato, altrettanto dal calo per la versione online/digitale del 2,2%.

Nello stesso arco temporale gli intrioti dalle vendite del quotidiano crescono dell’8,5%. Vi sono attualmente 566,000 abbonamenti a NYTimes.com mentre le copie del cartaceo si aggirano intorno alle 780mila nei giorni feriali e raggiungono 1,27 milioni di copie la domenica.

Tendenza che si era già evidenziata, seppur in maniera meno accentuata, nel trimestre precedente.

Questi numeri, personalmente, mi dicono alcune cose che vorrei condividere e sulle quali, spero, di aprire un confronto leale e costruttivo. Come si suol dire, i miei 2 cents.

Se calano anche i ricavi dall’advertising online significa che continuano ad esserci tensioni sui listini anche per un grande quotidiano. Guerra dei prezzi, per usare un termine forte, determinata essenzialmente dalla percezione, sia da parte delle persone che degli investitori pubblicitari di uno scarso, ridotto valore rispetto ad altri media come era già emerso con chiarezza anche dal report della Nielsen sul tema.

Dall’altro lato, anche se putroppo il NYTimes non fornisce lo spaccato dei ricavi dalla versione cartacea e da quella online/digitale, pare che il numero delle persone disponibili ad attivare un abbonamento alla versione online si stia plafonando nonostante la forte promozionalità effettuata dal quotidiano statunitense. Inoltre, gli abbonamenti all’edizione digitale del «The New York Times»  rappresentano comunque “solo” il 30% degli abbonamenti dell’edizione cartacea il cui prezzo ad inizio marzo è stata aumentato di altri 50 centesimi arrivando a 2,50$ a copia [5$ la domenica]. Visti i rapporti di copie e di prezzo è molto probabile che in realtà la crescita dei ricavi dalle copie vendute sia per la maggior parte generata dalla versione cartacea.

Siamo in un periodo storico in cui si parla molto di dati, e di open data. Impariamo a leggere bene i numeri.

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Quando Old & New Media si Incontrano

Non c’è dubbio che si stia assistendo a un massiccio spostamento delle modalità di consumo dei media. I vecchi media, ed in particolare la carta stampata,  sono sotto pressione sia per la migrazione delle persone verso Internet che per la riduzione dei ricavi pubblicitari, con le imprese alla ricerca sia di soluzioni più economiche che più efficaci attraverso il digitale che a loro volta diventano editori.

In questo spazio si è dedicata buona attenzione a soluzioni che possono integrare new e old media, a cominciare dalla realtà aumentata, evidenziandone i vantaggi di creazione di valore aggiunto sia sotto il profilo giornalistico, con la possibilità di mostrare contenuti aggiuntivi che sulla carta non trovano spazio, che per quanto riguarda la comunicazione pubblicitaria con le imprese che, volendo, ad esempio, possono portare le persone direttamente sul loro sito web dallo smartphone.

Dopo che già il mese scorso la copertina di «Glamour» aveva realizzato la propria copertina in realtà aumentata, che consentiva alle lettrici di accedere ad un video di Jovanotti, ora nel numero in edicola da ieri  tutte le pagine pubblicitarie del mensile sono in realtà aumentata, con contenuti video interattivi [spot, backstage, pillole di campagne pubblicitarie, navigazione di siti e condivisione di contenuti] ed anche la copertina permette di vedere il video di backstage del servizio fotografico di Rita Ora. Copertina che, secondo quanto riportato, d’ora in poi avrà in maniera permanente le caratteristiche di interattività ed approfondimento consentite dall’utilizzo della augmented reality.

Sul tema Simply Zesty ha pubblicato recentemente una raccolta dei casi più significativi  che credo valga la pena di riprendere per [di]mostrare ulteriormente validità, efficacia e possibilità di utilizzo esistenti integrando diversi supporti quali carta, online e mobile.

1) Wonderbra

La famosa marca di reggiseni push up ha rilasciato una app decoder che permetteva agli utenti di smartphone di “spogliare” la modella slovacca Adriana Cernanova. L’annuncio era disponibile in formato cartaceo, formato esterno e video.

2) Lexus

L’annuncio realizzato da Lexus è una brillante combinazione che illustra le possibilità di espandere i contenuti di una rivista ai tablet.

3) Reporters Without Borders

Come si fa a trasmettere il messaggio che le persone vengono messe a tacere da brutali dittatori? Con uno dei più intelligenti usi di codici QR, un app e un annuncio su una rivista dando, letteralmente, voce al problema

4) IKEA

Il Catalogo IKEA è uno degli elementi chiave del suo successo. L’impresa svedese ha lanciato un catalogo interattivo di massa per l’edizione 2013.

5) Murat Parigi Gioiell

Piuttosto che cercare di portare le persone nei punti vendita, questo marchio ha creato un applicazione per iPhone che consente agli utenti di provare i gioielli. Gli utenti possono scorrere i vari prodotti all’interno dell’annuncio nella rivista.

6) Volkswagen

Una delle più grandi sfide per le marche di auto è convincere la gente in showroom. E se questo concetto è stato ripensato e la gente potrebbe provare su strada la vettura all’interno di un annuncio stampa? Questo è esattamente quello che ha fatto Volkswagen con questa applicazione innovativa e annunci stampa.

7) Entertainment Weekly

La rivista di cinema e televisione statunitense ha addirittura inserito nella propria edizione di due settimane fa uno smartphone che consentiva di vedere il live stream su Twitter di un programma. Social TV e Stampa insieme.

Il tema di come innovare sulla carta mi è particolarmente caro. Avrò occasione di approfondire ulteriormente durante il mio intervento, dal titolo, appunto, “Il futuro è ibrido”, al convegno dell’ANES il 30 ottobre prossimo. Se venite ci vediamo lì.

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Aperture Responsabili

Sempre meno diamo per scontato che le informazioni che ci arrivano dalle “fonti ufficiali” siano corrette sia sotto il profilo dell’imparzialità che ancorpiù della veridicità. L’era del “l’ha detto la televisione”, come sinomimo di fattualità oggettiva è sempre meno valida per una quota crescente degli italiani.

Se vengono dunque a mancare i gatekeepers chi stabilisce cosa sia “la verità“? Secondo molti questo obiettivo può essere raggiunto con una maggiore apertura, in termini di coinvolgimento e contribuzione delle persone, di quelli che ci si ostina a chiamare audience, da parte di giornalisti e giornali.

E’ proprio quello che hanno deciso di fare al «Corriere della Sera» che da ieri ha annunciato di voler aprirsi ai contributi dei lettori, dei cittadini, per la verifica dei fatti. Scelta di coraggio ed, appunto, di grande apertura quella della versione online del quotidiano milanese che ha scelto di utilizzare la piattaforma di fact checking realizzata dalla Fondazione Ahref ed attiva da maggio di quest’anno dopo la presentazione al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.

Iniziativa che, come spiega, Alessandro Sala, giornalista del Corsera, non sostituisce il dovere dei giornalisti di verificare fonti e fatti prima della pubblicazione [elemento che by the way non mi pare sia entrato nel dibattito-scontro in corso sul DDL diffamazione] ma arrichisce, integra l’informazione rendendola più veritiera anche solo, banalmente, grazie all’inserimento di fonti che propongano la notizia da una prospettiva diversa ed ovviamente mediante controlli incrociati di documenti e fonti non citate originariamente.

Online nel mondo ci sono alcuni esempi di piattaforme di fact checking ma tutte, o quasi, con una redazione alle spalle. Civic links invece  è la prima che prova a far collaborare la comunità per verificare un fatto. Alla base di tutto stanno i media civici di Ahref, luoghi che stanno emergendo dopo i social network e che provano a aiutare e abilitare i cittadini a fare civismo attraverso la produzione di contenuti fatti con responsabilità.

Attraverso Fact checking, dopo averne giustamente condiviso i principi di legalità, accuratezza, indipendenza e l’imparzialità, che vengono spiegati al momento dell’iscrizione della registrazione alla piattaforma, ogni utente può verificare un fatto contenuto in un articolo, in un video, in una trasmissione tv. Può verificarne l’attendibilità portando delle fonti che aumentino l’attendibilità della sua verifica.

Dietro a tutto questo sta il meccanismo della reputazione. Ogni iscritto ha un profilo e un livello di reputazione, gestita da profondi algoritmi, che aumenta con la produzione di contenuti, di commenti, di verifica, di fact checking.

Per avere ulteriori chiarimenti sulla collaborazione tra «Corriere della Sera» e Fact checking ho contattato Michele Kettmaier, Direttore Generale della Fondazione Ahref.

Il primo dubbio, che ho visto circolare anche su Twitter, è che potesse essere almeno in parte un’operazione che mascherasse collaborazioni senza che vi fosse il giusto riconoscimento economico. Perplessità alla quale Kettmaier mi risponde “qui alla base non c’è business nè per RCS e tantomeno per Ahref che è no profit”

Rimossi dunque possibili pregiudizi il Direttore Generale della Fondazione Ahref mi spiega che la piattaforma non ha un accordo di esclusiva con il quotidiano di Via Solferino e che “la piattaforma è a disposizione e personalizzabile a tutti quelli che desiderano usarla” aggiungendo che “ti dico che un altro paio di quotidiani nazionali oggi ci hanno chiamato per chiederci se potevano averla anche loro, quindi è aperta e disponibile per tutti, nessuna esclusiva per il Corsera”.

Un ulteriore aspetto che mi interessava approfondire era relativo alla possibilità di incentivare, di motivare la partecipazione all’iniziativa. Al riguardo mi si risponde che “per ora non è previsto nessun incentivo ma stiamo lavorando per poter offrire piccoli modelli di startup per giovani che ci vogliono provare” come ad esempio “un ragazzo che vuole metter in piedi una piccola redazione di fact checking può usufruire della piattaforma, personalizzarla con il suo marchio e vendere i fact chek che fa”, proseguendo “tutto da studiare, piccoli modelli di sostenibilità da provare e incentivare, non per diventare ricchi ma sostenibili un po alla volta; io credo di si, che sia giusto almeno provarci”. Se posso dirlo assolutamente anche io.

Al momento della redazione di questo articolo sono due i temi lanciati da Corriere.it ai quali è possibile fornire il proprio contributo di questa importante iniziativa nella quale il giornale pare davvero credere, al punto da metterci la faccia del suo Vicedirettore. Al momento però, purtroppo, i contributi ricevuti sulle proposte sono scarsi, anzi nulli, e sarebbe davvero un peccato se il coraggio e la bontà dell’iniziativa dovessero essere frustrati sul nascere.

A mio avviso è necessario lavorare sulla motivazione [non in termini economici] delle persone incentivandole, spingendole a dare il proprio contributo. A monte, da quello che si ascolta dalle interviste fatte in occasione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia su come verificano l’informazione e le notizie che leggono, è evidente che c’è un diffuso problema culturale.

Ennesima evidenza di come la maggior quantità di informazioni disponibili non corrisponda necessariamente una popolazione maggiormente informata, al quale si aggiunge il fatto che se la Rete disintermedia al tempo stesso spinge su un senso di responsabilità che in prima battuta pochi sono disposti ad accettare.  Fattori dei quali è necessario tenere conto da più di un punto di vista per intervenire adeguatamente al rispetto.

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Quale Impatto dai Tablet per l’Industria dell’Informazione?

Nell’appuntamento settimanale con la mia rubrica per l’European Journalism Observatory, partendo dai risultati di un’indagine condotta da comScore sulla readership di quotidiani e pubblicazioni periodiche da parte dei possessori di tablet e dallo studio condotto da Poynter, che con la tecnica dell’eyetracking ha esaminato come le persone leggono le notizie sui tablet, si analizzano i nodi cruciali delle attese dell’industria dell’informazione, sin qui tradite, relativamente a questo device.

Una pluralità di cause e concause che [di]mostrano come, anche in questo caso, la distanza tra le attese di profitto da parte delle testate, dei giornali, grazie ai tablet e la realtà passi per un percorso che è ancora una volta meno lineare e scontato di quanto molti inizialmente supponevano.

Se non lo avete già letto potete farlo QUI.

Successivamente alla pubblicazione del succitato articolo, Google ha diffuso i risultati di una ricerca sul tema.

“Understanding Tablet Use: A Multi-Method Exploration”, ricerca qualitativa che esplora quali attività siano svolte prevalentemente dai possessori di tablets ed in quali luoghi si svolgano.

Emerge come la casa sia il luogo di prevalente utilizzo, ed in particolare mentre si è in poltrona, spesso in abbinamento con la visione televisiva, o a letto, confermando come si tratti essenzialmente di un attività serale e legata allo svago.

Si conferma che per i possessori di tablets le attività principali siano la lettura della posta elettronica [84,8% dei partecipanti], il gioco [51,5%] ed i social network [57,6%]. La lettura delle notizie è un’attività che, pur coinvolgendo un numero relativamente alto di persone [45,5%], viene effettuata con una frequenza molto ridotta, bassa, come già emergeva dalla ricerca di comScore.

Ennesima evidenza che nel complesso l’informazione non riesce ad attirare in maniera significativa coloro che possiedono un tablet  e che, ahimè, su queste basi sarà complessivamente estremamente improbabile che vi sia nel breve periodo un incremento importante di coloro che dunque si renderanno disponibili a pagare le app delle testate.

Non ditelo a Tina Brown ed allo staff [o almeno a quelli che rimarranno] di Newsweek, mi raccomando.

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[Ri]Definizione dell’Audience

Audience letteralmente significa uditorio. In senso più ampio indica l’’insieme di persone che, in un dato periodo di tempo, viene raggiunto da un determinato messaggio pubblicitario. Concetto che a sua volta si divide in audience netta, al netto delle sovrapposizioni di messaggi pubblicitari diffusi su più mezzi, e in audience cumulata, ovvero l’insieme di individui raggiunti da uno stesso messaggio pubblicitario diffuso più volte che a loro volta vengono suddivisi, segmentati in  gruppi il più possibile omogenei. Definizione che evidenzia come i media sin ora siano stati concepiti prevalentemente come un  contenitore pubblicitario più che come mezzi al servizio del pubblico, delle persone.

In questa logica, secondo i dati diffusi da Audipress relativamente al 2°periodo 2012 non si capirebbe il motivo della tanto annunciata morte dei giornali di carta che, allo stato attuale, vantano nel giorno medio un audience di 14,2 milioni di persone contro i 3,3 milioni di visitatori per i siti web delle testate corrispondenti.

Se, per amor di ragionamento poichè questo non avviene per gli altri mezzi che nel nostro Paese sono prevalentente gratuiti, si applicasse l’idea di pubblico pagante, di coloro che comprano un quotidiano, si vedrebbe che, nonostante il calo pressochè costante dal 1990 ad oggi, si vendono mediamente in Italia 4,5 milioni di copie al giorno attualmente mentre dall’altro lato gli abbonamenti digitali o comunque l’informazione digitale per la quale viene risconosciuto un esborso da parte delle persone [solo area consumer] è infinitesimale al rispetto.

Da questa prospettiva credo che abbia oggettivamente un valore superiore, in termini di attenzione ed interesse, una persona che si reca in edicola [gli abbonamenti tranne rare eccezioni sono comunque una parte assolutamente trascurabile delle vendite di giornali in Italia] ed effettua un esborso rispetto a chi, prevalentemente attraverso i motori di ricerca, approda ai siti web delle testate, non è fedele e ha una scarsissima propensione a pagare per i contenuti di cui fruisce.

Se a questo associamo il fatto che la carta stampata di fatto ha una serie di vantaggi sia per il lettore che, forse, ancor più per gli investitori pubblicitari si potrebbe davvero restare sbalorditi dalla querelle sul destino segnato dei giornali di carta e sulla inevitabile ascesa di Internet nei loro confronti.

Ovviamente non sono così sprovveduto da non vedere le tendenze sfavorevoli alla carta e favorevoli alla Rete ma ciò nonostante appare evidente come la crisi dei giornali NON sia dettata da Internet. Il Web ha probabilmente soltanto acutizzato una serie di problemi sia di carattere gestionale, a livello di organizzazione interna del lavoro e di relazione con il mercato [a cominciare ancora una volta dalla tanto declamata e ancora non attuata informatizzazione delle edicole], che di attenzione ai pubblici di riferimento, agli investitori pubblicitari ed alle persone, ai lettori.

E’ probabilmente necessaria una ridefinizione del concetto di audience e del suo valore. Si rende necessario riflettere sulla cura necessaria nella relazione con i lettori, con le persone, da parte dei giornali in un momento in cui “la pubblicazione è un bottone”, e la differenza, il valore aggiunto viene creato dai servizi aggiuntivi forniti e dall’apertura, nei contenuti e nella relazione, con il pubblico di riferimento.

E’ arrivato davvero il momento di stabilire se i giornali vogliono ancora avere un’audience, così come definita nel primo paragrafo, o se non sia meglio, a prescidere dal supporto utilizzato, dando a tutti quelli disponibili un ruolo con coerenza, avere delle comunità di riferimento se non addirittura delle tribù aggregate intorno ad una causa, a valori ideali, così come avviene da tempo per molti brands.

Brand che, appunto, si trasformano sempre più frequentemente in editori a loro volta poichè evidentemente giornalisti e giornali non sono in grado di soddisfare le necessità aziendali di nuove modalità di relazione e di comunicazione che i “prosumer” danno per scontate ormai. Si evidenzia dunque la necessità di trasformarsi in consulenti di comunicazione da parte delle concessionarie di pubblicità dell’industria dell’informazione, come mi pare di aver già sottolineato, invece che in meri venditori di colonne e/o pixel un tanto al chilo, offrendo soluzioni alle imprese – che in questo momento ne hanno tanto bisogno – anzichè promesse di audience il cui valore è tutto da stabilire.

Nella ridefinizione di audience, per concludere, partirei dalla terminologia cessando l’utilizzo di questa parola per sostituirla con pubblici o, ancora meglio persone. Come sempre non è una questione esclusivamente semantica ma di approccio.

Come ben spiegava David Ogilvy: “non contare le persone che raggiungi, ma raggiungi le persone che contano”. Un’altra frase da tenere sempre a mente, da stampare ed appendere in certi uffici.

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