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«Pubblico»: Perchè Business Plan & Marketing NON Sono un Optional

Come ormai molti sapranno con oggi «Pubblico», dopo soli 103 giorni, cessa le pubblicazioni, chiude. L’iter del quotidiano diretto da Luca Telese potrebbe facilmente definirsi cronaca di una morte annunciata ripercorrendone le diverse fasi.

Certamente, come segnalano i redattori del giornale,  un capitale sociale di 750mila euro è un segnale importante di quanta improvvisazione vi sia stata sin dalla nascita del quotidiano, basti pensare che «Linkiesta», testata all digital che dunque non deve sostenere i costi di carta, stampa e distribuzione, è stata fondata con un capitale sociale di un milione di euro ed ha ricapitalizzato per un pari importo nella primavera di quest’anno, per capire che più che crederci ci si provava.

Anche la compagine societaria, con due dei tre soci di maggioranza, Tommaso Tessarolo e Maurizio Feverati, senza esperienza alcuna nei giornali e con il primo dei due con alle spalle già un fallimento editoriale con Current TV, non era elemento di rassicurazione sulle prospettive del giornale.

Le cronache narrano che il business plan prevedesse breakeven a 9mila copie e l’obiettivo di vendita in una forbice compresa tra 10 e 15mile copie vendute a fronte di una tiratura di 30mila.

Un business plan perchè possa definirsi tale si articola su diverse sezioni tra le quali figurano elementi di analisi di mercato, di strategia di penetrazione del mercato, di marketing ed ovviamente di analisi economica e finanziaria.

Che 19 giornalisti, 3 poligrafici e 10 collaboratori fissi interni, unitamente ai precitati costi di stampa e distribuzione, fossero un costo fisso che necessitava di una capacità finanziaria decisamente superiore al capitale sociale in caso le vendite non avessero mantenuto la soglia di break even è un elemento che in qualunque business plan, anche il più scalcagnato, il più approssimativo, va inserito, va considerato.

Che poco più di tre mesi non sia un tempo per raggiungere il break even è altrettanto un elemento che, senza nulla togliere, persino un neolaureato in economia aziendale inserirebbe a chiare lettere nella sezione economico-finanziaria di un qualsiasi business plan. I casi sono dunque due: o il business plan non è mai stato fatto o, in alternativa, è stato realizzato partendo da basi di eccesso di ottimismo [per usare un eufemismo] atte solamente a convincere gli investitori ad apportare il loro contributo.

Dopo il successo del primo giorno, con vendite nell’ordine delle 50mila copie, il giornale è immediatamente crollato al di sotto delle copie necessarie a garantirne la sopravvivenza. La mia frequentazione di alcuni gruppi di giornalai, di edicolanti [che colgo l’occasione di ringraziare per ospitarmi pur non avendone titolo]  già dopo una settimana mi aveva evidenziato con chiarezza che il giornale non si vendeva, ed infatti, secondo quanto dichiarato dallo stesso Telese, il venduto è intorno alle 4mila copie.

Se i segnali erano chiari e forti sin dall’inizio che il progetto editoriale non dava i frutti sperati come mai non è stato fatto nulla? Per quanto a me noto l’unica iniziativa è stata di procedere ad una distribuzione selettiva, di non fornire le copie a tutte le edicole. Aspetto che in assenza di una mappatura delle edicole, elemento sul quale mi soffermerò con la dovuta attenzione nei prossimi giorni, rischia solamente di deprimere ulteriormente le vendite generando rotture di stock laddove il giornale si vende.

Pubblico Edicola Ultimo Numero

Anche le visite al sito del giornale, che vengono sbandierate come un successo, erano invece un altro segnale che l’interesse intorno alla testata era scarso se vi fosse stato qualcuno in  grado di interpretare quei numeri.

Ed ancora qual’era il progetto editoriale, esisteva davvero? Quali le azioni di marketing? Da osservatore esterno balzano agli occhi diversi aspetti al riguardo.

Si procede ad abbassare ad un euro il prezzo del quotidiano, lanciato ambiziosamente a 1,50€, un altro errore nel posizionamento di prezzo per un giornale che dichiaratamente si rivolge agli “ultimi”, il 17 di novembre, dopo due mesi, quando ormai era evidente a chiunque che il giornale “non andava”.

Nessuna altra iniziativa, per così dire, di marketing risulta. Interazione e coinvolgimento pressochè nulli su Facebook, dove il numero di “fans” è decisamente basso per una testata nazionale, e la consueta autorefernzialità tipica dei mainstream media anche su Twitter facente funzione di megafono monodirezionale.

Oggi forse in molti, a cominciare paradossalmente dal quotidiano in questione come mostra l’immagine soprariportata tratta dal giornale di oggi, scriveranno che il problema è la carta, che pensare nel 2012 di lanciare un quotidiano in edicola oggi è una follia.

Personalmente non sono certo che sia davvero così ma quello di cui sono sicuro è che in qualunque settore si operi un piano strategico di medio periodo, ed i relativi aspetti economici che qualunque “buon padre di famiglia” deve considerare, un busness plan da utilizzare come bussola del proprio cammino e non come strumento per gettare fumo negli occhi e un’attività di marketing degna di questo nome non possono mancare in fase di avvio di un progetto, di una start up come è di moda dire.

Vale evidentemente ancorpiù, se possibile, in un mercato quale quello editoriale attraversato da dinamiche che non ne fanno esattamente un segmento facile da approcciare nè sul fronte tradizionale e neppure online.

La prima pagina di oggi, l’ultima di questa breve storia di «Pubblico» titola a caratteri cubitali “Grazie”. Forse sarebbe stato più opportuno un “Chi è causa del suo mal pianga se stesso”[#].

pubblico prima pagina ultimo numero

[#] Il riferimento NON è ovviamente ai dipendenti del giornale.

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Libertà Complementare

La pioggia di emendamenti rischia di annacquare e intorbidire i provvedimenti del Governo relativi alle liberalizzazioni.

Tra tutti gli emendamenti proposti, per quanto riguarda gli interessi dello scrivente e degli argomenti trattati all’interno di questi spazi, è quello relativo alle edicole che pare essere a rischio di snaturare in maniera significativa lo spirito ed il significato della prima stesura. Emendamento “bipartisan” presentato da Simona Vicari [PDL] e Filippo Bubbico [PD] del quale, forse non casualmente, i giornali non parlano nonostante l’ampia copertura generale del tema, che rappresenta una pericolosa marcia indietro rispetto alla concezione originaria.

L’emendamento proposto infatti eliminerebbe la possibilità precedentemente prevista da parte dei giornalai di rifiutare i prodotti collaterali ricevuti, quell’accozzaglia di perline ed amuleti che inonda quotidianamente le edicole in viurtù di una pretestuosa ed anacronistica interpretazione della parità di trattamento, così come la possibilità di defalcare il valore del materiale restituito ai distributori locali in compensazione dei pagamenti delle nuove consegne.

Sono elementi che alleggerirebbero di non poco la pressione finanziaria alla quale 30mila le edicole sin qui sopravvisute sono sottoposte e, soprattutto, restituirebbe dignità imprenditoriale ad una categoria troppo spesso vituperata dagli altri attori del sistema favorendo il necessario processo di modernizzazione che dovrebbe essere alla base delle proposte di liberalizzazione e del quale la filiera editoriale ha tanto bisogno.

Se le modifiche venissero approvate i giornalai italiani,  che inizialmente erano stati promossi a lavoratori autonomi, che avevano facoltà di  decidere del loro destino, che, pur nei i limiti della legge, potevano scegliere cosa far entrare nelle loro rivendite e cosa no, ritornerebbero al loro status di peones per garantire a loro spese flussi di cassa ad editori disonesti inquinando, forse in maniera definitiva, la possibilità di un’evoluzione positiva di tutto il sistema.

Mi segnala un rappresentante della categoria che Pietro Barcellona, un giurista, docente di diritto, scrive che “la certezza di esistere non è data dal denaro,ma dall’universo simbolico”, da quell’insieme di segni, usi, consuetudini, simboli insomma che sono capaci di mantenere un individuo nel suo mondo. La parete è ora liscia, buona per precipitare a terra con un grande tonfo. I ganci sulla parete messi da chi aveva scritto la prima parte del decreto, erano l’ universo simbolico dei giornalai. Se fosse confermato che ora non c’è più, sarà impossibile ripristinarlo.

Un concetto di libertà complementare agli interessi deviati, ancora una volta, di pochi. Un’opzione senza ritorno che chiunque abbia a cuore uno sviluppo sano e sostenibile del nostro Paese non può accettare.

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Delusioni Giornaliere

John Nitti, Executive Vice President di Publicis Groupe, divisione media-buying di Zenith Optimedia, ha svelato i numeri del «Daily», il quotidiano all digital per tablet lanciato in pompa magna qualche mese fa.

Secondo quanto riportato da «Bloomberg» il giornale digitale si attesterebbe intorno ai 12omila lettori alla settimana, una cifra molto distante dai 500mila che Rupert Murdoch aveva dichiarato essere il numero minimo per rientrare dell’investimento iniziale di 30 milioni di dollari, ai quali si sommano costi di esercizio ordinario di 500mila $ alla settimana.

Le cause dei risultati deludenti potrebbero spiegarsi con le motivazioni raccolte dalla ricerca, realizzata nella primavera di quest’anno da KnowDigital, che evidenzia come «The Daily» sia apprezzato per la parte grafica, foto e video, ma raccolga scarsi consensi per quanto riguarda la parte testuale, per i contenuti ritenuti di scarsa qualità e non sufficientemente aggiornati.

Annunciato come il quotidiano del futuro parrebbe, ad oggi, apportare delusioni giornaliere, confermando come assenza della socialità della notizia e una visione a compartimenti stagni basata sul contenitore invece che sul contenuto, sul profitto atteso invece che sulle attese dei fruitori, non sia un percorso premiante.

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Giornali e Notizie all’Italiana

Oggi in Italia, contrariamente a quanto avviene nelle altre nazioni europee, i quotidiani non vengono pubblicati.

Considerando che oltre il 50% delle edicole è attività “promiscua”, ovvero ha un’offerta di altre categorie merceologiche, e dunque sarà comunque aperta, si tratta di un’ottima strategia per disaffezionare ulteriormente le persone dalla lettura dei quotidiani.

Chapeau!

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Cara Grazia

Il canale edicole rappresenta ancora oggi mediamente l’80% dei ricavi [vendite e pubblicità su carta stampata] del settore nel nostro paese, ciò nonostante l’attenzione degli editori alla relazione con il trade, con i giornalai, è praticamente assente.

Non esistono politiche di canale, vi è una totale carenza di azioni di trade marketing e l’attenzione al punto vendita si limita alla produzione di locandine di dubbio gusto e fattura da esporre non si capisce bene dove.

Uno dei tanti elementi di frizione tra gli edicolanti e gli editori riguarda le azioni di cut price che, decise unilateralmente, contrariamente a quanto avviene in altri canali, vanno ad intaccare i margini dei giornalai come spiegava molto bene nel suo commento Massimo Ciarulli.

In uno dei tanti gruppi di aggregazione spontanea di edicolanti su Facebook è in atto una protesta contro il settimanale Grazia che in occasione del restyling/rilancio verrà veicolato per 4 settimane a 0,50€. La protesta questa volta, invece che contro l’editore come in passato, mira dritta al cuore rivolgendosi agli investitori pubblicitari, attraverso una mail che viene loro inviata, che hanno deciso di pianificare su quella rivista richiamando la loro attenzione sulla decisione di non esporre la rivista, vanificando dunque, almeno in parte, l’effort promozionale e, per traslato, la penetrazione delle campagne pubblicitarie.

c.a. DIREZIONE COMMERCIALE
Certamente sarete a conoscenza che il settimanale GRAZIA Ed. Mondadori per proprie strategie di Marketing verrà distribuito per un intero mese con prezzo speciale a 0,50. Tale prezzo permette all’editore di far conoscere al grande pubblico il proprio prodotto, ma il conseguente guadagno di appena 4cent per ogni giornale venduto, oltre a ledere la dignità di noi GIORNALAI, ci sacrifica materialmente ed economicamente
La vostra AZIENDA in questo giornale ha investito economicamente, con una intera pagina per pubblicizzare il proprio marchio, e nello specifico nel N° 31 01/08/2011; è nostro dovere comunicarvi che NON sarà nostro interesse tenere in evidenza e “ben esposto” il settimanale in oggetto, e certamente la nostra professionalità non verrà sfruttata per incentivare i nostri clienti all’acquisto di questa pubblicazione. Pare evidente alla prova dei fatti che privilegeremo la vendita di “illustrati” con prezzi e aggi che non mortifichino ancor di più la nostra categoria; ciò comporterà un sicuro calo di “lettori effettivi” del settimanale GRAZIA con un conseguente calo di visibilità della vostra pubblicità.
Certamente il vostro ufficio marketing potrà utilizzare i mezzi adatti per confrontare a fine campagna le statistiche di vendita del Settimanale GRAZIA, sia con la linea di “previsione”, sia quella di vendita “accertata”, e potrà certificare se l’investimento in pubblicità risulterà positivo o deficitario
Distinti saluti

Il rilancio di un prodotto, di qualsiasi prodotto, è sempre un’operazione costosa e difficile, non mi risulta che si possa ipotizzare di avere successo senza coinvolgere il trade in tali operazioni.

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Andamento delle Vendite Medie Giornaliere dei Quotidiani Italiani

La Federazione Italiana Editori Giornali [FIEG] ha diffuso i dati di rilevazione delle vendite medie dei quotidiani italiani con l’ultimo aggiornamento a maggio di quest’anno.

I dati comprendono la serie storica mensilizzata dal 2000 ad oggi con le variazioni anno su anno e la suddivisione tra vendite in edicola e vendite in abbonamento.

Nei primi cinque mesi del 2011 la tendenza negativa colpisce decisamente in maniera più accentuata gli abbonamenti che calano a tassi circa del triplo superiori a quelli, comunque negativi, delle vendite in edicola.

Oltre a disservizi delle poste ed aumento delle tariffe di spedizione, è possibile ipotizzare che i pochi lettori di quotidiani in Italia stiano progressivamente spostando le abitudini di consumo dell’informazione, di lettura, con una fruizione mattutina sull’online ed una successiva del quotidiano preferito dal giornalaio.

Osservando la tendenza nella vicina Germania, viene da chiedersi se il giornale in edicola sarà a medio termine un prodotto di lusso.

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In Media Stat Virus

Visibli ha analizzato le pagine su Facebook con almeno 100mila “likes” [mi piace]. La rilevazione è stata suddivisa in tre categorie distinte: personaggi famosi, marchi/aziende e media.

I mezzi di informazione con una loro pagina su Facebook ricevono un numero di commenti 2,5 volte superiore rispetto ai personaggi famosi e addirittura 5 volte superiore rispetto a quelli inseriti nella pagine dedicate a marchi/aziende.

Esattamente lo stesso giorno SocialBakers ha analizzato la frequenza di pubblicazione su Facebook prendendo in considerazione anche in questo caso sia le pagine di marchi/aziende che quelle dei media.

Si evidenzia come la frequenza dei mezzi di informazione sia decisamente superiore a quella delle imprese di altri settori/mercati. Gli aggiornamenti possono [devono?] essere meno diradati  ed ottenere ugualmente un buon livello d’interesse, di coinvolgimento nel corso di tutta la giornata.

A complemento e completamento delle informazioni sulla diffusione ed il livello di coinvolgimento dei media lo studio realizzato da AOL e Nielsen nel secondo semestre del 2010, diffuso in questi giorni, che conferma la tesi spesso sintetizzata nel motto “content is king”.  I contenuti infatti, secondo i risultati emergenti, sono l’attività alla quale maggior tempo viene dedicato dagli internauti. Non solo vi è un forte interesse verso l’area dei contenuti ma la ricerca registra anche come questi siano oggetto di condivisione ed ulteriore diffusione. L’area dell’informazione in particolare è quella che è maggiormente condivisa.

Anche il rapporto sull’informazione online, pubblicato ieri da Pew Research Center, evidenzia, tra l’altro, il ruolo dei social media, ed in particolare di Facebook ancora una volta,  come mezzi di distribuzione dei mezzi di massa.

Al riguardo Luca de Biase riflette sulla velocità di consumo dell’informazione all’interno dei siti web dei giornali e le implicazioni che questo ha sul valore pubblicitario, sulle revenues, che ne ricevono.

Si tratta fondamentalmente di un problema di coinvolgimento che è ormai noto da tempo con l’80% delle conversazioni che avvengono altrove rispetto al sito web dove sono state generate, o forse per meglio dire, iniziate.

Il paradosso dell’attualità editoriale del creare un prodotto che ottiene crescente interesse e non saperlo vendere adeguatamente.

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La Lettera

Tra le molte aree di recupero di redditività per il comparto editoriale quella probabilmente più trascurata è relativa alla distribuzione ed alla gestione delle scorte nel punto vendita, nelle edicole.

E’ un tema di assoluta rilevanza che in questi spazi si è cercato di portare all’attenzione di tutti gli attori coinvolti nella filiera a più riprese, convinto che, in tempi di crisi del settore, la marginalità residua recuperabile da una miglior efficienza  sia decisamente un ambito sul quale intervenire.

Dovendo identificare l’anello debole della catena personalmente non ho dubbi sulle responsabilità di distributori nazionali e locali, vero tappo per editori e giornalai.

Affari Italiani pubblica la lettera di un lettore di quotidiani che sintetizza perfettamente lo stato dell’arte:

Egr. Direttore,

sono un comune lettore di giornali che come migliaia di altri cittadini si reca all’edicola più o meno sotto casa per acquistare il quotidiano o la rivista che più mi aggrada. Ora frequentando più assiduamente la mia edicola, vengo a scoprire che in Italia esiste una sorta di oligopolio, formato dai distributori di giornali che a loro piacimento, seguendo un criterio alquanto oscuro, decidono se un edicola debba avere più o meno copie di un dato quotidiano, se un lettore debba o meno seguitare a rivolgersi ad una data edicola.

Il sistema semplice nel suo svilupparsi, parte appunto dal fatto che il distributore decide cosa e quanto inviare all’edicola, e già questo potrebbe essere opinabile, se fatto in barba alle richieste effettive di quella zona, ma può decretare la morta economica o il successo di un’attività di edicolante semplicemente sottraendo con mirata oculatezza le riviste richieste o i giornali più venduti, facendo di fatto emigrare i lettori ad altra edicola più fornita. Ho provato tramite amicizie a far presente quanto sopra a direttori di giornali di importanza nazionale, ma evidentemente questo “problema” oltre a sembrare di poca importanza per l’opinione pubblica sembra essere spinoso anche per la stampa stessa che sa di poter essere strozzata da una “involontaria” cattiva distribuzione del proprio giornale in un dato territorio.

Invece di essere accanirsi con la tabletmania sarebbe opportuno intervenire prontamente per correggere queste distorsioni del sistema.

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Quotidiani: Digitale vs Carta

Il video promozionale realizzato dal quotidiano on line cileno El Dinamo è divertente, accattivante,  utilizza con la giusta dose di ironia quella che è sempre la prima considerazione sulla carta da parte di molti.

Lo spot si conclude con la frase: “Lo sappiamo, ci sono cose nelle quali non supereremo mai la carta stampata” continuando a giocare con ironia sul tema dell’annuncio.

Rischia di essere una riso amaro quello del giornale sudamericano poichè allo stato attuale per ogni dollaro di ricavi persi dall’edizione cartacea mediamente sono stati recuperati due centesimi dall’on line.

La profezia del pay off rischia seriamente di diventare realtà in un quadro nel quale la prospettiva resta pessima sia per i quotidiani che, ancor più,  per il lettore.

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Investire sulle Edicole

Italia Oggi del 24 agosto scorso pubblica un’intervista a Luca Dini, Direttore dell’edizione italiana di Vanity Fair.

Dini, nell’articolo titolato Vanity Fair cresce senza sconti, dopo aver elencato i successi raccolti nell’ultimo periodo dalla rivista, sostiene che il taglio prezzo di una rivista sia pericoloso poiché svaluta la pubblicazione agli occhi del lettore acquirente, concludendo: “una prima risposta è investire in edicola e sulla fidelizzazione: in tal senso Vanity Fair è cresciuto negli anni e in qualità” .

Sono concetti che mi trovano assolutamente d’accordo sia pour cause in veste di giornalaio che, come ho avuto modo di affermare, indossando la giacca di [sedicente] esperto di marketing.

Sono certo che sia comprensibile il mio stupore, ed evidentemente il mio disappunto, quando il giorno dopo aver letto l’intervista all’arrivo di Vanity Fair n°34 del 1 settembre 2010 vi si trova la cartolina di abbonamento con uno sconto 70% [vd immagine].

Diceva Arthur Schopenhauer che l’egoismo teoretico possiede la coerenza della pura follia; esso non abbisogna di confutazione – che è impossibile – bensì di cure. E’ straordinario quanto l’affermazione sia calzante in questo caso.

Amplierò il ragionamento in maniera più organica domani parlando di edicola del futuro e futuro delle edicole.

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