Archivi del mese: marzo 2010

Social Media around the world 2010

InSites Consulting ha diffuso i risultati dell’indagine «Social media around the world», realizzata in 14 paesi di quattro continenti [Italia inclusa] tra dicembre e gennaio scorsi.

Dal rapporto di ricerca si rileva che i frequentatori dei social network sono 940 milioni nel mondo, il 72% degli internauti.

L’America Latina, con un tasso del 95% di frequentatori della Rete, partecipanti a una piattaforma di scambi comunicativi, è l’area geografica che ne ha di più. L’Europa Orientale e l’Asia, con un tasso del 40% sono le regioni del mondo con meno presenze sui social network. Nell’UE il Portogallo è primo con l’82% di frequentatori, la Spagna è seconda con l’80%, i Paesi Bassi sono terzi con il 79%, il Regno Unito è quarto con il 77%, l’Italia è quinta con il 76%.

Il 72% dei frequentatori usa due o più media sociali per ragioni personali, appartiene a reti professionali il 16% e Linkedin è il più popolare. La media delle connessioni giornaliere pro capite è di due al giorno, mentre la frequenza d’interazione con i network professionali scende a nove al mese pro capite.

Il sito più frequentato è Facebook, con il 51% di internauti iscritti, MySpace ne ha il 20% e Twitter il 17%. Gli Italiani associati a Facebook sono il 71%, dietro agli Inglesi con il 72% e agli Spagnoli con il 73%.

La media degli amici per ogni frequentatore di social medium è di 195. Il record è del Sud America con 360 e, nell’UE, del Portogallo con 236. L’Italia segue a distanza con 152.

La tendenza attuale è a liberarsi dei troppi amici. I Sudamericani anche in questo campo fanno le cose in grande con l’81% di respingimenti.

Le rilevazioni mostrano che siamo comunque ben lontani dall’indice di relazionalità di Dunbar, il numero magico degli amici possibili e utili per una persona, ma troppo vicini ai simulacri di popolarità dei friendhunter.

Tratto da: Iriospark

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Response Ability

L’idea di responsabilità, sorpassando il concetto di colpa – perdono che spesso innesta una spirale viziosa, implica sia la facoltà di operare che la volontà di rendersi garante dell’azione .

Il concetto di Response Ability è idealmente superiore a quello, già importante, di responsabilità.

Implica, infatti, oltre ai concetti propri della responsabilità, da un lato, l’idea di non riversare i fatti colpevolizzando qualcun’altro, e, dall’altro, l’idea di essere in prima persona proattivi, con volontà e capacità risolutiva.

Ritengo che debba essere questo il concetto, l’idea, da perseguire, sia in termini di comunicazione, contrapponendola alla campagna – di successo – “amore vs odio”, che, ancor più, a livello di presa di coscienza, da parte della sinistra italiana.

Forse così facendo non saremo qui a leccarci le ferite anche nel 2013.

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Inserzioni & Introiti a Puttane

I quotidiani storicamente hanno avuto ricavi di tutto rispetto dai classificati, la piccola pubblicità che i privati mettono sui giornali. Anche questo segmento, dall’avvento di Craiglist in poi, è entrato in crisi con l’avvento di internet ed anche questa fonte di introiti dei quotidiani ha subito un drastico calo.

C’è però, secondo quanto riporta La Gaceta, un particolare segmento che pare essere estraneo a queste dinamiche: quello dedicato alle inserzioni di prestazioni sessuali a pagamento che in Spagna pare generare tutt’oggi ingressi di tutto rispetto.

In particolare sono i tre principali quotidiani generalisti del paese, El Mundo, El Pais e ABC, quelli che ottengono benefici economici da questo particolare segmento di inserzioni a pagamento e che potrebbero, da qui a breve, vedere annullata anche queste fonte di reddito in un momento in cui “tutto fa brodo”.

Se, infatti, in linea di principio, stride che quotidiani qualificati con posizioni e linee editoriali contrarie al fenomeno della prostituzione [che in Spagna, comunque, è legale] pubblichino questo genere di promozioni, ci si mettono ora, da un lato, le proteste delle associazioni di cittadini e, dall’altro, il governo che vorrebbe subordinare gli aiuti all’editoria, anche, alla cessazione di questa tipologia di inserzioni.

Insomma, come si suol dire volgarmente, pare proprio che inserzioni e relativi introiti, per un beffardo segno del destino, andranno “a puttane”.

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La Chatroulette delle Notizie

L’approfondimento della notizie e la capacità di fornire informazioni che interessino e coinvolgano l’utenza, i lettori, è, da un lato, uno degli indicatori della qualità di un quotidiano e, dall’altro, uno dei limiti attuali dell’informazione sul web.

Per cercare di ovviare a questo problema The Guardian, dopo aver realizzato Zeitgeist, continua sulla strada dell’innovazione realizzando quello che giocosamente è stato definito la “chatroulette delle notizie”.

The Random Guardian, questo il vero nome, è stato inaugurato alla fine della scorsa settimana ed ha, appunto, l’obiettivo di permettere ai lettori di andare oltre i contenuti segnalati nella home page del quotidiano, consentendo quindi, anche per sezioni, di trovare temi e notizie d’interesse che normalmente si identificano faticosamente.

La funzionalità introdotta agevola sicuramente una maggior permanenza facilitando il rapporto tra la testata ed il lettore; un “sottoprodotto” di importanza non trascurabile.

Come ha dichiarato recentemente Meg Pickard, responsabile dell’area social media del quotidiano anglosassone, le organizzazioni editoriali devono costruire una relazione fiduciaria per divenire parte dell’ecosistema sociale, della metapiattaforma.

Non vi è dubbio che The Guardian sia in prima linea tra coloro che sono sulla strada giusta nel farlo, andando ben oltre ipotesi tanto irrealistiche quanto patetiche, o inseguendo l’ultimo gadget in una corsa all’oro senza senso.

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Passaggi & Paesaggi [7]

“C’è una categoria di persone, che, se non credono devono fare almeno sembiante il credere.

Sono tutti i tormentatori, tutti gli oppressori, e tutti gli speculatori dell’umanità: preti, monarchi, uomini di stato, uomini di guerra, finanzieri pubblici e privati, funzionari di ogni sorta, poliziotti, gendarmi, carcerieri e carnefici, monopolisti, capitalisti, usurai, appaltatori e proprietari, avvocati, economisti, politicanti di ogni colore, fino all’ultimo venditore di droghe, tutti insieme ripeteranno queste parole del Voltaire: Se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo.

La contraddizione è questa: essi vogliono Dio e vogliono l’umanità. Si ostinano a mettere insieme due termini che, una volta separati non possono più incontrarsi che per distruggersi a vicenda. Essi dicono di un sol fiato: Dio è la libertà degli uomini, Dio è la dignità, la giustizia, l’uguaglianza, la fratellanza, la prosperità degli uomini, senza curarsi della logica fatale, in virtù della quale, se Dio esiste tutto ciò è condannato a non esistere. Perchè se Dio è, egli è necessariamente il padrone eterno, supremo e assoluto, e se questo padrone esiste, l’uomo è schiavo; ora se è schiavo non ci ha né giustizia, né uguaglianza, né fraternità possibile.

Potranno bene contrariamente al buon senso e a tutte le esperienze della storia, rappresentarsi il loro Dio animato dal più tenero amore per la libertà umana, ma un padrone per quanto faccia e voglia mostrarsi liberale, resta sempre un padrone. La sua esistenza implica necessariamente la schiavitù di tutto ciò che si trova al disotto di lui. Dunque, se Dio esistesse, non ci sarebbe per lui che un solo mezzo di servire la libertà umana: e questo sarebbe che egli cessasse di esistere.

Amante geloso della libertà umana che considero come la condizione assoluta di tutto ciò che adoriamo e rispettiamo nell’umanità, io rovescio la frase di Voltaire, e dico che se Dio esistesse bisognerebbe abolirlo”.

M. Bakunin – Dio e Stato –

Passaggi & Paesaggi 1

Passaggi & Paesaggi 2

Passaggi & Paesaggi 3

Passaggi & Paesaggi 4

Passaggi & Paesaggi 5

Passaggi & Paesaggi 6

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Conversazioni e Commenti

Il Consell de la Información de Cataluña, tra ottobre e dicembre del 2009 ha analizzato i commenti delle edizioni on line dei quotidiani catalani con l’obiettivo di verificare il livello di partecipazione dei lettori, i contenuti, gli argomenti di maggior coinvolgimento ed i meccanismi di controllo da parte degli editori.

Il gruppo di lavoro che ha finalizzato la ricerca, costituito da diversi professori universitari della regione autonoma spagnola, in seguito alla presentazione, ha reso disponibili i dati completi non più tardi di ieri.

Lo studio è liberamente scaricabile dal sito dell’ ordine dei giornalisti catalani.

L’analisi ha preso in considerazione 36mila commenti complessivi e 1554 notizie, durante lo studio è stata resa pubblica dal principale quotidiano della regione, La Vanguardia, la notizia relativa ad un caso di presunta corruzione urbanistica che ha destato grande scalpore registrando complessivamente quasi il 50% dei commenti. Potrebbe essere questo uno degli elementi che richiedono una taratura rispetto ai risultati emergenti.

I quotidiani, nella loro versione on line, considerano sempre più necessari i commenti in funzione della possibilità di fidelizzare il lettore attraverso gli stessi ed allo stesso tempo per conoscerlo in maggiore profondità.

I quotidiani che ottengono il maggior tasso di commenti, sono La Vanguardia e l’Avui, rispettivamente con il 66.9 ed il 47% .

I lettori prevalentemente effettuano un solo commento e non pare emergere una effettiva volontà di dialogo bensì un’attitudine prevalente al monologo. Scarsità degli argomenti forniti e, nella maggior parte dei casi, attitudine alla litigiosità ed all’insulto sembrano essere le connotazioni dei contributi con una accentuata polarizzazione dei contrasti che sovrastano decisamente positività e desiderio di contribuire attivamente.

Politica ed economia sono i temi sui quali si concentrano la maggior parte dei commenti; lo sport è il fanalino di coda ma probabilmente il risultato è inficiato dalla tipologia di testate prese in considerazione come il grafico sottostante sembrerebbe suggerire.

Fonte: Fundación del Consell de la Información de Cataluña

Complessivamente sembrerebbe che i commenti siano ben lontani dall’essere critiche rigorose, tesi più all’espressione di opinioni personali che al contributo per un raffinamento dell’informazione.

Lo studio conferma infine, le difficoltà di gestione dei commenti causato dall’elevato volume degli stessi e dalla scarsità di risorse umane che le redazioni allocano allo scopo.

L’etica del discorso, la conversazione democratica professata da Jürgen Habermas sembrano ancora lontani sia da parte degli editori che della maggioranza degli utenti.

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Licenziamento via Facebook

Chelsea Taylor, 16enne di Manchester, qualche giorno fa ha scoperto di aver perso il proprio lavoro di cameriera in un bar quando, accedendo al proprio account Facebook,  tra i messaggi in attesa di essere letti c’era la comunicazione di licenziamento del datore di lavoro.

Secondo quanto riporta il Daily Mail, la motivazione del licenziamento sarebbe legata allo smarrimento di 10 sterline da parte della ragazza.  I responsabili del negozio non hanno voluto rilasciare dichiarazioni su quanto accaduto.

La vicenda è sconcertante sia per il sommario giustizialismo che imperversa nel sempre più precario mondo del lavoro, che per l’utilizzo distorto fatto del celebre social network nato originariamente per stringere amicizie.

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Maiuscolo

Sbalorditivo il tono ed il contenuto della comunicazione che si riceve dalla sede provinciale del sindacato al quale sono affiliato.

In buona sostanza, come potete leggere voi stessi, gli edicolanti vengono “cazziati” per non aver dedicato la sufficiente attenzione ad una determinata pubblicazione, specificatamente “Il Fè”: rivista di annunci gratuiti.

Spiace dover rammentare che in questi spazi era stato spiegato tempo fa, con preciso riferimento alla testata in questione, come le iniziative in essere fossero condotte con un livello di approssimazione tale da renderle inutili.

Si ricorda, inoltre, che sulla base del vigente principio di parità di trattamento, che il sottoscritto da tempo propone di abolire, i giornalai non possono privilegiare le pubblicazioni.

clicca per ingrandire

Ah, l’uso e abuso delle maiuscole è desueto al pari del contenuto della missiva. Per il futuro si prega, se colti nuovamente da utilizzo compulsivo e irrefrenabile [che si sconsiglia], di riservarle a noi giornalai.

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Real Time Journalism

Da una costola di Muck Rack, aggregatore di cinquettii di professional del mondo dei media, nasce Muck Rack Stylebook: “A place to ask questions about how journalism works on the real-time web”.

La versione beta è stata inaugurata non più tardi di ieri ed i contenuti sono ancora in una fase assolutamente embrionale.

Di estremo interesse mi appaiono i criteri di partecipazione che sono concepiti su più livelli, partendo da quello base che consente di fornire risposte o effettuare domande in forma anonima, a livelli superiori di partecipazione che, in seguito alla registrazione, consentono di accumulare punteggi e “reputazione”seguendo concettualmente logiche affini a quelle del peer-to-peer.

Sicuramente, quantomeno, da inserire tra i preferiti per tenere sott’occhio le evoluzioni che, viste le premesse, non ci si può che augurare essere positive.

Ci ritrovo, infine, molte affinità con i concetti che pochi mesi fa hanno portato alla nascita di Filtr [che continuo ad avere in mente e nel cuore].

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Stay

L’80% delle conversazioni avvengono altrove rispetto al sito web dove sono state generate, o forse per meglio dire, iniziate.

Un dato, quello riportato dall’ infografica, che fa parte, anche, della mia esperienza quotidiana di partecipazione a FriendFeed, dove l’ultimo caso, in ordine cronologico, al momento della redazione di questo articolo registrava oltre 400 commenti contro i “miseri” sei all’interno del blog di chi aveva originato la discussione.

Questa evoluzione trova conferma anche in termini di accessi alle edizioni on line dei quotidiani e potrebbe avere un ulteriore impatto negativo in termini di prospettive sui già miseri ritorni che gli editori complessivamente ottengono dal web in termini di revenues pubblicitarie.

La reazione degli editori a questo fenomeno attualmente parrebbe essere quella di affidarsi maggiormente ai blog all’interno delle loro piattaforme, generando un modello di e-journalism dove i giornali assomigliano sempre più ai blog e viceversa, rendendo, forse, ancor più complessa la situazione.

Ad adbundatiam, in questo modo, da un lato, si legittimano le attese di un riconoscimento economico da parte di quelli che sapientemente Roberto Favini ha definito “i giardinieri”e, dall’altro, si rischia di complicare la già spinosa questione sulla trasparenza di quanto viene pubblicato.

Ai tempi della mia giovinezza era in voga, tra le tante, una canzone il cui ritornello: “Oh, won’t you stay, just a little bit longer, please let me hear you say that you will, say you will” sembra composto ad hoc per descrivere le attuali aspirazioni frustrate degli editori.

Torneremo sicuramente a parlarne, anche di persona.

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