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Nasce Newspeg: “il Pinterest delle Notizie”

Pinterest ha alcune utility per la condivisione di contenuti informativi, ma in realtà è più adatto per aggregare i preferiti e per la condivisione di foto, moda, design, ricette ed altri elementi.

Con una chiara ispirazione a Pinterest è stato lanciato in questi giorni Newspeg, piattaforma Web e mobile di social news che chiunque può utilizzare per raccogliere, curare e condividere le notizie con gli altri.

La sostanziale differenza rispetto ad altre piattaforme di content curation ed aggregazione è nel “fattore umano”, sono infatti gli individui, le persone che decideranno di utilizzare questa piattaforma a creare una collezione, una raccolta di ciò che gli appare interessante, contrariamente alle altre proposte che invece si basano fondamentalmente su algoritmi e/o aggregazione di contenuti da Twitter e Facebook, come il caso di Flipboard, Zite e Prismatic, per citare i più noti.

La condivisione avviene in maniera semplice, elementare, attraverso l’utilizzo di un “bottone” da inserire nel proprio browser. Su newspeg appare l’anteprima del contenuto che linka direttamente al contenuto originale; un elemento di correttezza nei confronti di chi produce i contenuti.

Naturalmente,   Newspeg  è integrato con  Twitter  e  Facebook , così le storie, le notizie raccolte possono essere ulteriormente amplificate.

Osservando l’home page di Newspeg è impossibile non rilevare una rappresentazione iconografica dell’informazione. Elemento che, se posso dirlo, mi conferma che con DataMediaHub siamo sulla strada giusta.

Newspeg

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Il Bianco Vince

Le discussioni, le analisi ed i commenti sul redesign del sito web del «The New York Times» si sono concentrate principalmente sugli aspetti commerciali ed in particolare sull’adozione del native advertsing.

La riprogettazione di un sito web è un evento cruciale e molto delicato. Qualcosa accuratamente progettato da un piccolo team di professionisti e sottoposto alla forma più democratica di controllo: chiunque abbia occhi può vedere cosa c’è di sbagliato con quanto realizzato.

Ciò è aggravato dal fatto che il rapporto con il nostro sito web preferito è più intimo che con qualsiasi pubblicazione cartacea. Online c’è così tanto contenuto, e cambia così rapidamente, che imparare a utilizzare un sito web, familiarizzare con i suoi contenuti e imparare a leggere è molto più centrale per l’esperienza di lettura rispetto al layout di una pubblicazione cartacea, alla lettura tradizionale alla quale siamo più abituati e che ci giuda maggiormente nel percorso di lettura.

Dal redesign del sito del quotidiano statunitense emergono indicazioni chiare su quale dovrebbe essere il primo criterio nella riprogettazione.  Il «The New York Times», probabilmente partendo anche dal successo di Snowfall, dà centralità al bianco, allo spazio.

Elemento che nelle pagine dei singoli articoli viene ancor più rimarcato.  Il testo viene centrato in uno spazio bianco e pulito, rendendo il carattere apparentemente ancora più grande di quanto effettivamente sia e dando gli articoli maggior chiarezza e facilità di lettura.

Il bianco vince.

White Space

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Pre-emption DataMediaHub

Come anticipavo qualche giorno fa il 2014 deve essere, e sarà, l’anno del fare, dello sperimentare. Meno “chiacchiere” e più azione come, a modo suo, invitava a fare Elvis Presley.

Nasce oggi DataMediaHub. L’idea di fondo è quella di creare un hub sui media italiani e sul giornalismo, aggregando dati sul tema e presentandoli con una forma grafica interattiva che abbia un impatto visivo e, soprattutto, che aiuti la comprensione dei fenomeni.

L’ambito di intervento sarà relativo esclusivamente alla realtà italiana, eventuali dati ed analisi su media, comunicazione e giornalismi dall’estero saranno inseriti esclusivamente come elemento di raffronto con la realtà nazionale nostrana. Verranno inseriti tutti i dati relativi ai diversi media, agli investimenti pubblicitari ed al mondo dell’informazione nel senso più ampio del termine.

Le diverse visualizzazioni, oltre alla precitata interattività, si distingueranno per essere elemento di sintesi e di comprensione dei fenomeni. Ogni visualizzazione sarà sempre corredata da una introduzione metodologica “tecnica” su scelta del tipo di visualizzazione e da un commento, un’interpretazione del significato del dato. A questi elementi, sempre con cadenza giornaliera, si aggiungerà una rappresentazione iconica di fatti attinenti ai temi trattati.

In questa fase in un’ottica “web 2.0” chiederemo alle persone, a voi tutti, come strutturare il sito e, soprattutto, quali informazioni e che tipologia di visualizzazioni possano essere di loro interesse. A tale scopo, oltre ai consueti canali social, sarà aperta all’interno del sito un’area community per raccogliere idee, adesioni e, perchè no, critiche.

Oggi abbiamo caricato una breve pre-emption, una dichiarazione di intenti, sul tipo di lavoro che intendiamo fare, ed un assaggio del format grafico che avremmo pensato di adottare.

Dalla prossima settimana continuerà il work in progress, speriamo con il contributo di tutti coloro che vorranno collavorare al progetto, con l’apertura progressiva delle varie aree di DataMediaHub.

Se avete voglia di iniziare a dire la vostra sul progetto potette farlo attraverso Twitter, Facebook e, se non vi basta lo spazio, anche per posta elettronica. Ben [ri]trovati.

Casa DataMediaHub

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Contributoria

Vede ufficialmente la luce  con l’inizio del 2014 «Contributoria» una piattaforma per i giornalisti, dei giornalisti.

«Contributoria» è una piattaforma collaborativa di scrittura “peer-to-peer”. Il progetto editoriale, vincitore nel 2012 dell’ International Press Institute’s News Innovation Contest,  permette ai giornalisti di collaborare su tutti gli aspetti del processo di scrittura, tra cui la vendita, l’editing e la pubblicazione.

Il progetto è supportato dal Guardian Media Group con cui collaborano, o hanno collaborato in passato, i tre soci fondatori.

Nell’editoriale di lancio dell’iniziativa si legge:

Volevamo fare qualcosa, non solo parlarne. Abbiamo pensato che fosse il momento di provare un approccio completamente diverso, una combinazione di nuove tecnologie, nuovi metodi di lavoro e nuovi modelli di finanziamento.

Ecco è probabilmente questo, a mio modo di vedere, lo spirito giusto per il 2014. Meno tavole rotonde, meno convegni e “chiacchiere” e più realizzazioni e sperimentazioni. Il 2014 deve essere l’anno del fare.

Contributoria

Per quanto riguarda l’Italia, mossi da questo spirito, il sottoscritto ed un gruppo di altri quattro professional, con competenze diverse e complementari, si apprestano a lanciare un progetto editoriale di iconografie e visualizzazioni [im]mediatiche che vedrà la luce entro il primo trimestre dell’anno con anteprime, per consentire a coloro che lo desidereranno di collavorare [ancora una volta non è un refuso] al progetto, già la entro fine di di questo mese.

Come si suol dire, stay tuned.

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Wired Diventa Digital First

Sono entrato in possesso della lettera alla redazione da parte di Massimo Russo,  Direttore di «Wired», che illustra i cambiamenti della rivista da dicembre sia in termini di contenuti, di pubblico di riferimento e, soprattutto, di cultura.

- word cloud lettera redazione Wired -

– word cloud lettera redazione Wired –

La pubblico integralmente poichè i contenuti sono davvero interessanti da diversi punti di vista. Come si può leggere infatti, oltre alle novità che caratterizzeranno la testata, sia nella sua edizione cartacea che digitale, è  la filosofia, l’approccio che è di valore.

Si va oltre la specializzazione per piattaforma, finalmente, per arrivare ad una connotazione della rivista per tema. Si chiarisce, opportunamente poichè forse a molti non è ancora del tutto chiaro, che una strategia digital first non significa pubblicare prima online e poi sulla carta ma avere una presenza in Rete a tutto tondo presidiando e mantenendo la relazione con le comunità di riferimento.

Dalla lettera si comprendono anche nuovi modelli di business, nuove fonti di ricavo generate attraverso estensioni fisiche e “virtuali” del brand, della testata, e una maggiore apertura nella relazione con i lettori con la possibilità di costruire pezzi/storie insieme a loro.

Più che di tecnica credo si tratti di un approccio, di attitudine mentale, insomma di cultura. Giudicate voi stessi.

ALLA REDAZIONE

Dal numero di dicembre cambieremo Wired Italia. Dopo tutte le riunioni, le discussioni, la fatica per raffinare e confutare le idee, ci siamo. Sappiamo tutti quel che c’è da fare, ma un minuto prima del “pronti, via” sento comunque il bisogno di condividere la piccola solennità del momento.

“Questo non è un giornale” è la frase che meglio rappresenta il nuovo metodo.

Al mensile, rinnovato secondo il progetto che abbiamo realizzato insieme in questi mesi, si affiancheranno in modo sempre più significativo l’organizzazione di eventi (Live) e il digitale, con il nuovo sito. Il nostro fuoco non sarà più la tecnologia ma l’innovazione, e l’intersezione tra questa e l’economia, con l’obiettivo di non raccontare solo storie ma di fornire soprattutto strumenti utili. Non più futuro remoto, ma soluzioni per il presente. Su questi temi dovremo avere la capacità di battere moneta, creando informazione, dettando opinione. La nostra comunità di riferimento saranno i millennials, i nati dopo il 1980, una generazione che non trova nulla che le parli nei media tradizionali, e i “ribelli silenziosi” tra i 35 e i 50 anni, donne e uomini che non si rassegnano alla decrescita felice e – nonostante le profezie di sventura – ogni giorno intraprendono, inventano, sbagliano, realizzano.

Siamo la testata di chi si riconosce in un Paese:

  • creativo, fantasioso, vitale, passionale;
  • che vede post–moderno e globale non come una minaccia ma come un’opportunità;
  • aperto e in grado di integrare culture diverse perché consapevole e forte della propria;
  • i cui cittadini sono individui liberi, responsabili, adulti;
  • che crede al merito e alla necessità di assicurare a tutti uguali possibilità;
  • lieve;
  • curioso di scoprire, fiducioso di intraprendere, proiettato verso l’innovazione;
  • preoccupato delle città, del paesaggio e della qualità della vita che lascerà dietro di sé. 

Il nuovo Wired non solo tratterà di innovazione ma la metterà in pratica. Saremo il primo magazine in Italia a integrare la redazione tra mobile, web, carta e tablet, e a realizzare il digital first. Le specializzazioni non saranno più per piattaforma ma per tema. Digital first non significa che pubblicheremo prima online e poi sulla carta, ma che il nostro lavoro partirà dalla relazione digitale con la nostra comunità di riferimento: 250mila persone che ogni giorno ci scelgono sul sito e sui social. Non si tratta di un’innovazione tecnica, ma di cultura.

Wired Italia incarna l’innovazione e le promesse che essa porta con sé. Il nostro valore più importante è relazione di fiducia con la comunità che rappresentiamo, con la quale interagiamo attraverso diversi linguaggi e strumenti:

a. il sito web

b. il web oltre il sito (Facebook, Twitter, gli altri social…)

c. la dimensione video

d. l’interactive edition su tablet

e. il mensile

f. le estensioni fisiche e virtuali del marchio (Wired Next Fest, eventi verticali, format video, long form, data journalism, e così via).

La chiave di volta del metodo è il digital first. La testata multipiattaforma non è più una novità, ma un requisito del nostro tempo per ogni marchio.

Il nuovo Wired va oltre: il sito e la rete non sono più una delle piattaforme disponibili, saranno il punto di partenza nella costruzione del numero, che una volta al mese si materializzerà nel distillato della carta e nell’interactive edition per i tablet. Il primo confronto di Wired con il tempo e la rilevanza sarà il lavoro quotidiano in rete. Non si tratta di anticipare su web i contenuti del giornale, ma di lavorare in redazione a partire da internet e dal dialogo con la comunità di Wired: come coprire le notizie, in quale forma, con quali strumenti. Significa essere disposti a condividere idee e spunti con i lettori attraverso i social e raccogliere da loro suggerimenti e commenti.

In questo senso la testata non è più solo un soggetto che produce comunicazione, ma diventa una piattaforma aperta, in grado di aggiungere ai valori tradizionali del reporting e della gerarchia, il dialogo sui temi che ogni giorno si intrecciano sul digitale. Tale valore non si paleserà solo attraverso gli articoli, ma anche attraverso nuove forme di attività giornalistica, come la cura e l’aggregazione dell’informazione prodotta da altre fonti, l’attenzione da parte di tutti noi alle statistiche di traffico del sito e alle tendenze della rete, la raccolta e la condivisione di dati, il crowdsourcing, l’individuazione sul nascere di temi che diventeranno rilevanti.

Un processo di questo genere ci porterà a innalzare l’asticella del livello di qualità minimo del giornale mensile. I nostri articoli dovranno acquisire standard più elevati, e unire al reporting pluralità di fonti, voglia di sorprendere, capacità di analisi, taglio originale, commento e punti di vista inediti. Anche per questo – come già sapete – ridurremo la periodicità del cartaceo a 10 numeri, con l’aggiunta di un paio di numeri speciali l’anno. Il numero di dicembre porterà in testata la dicitura Dicembre/Gennaio, e rimarrà in edicola fino al 24 gennaio. Ciò consentirà di rivedere l’organizzazione e i processi redazionali in ottica digital first, dedicando risorse e investimenti anche alle aree Digitale e Live.

Tutti cambieremo un po’ mestiere, secondo le linee che abbiamo già cominciato a discutere e le mansioni annunciate. Mi aspetto che una definizione di quanto muterà il nostro lavoro arrivi solo con la pratica di ogni giorno. Saremo tutti protagonisti di questa riscrittura. Anche con lo scontro, la dialettica, la critica e l’esercizio costante del dubbio. Diamo valore alla gerarchia delle idee, come se fossimo una start up. Solo i principi di delega e responsabilità dei singoli possono farci crescere. Non è uno stucchevole luogo comune: il confronto aperto produce una sintesi superiore alla somma delle parti. Sempre. È la stessa apertura che – come redazione – dovremo dimostrare nei confronti di quelli che un tempo avremmo chiamato lettori.

Wired è la testata che non solo parla di innovazione, ma è il primo magazine italiano a farlo adottando la formula del giornale piattaforma aperta, open source. L’innovazione non è solo il nostro core business, ma è anche la forma che utilizziamo per raccontarla. Molto è da inventare, ma proprio per questo ho già una certezza: ci sarà da divertirsi. E spero che questo piacere trasparirà da quel che pubblicheremo ogni giorno.

In bocca al lupo a tutti noi.

Massimo Russo

Digital 1st

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Cartellino Giallo

Come molti sapranno, ieri in prima mattinata è andato online il restyling del sito di Repubblica.it.  Il Direttore, Giuseppe Smorto, ha pubblicato un pezzo in cui spiega il senso dell’operazione, affermando che viene dato “più spazio alla multimedialità e al rapporto con i lettori” oltre che “una grafica più leggera che si adatterà a ogni tipo di computer o tablet”.

Le immagini sottostanti consentono di verificare il cambiamento grafico nel passaggio dalla vecchia versione a quella attualmente online.

- vecchia versione -

– vecchia versione –

- nuova versione -

– nuova versione –

Si dice sempre, dico spesso, che bisogna sperimentare e dunque voglio positivizzare quanto realizzato da Repubblica.it, immaginando, e sperando, che quel che si vede online attualmente sia l’inizio di un percorso e non la sua conclusione facendo appello al finale dell’articolo firmato da Smorto che conclude “e le sorprese non finiranno oggi”.

A parte una maggior pulizia grafica, che dal mio punto di vista è assolutamente apprezzabile, quel che si vede attualmente delude.

In sintesi:

  • A livello grafico l’evidenziazione in giallo è una delle prime cose che mi auguro venga rimossa il prima possibile.
  • La nuova impaginazione da ancora maggior spazio alla terza colonna, quella dei “boxini morbosi” per intenderci, e comprime la seconda. Se queste sono le priorità giornalistiche del quotidiano online più letto d’Italia ci attende un futuro triste.  Personalmente, a prescindere dai “boxini morbosi” avrei abolito le tre colonne passando a due, si tratta comunque di pagine fittissime, confuse e da blog più che da testata nazionale.
  • Il mantenimento del refresh delle pagine è un altro indicatore di cattiva qualità sia sotto il profilo dell’esperienza del lettore che magari a metà della lettura di un pezzo si trova a dover ricercare dove era rimasto a causa del ricaricamento che come indicatore del fatto che sia per fare più impression sui banner; siamo ancora [sigh!] alle pagine viste.
  • L’home page è eccessivamente lunga. Non è questo il modo, a mio avviso, di aumentare i tempi di permanenza sul sito.
  • Nel complesso mi appare “scialbo”, privo di personalità, di carattere distintivo.
  • Gli esempi di buone pratiche di design per l’home page di un quotidiano non mancano. Va bene la sperimentazione ma possibilmente con criterio. Non a caso le reazioni sono prevalentemente negative.
  • A prescindere dalle considerazioni sin qui effettuate poteva essere un’occasione per applicare, una volta tanto, i criteri di base del “Web 2.0” coinvolgendo i lettori sin dalla fase della costruzione si sarebbe sicuramente ottenuto un risultato migliore e si sarebbero coinvolti davvero, non solo in termini di dichiarazioni i lettori.

Insomma, rifacendosi ai parametri calcistici e richiamando la già citata evidenziazione, se non siamo al cartellino rosso il sito di Repubblica.it attualmente è sicuramente da cartellino giallo. I giornali vanno ripensati non ridisegnati, come giustamente afferma Francesco Franchi, art director di «IL», il mensile de «Il Sole24Ore». Peccato per l’occasione persa.

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 In tema, “bonus track”, l’articolo di Doc Searl: “The only way publishing can escape the forest of silos”.

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Un Innovativo Ecosistema per l’Informazione Digitale

E’ notizia di ieri che Flipboard ha raccolto altri 50 milioni di dollari per finanziare ulteriormente il suo sviluppo. Il nuovo finanziamento porta la valutazione della startup che fornisce il popolare servizio di “lettura sociale”, di aggregazione delle notizie, a ben 800 milioni di dollari, la metà della capitalizzazione di mercato del «The New York Times». Aspetto che fa riflettere su come la aggregazione di contenuti abbia attualmente per le persone, e per il mercato un valore superiore rispetto alla produzione di singole informazioni come dimostra la recente cessione a Jeff Bezos del «The Washington Post» per 250 milioni di dollari, poco più di un quarto del valore del più popolare degli aggregatori di notizie.

In questo quadro vede, finalmente, la luce Etalia, start-up fondata due anni fa dall’accelleratore d’impresa dell’Università della Svizzera Italiana, presentata in anteprima al Festival Internazionale del Giornalismo del 2012, che dopo un lungo periodo di raffinamento e beta test sarà lanciata il 7 Ottobre prossimo.

Anche se a prima vista Etalia potrebbe sembrare un altro aggregatore le differenze sono sostanziali sia in termini di logiche di aggregazione che di modello di business e, soprattutto, di revenue sharing

“Et alia”, “e altri” è una locuzione latina solitamente usata nelle citazioni, per indicare che oltre all’autore citato esistono anche altre fonti che trattano il medesimo argomento. Proprio quello che accade su Etalia, dove il punto di vista su una notizia non è mai unilaterale: su ciascun argomento il lettore può consultare una pluralità di fonti, confrontandole e contribuendo con un proprio contenuto, che potrà essere messo a disposizione degli altri utenti per arricchire il patrimonio di informazioni.

Etalia è una piattaforma per la diffusione di contenuti, che permette agli utenti di consultare e condividere notizie provenienti da molteplici fonti editoriali, aggiornate in tempo reale, costruire veri e propri giornali personalizzati e fondare nuove testate digitali. Il tutto incentivato da un innovativo modello di business.

Gli utenti di Etalia avranno a disposizione strumenti flessibili per la lettura e la produzione di news, in grado di ampliare le possibilità di accedere alle fonti di informazione con reciproci vantaggi per autori e lettori.

“I contenuti vengono importati sulle nostre macchine e sono indicizzati semanticamente, non ci limitiamo ad aggregarli”, ha spiegato Aldo Daghetta, CCO di Etalia e Country Manager di Etalia Italy, in una sua recente intervista sul «Corriere della Sera».

Per ogni articolo letto all’interno di Etalia, la piattaforma trattiene il 25 per cento della pubblicità mentre al sito consultato viene corrisposto il 75 per cento. A tutti, senza distinzione, dagli editori – che in molti casi hanno già sottoscritto accordi con la piattaforma – ai giornalisti freelance ed ai professionisti, ai blogger, Etalia offre un modello di business unico per monetizzare finalmente in misura adeguata il frutto della propria attività, introducendo un sistema di redistribuzione dei ricavi provenienti sia dalla vendita del contenuto sia dalla pubblicità associata, gestita da Adalia, una piattaforma prodotta internamente che venderà le inserzioni in base a un sistema d’asta in tempo reale.

I “journals” pubblicati su Etalia possono essere gestiti da una singola personaa opure, proprio come i giornali veri, da un gruppo di utenti, ciascuno con un suo ruolo e una sua prerogativa come avviene nelle redazioni.

Etalia è la nuova casa dell’informazione per andare oltre le singole fonti informative ed i tradizionali aggregatori di notizie, il primo information network su misura, totalmente personalizzato sulla base degli interessi dell’utente.

Etalia Locandina Presentazione

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Live Blogging e Coinvolgimento

Il live blogging è la produzione di un articolo che copra un evento, normalmente in ordine cronologico contrario, dal più recente al più “vecchio”, con aggiornamenti regolari, solitamente con distanze temporali ridotte nell’ordine dei minuti, arricchendolo con elementi multimediali e richiami ad altre fonti sia interne che esterne.

Uno studio del dipartimento di giornalismo della City University of London analizzando la produzione, la forma e il contenuto di 146 liveblogs pubblicati tra l’aprile 2011 e il giugno 2011 sul sito del «The Guardian» ha dimostrato come questa modalità, questo format giornalistico, faccia registrare una gran quantità di accessi e lunghissimo tempo medio di permanenza in pagina.

E’ questo un chiaro indicatore di come il lettore abbia un elevato coinvolgimento attraverso questa modalità, che spesso ha anche caratteristiche di interattività con lo stesso vuoi attraverso box di chat realizzati ad hoc o con l’utilizzo di specifiche hashtag su Twitter, con ben il 35 percento degli intervistati che dichiara di essere stata incollata allo schermo del PC “per quasi tutto il tempo” in cui si è sviluppato il liveblog.

Le implicazioni sono sia economiche che giornalistiche. Da un lato infatti il tempo speso dai lettori sul sito di un quotidiano, di una fonte d’informazione sarà sempre più un parametro qualitativo che influenzerà direttamente il valore riconosciuto dagli investitori pubblicitari, dalle aziende, per gli spazi promo-pubblicitari. Dall’altro lato permette di invertire il processo attualmente in corso di primato delle notizie da parte di Twitter riposizionando i giornali online come prima fonte d’informazione com’è naturale che sia.

Sul tema è stato pubblicato a fine luglio “Real-Time Journalism. Il Futuro della Notizia tra liveblog e coinvolgimento” di Lillo Montalto Monella, definito il “deus ex machina” del liveblogging in Italia da Anna Masera, che dal maggio 2012 lavora con ScribbleLive, azienda che si occupa di distribuire strumenti multimediali per lo storytelling in tempo reale.

Il libro è un vero manuale, sicuramente il primo in lingua italiana, che fornisce al lettore una analitica panoramica dell’argomento, con numerose case histories sia internazionali che della realtà nazionale, analizzando le implicazioni ed il valore del live blogging sia in termini di engagement, di coinvolgimento del lettore, che di opportunità economica derivante. Un prezioso strumento per tutte le redazioni e i freelance che volessero approfondire la pratica del giornalismo in tempo reale.

Real Time Journalism

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Modello di Business?

Il mio articolo di un paio di giorni fa su i conti delle testate pure digital italiane ha aperto un interessante dibattito sullo spinoso tema della sostenibilità dell’informazione, sulla ricerca di modelli di ricavo per il digitale ed in particolare per le pubblicazioni all digital.

Oltre agli interessanti commenti all’articolo, Massimo Russo, neo Direttore di «Wired» dopo una lunga esperienza lavoro in Kataweb, dal suo blog Cablogrammi, arricchisce il confronto sul tema con “Giornalismo, la difficile ricerca di modelli economici digitali” in cui fornisce l’aggiornamento a livello internazionale che [di]mostra che perlopiù anche al di là dei confini nazionali, nonostante una numerosità di pubblico potenziale decisamente superiore in realtà i casi nei quali vi sono ritorni economici degni di questo nome si contano sulla punta delle dita.

All’intervento di Russo si aggiunge quello di Marco Giovannelli, Direttore di «Varese News», uno dei pochi casi “virtuosi” nello sconfortante panorama generale, che fa il punto sulla questione osservandola dalla propria prospettiva, quella “glocal” delle testate, quale appunta quella da lui diretta, che fa di una specifica parte del territorio nazionale il proprio riferimento, affermando appunto che “il locale è un microcosmo interessante per comprendere meglio diversi fenomeni generali”, e che “il giornale deve essere strategico per il territorio. È nelle comunità di riferimento la sua forza, ben oltre i social o gli strumenti”.

Entrambi concordano che il binomio vendite-pubblicità non è, e non sarà mai più, un modello di business in grado di sostenere l’economia delle testate, siano esse all digital o meno, e che fondamentalmente si tratti di passare dal piedistallo allo sgabello per chi ha la capacità di guardare oltre i soliti, obsoleti, modelli di business.

Sempre Russo integra i sei punti chiave forniti nel precitato articolo partendo dalla segnalazione di un articolo di Jeff Jarvis secondo il quale la chiave di volta sta nella relazione con l’utente, con le persone, e con l’abile utilizzo dei dati forniti dalle stesse per profilare le scelte editoriali e costruire l’offerta pubblicitaria.

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L’idea dei dati, o del big data come si usa dire attualmente, senza nulla togliere nè a Russo nè tanto meno a Jarvis, non è nuova.

Alan Rusbridger, editor-in-chief del «The Guardian», durante l’open weekend promosso dal quotidiano anglosassosone a marzo dell’anno scorso, chiedeva cosa le persone fossero disposte a dare ai giornali in cambio delle notizie, elencando come scelte possibili: soldi, tempo e informazioni.

Dopo il lancio ad aprile di Google Customer Surveys, soluzione disponibile anche in Italia, soluzione alternativa concettualmente al paywall che propone un breve questionario al quale il lettore deve rispondere per poter avere accesso all’articolo completo, come segnalavo all’epoca dell’esordio, arrivano ora altre proposte e soluzioni in tal senso.

E’ infatti sempre sulla raccolta di dati, di informazioni, che si concentra la proposta di Enliken, disponibile a breve, che pensa di utilizzare le informazioni richieste agli utenti per meglio profilare la comunicazione pubblicitaria online utilizzando i loro dati come forma di micro pagamento per avere accesso a contenuti informativi premium e/o per avere accesso a promozioni particolari.

Ed è, ancora, recente l’annuncio del «The Washington Post» che ufficializza come il il gruppo di lavoro, lo staff interno al giornale, dedicato ai sondaggi che ora diventa un servizio che sarà realizzato non solo ad uso e consumo del giornale ma verrà offerto ai propri clienti, alle aziende, andando a costituire un’unità di business indipendente, una nuova fonte di ricavo per la testata statunitense.

A febbraio di quest’anno The Pew Research Center’s Project for Excellence in Journalism ha pubblicato lo studio “Newspapers Turning Ideas Into Dollars: Four Revenue Success Stories”. Musica per le orecchie di questi tempi.

Seppure la desk research si focalizzi sull’evoluzione, di successo, di quattro testate tradizionali, nate dal cartaceo, nel difficile passaggio al digitale, le idee che emergono sono certamente d’interesse anche per i pure players digitali. Si tratta infatti di quattro casistiche molto diverse tra loro dalle quali, al di là delle specificità, emerge, si conferma, come non esista LA soluzione ma sia possibile trovare UNA soluzione specifica per ciascuna realtà.

Insomma non esiste un modello di business ma esistono, si possono ricercare e plasmare, dei modelli che nel loro insieme garantiscano ricavi apprezzabili.

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Bonus track: Sul tema vale la lettura l’articolo pubblicato da ANSO, Associazione Nazionale Stampa Online.

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I Conti dei Quotidiani All Digital Italiani

Già il rapporto “Survival is Sucess”, realizzato a metà 2012 da Nicola Bruno e Rasmus Kleis Nielsen per il Reuters Institute for the Study of Journalism, aveva evidenziato come per le start up all digital dell’informazione del nostro paese la sopravvivenza fosse da considerarsi un successo.

Analisi delle difficoltà ad ottenere redditività che era stata poi confermata dallo studio “Chasing Sustainability on the Net : International research on 69 journalistic pure players and their business models”, che mostrava come le testate all digital italiane fossero ancora ben distanti dal generare ricavi che coprano i costi. Uniche eccezioni virtuose, per motivi diversi, «Varese News» e «YouReporter».

Una situazione critica che in questi giorni viene denunciata dal Direttore di «Q Code Mag», iniziativa editoriale sorta dalle ceneri di «E – Il Mensile» di PeaceReporter, che parla delle difficoltà del fare un giornalismo di qualità scrivendo che “il mercato è dopato: quella massa di click che raccogli attraverso un giornale e che riguardano temi non giornalistici – altro che caldi! – drogano costantemente il mercato e spingono le asticelle e le classifiche dei più cliccati in una dimensione di evidente e globale menzogna”.

Criticità che trasparivano con chiarezza dalla ricerca effettuata da Human Highway che, analizzando la fisionomia e l’immagine delle testate online nel nostro Paese, mostrava con chiarezza che i newsbrand restano quelli che nascono dalla carta, mentre gli all digital, ahimè, non sfondano dopo anni da loro lancio ormai e che sono ulteriormente confermate dall’analisi svolta da Claudio Plazzotta su «Italia Oggi» di venerdì 26 scorso.

Plazzotta ha raccolto i bilanci 2012 di «Linkiesta», News 3.0 [«Lettera43»], «Il Post», Società Editrice Multimediale [«Blitz Quotidiano»] e «Dagospia». Secondo quanto riportato tra le testate prese in considerazione l’unica a reggersi sulle proprie gambe, a produrre un utile, è quella realizzata da Roberto D’Agostino, che giustamente qualcuno ricorda come non sia solamente l’unico a macinare utili ma è anche l’unico a non produrre contenuti o, almeno, a prosperare in gran parte sul valore creato da altri. mentre tutte le altre presentano bilanci in perdita.

«Linkiesta», gravata da costi del lavoro insostenibili, continua a perdere 1 milione di euro all’anno [ed al terzo anno siamo dunque in rosso di 3 milioni di euro complessivamente], «Lettera43», pur a fronte di una crescita dei ricavi del 30% rispetto all’anno precedente aumenta le perdite accumulando anche in questo caso 1 milione di euro di rosso in bilancio. «Il Post» di Luca Sofri, ma sempre più di Banzai, quasi raddoppia i ricavi ma aumenta le perdite del 33% raggiungendo un buco di 480mila euro e «Blitz Quotidiano» resta stabile nei ricavi ma all’aumentare dei costi di produzione perde 142mila euro nel 2012. Non sono ancora disponibili i dati di «Affaritaliani» di Angelo Maria Perrino ma si tenga conto che l’utile del 2011 era stato di soli 2.500 euro.

Bilanci 2012 Testate All Digital

Se insomma la sopravvivenza è un successo e la stabilità un miraggio il rischio che le testate pure digital italiane seguano il percorso della free press cartacea è concreto.

Difficile dire cosa sia necessario fare, se non analizzando specificatamente ciascuna testata con tempi e costi che rientrano nella consulenza e non più nella divulgazione di questa TAZ, ma incrociando ricavi ed accessi, utenti unici, è chiaro ormai che la strada perseguita sin ora non è quella che paga, da nessun punto di vista.

Se escludiamo «Linkiesta», che però probabilmente è andata a cercare di ritagliarsi una nicchia troppo ristretta rispetto ai costi che sostiene, nessuna delle altre testate ha tratti distintivi in grado di creare valore aggiunto per lettori ed inserzionisti. Non è solo questione di qualità dei contenuti o di indipendenza delle testate, che infatti i lettori riconoscono sia a  «Linkiesta» che a «Il Post», ma di trattamento dell’informazione, di relazione con i lettori e di tipologia dell’offerta.

Qualcuno cortesemente mi spieghi, ad esempio, sempre con il massimo rispetto per tutti coloro che svolgono un lavoro onesto, perchè mai dovrei andare a leggere le notizie su «Blitz Quotidiano» invece che su «la Repubblica» o «Il Corriere» online.

Se avete la risposta avete la soluzione al problema, in caso contrario il problema è serio.

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