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Gli Imperi di Internet

Mark Graham e Stefano De Sabbata, basandosi su dati di Alexa al 12 agosto 2013, hanno mappato per “Information Geographies” i siti più visitati al Mondo per ciascuna nazione, dimensionando ciascun Paese in base alla penetrazione di Internet.

Complessivamente è Google ad avere il predominio assoluto in termini di numero di nazioni in cui è il sito più visitato e pesa il 50% del totale della popolazione mondiale attiva su Internet.

Seguono, il motore di ricerca cinese Baidu, Yahoo in Giappone e Yandex, altro motore di ricerca, in Russia. La ricerca di informazioni è dunque l’attività prevalente, più effettuata in Rete praticamente in tutto il pianeta.

Ai motori di ricerca si aggiunge Facebook che è il sito più visitato in 28 nazioni. E’ interessante notare come la predominanza del social network più popoloso al Mondo si concentri nelle nazioni di lingua castellana [lo spagnolo si parla anche nelle Filippine] e in buon parte dell’Africa con i Paesi della cosiddetta “primavera araba” in prima fila.

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Ricavi Immobili

L’utilizzo della Rete in mobilità è in fortissima crescita in tutto il mondo grazie all’esplosione di smartphone e tablet. Di pari passo la raccolta pubblicitaria che, seppure rappresenti una parte ancora decisamente modesta del totale degli investimenti pubblicitari sul Web, presenta tassi di crescita molto importanti.

Se già il mercato degli investimenti pubblicitari online ha fortissimi tassi di concentrazione con Google che da solo ne detiene oltre un terzo a livello mondiale e Facebook con una quota superiore al 5%, per circa il 40% del totale nelle mani di due soggetti, come mostra la tavola di sintesi pubblicata da eMarketer a metà giugno di quest’anno, la situazione per il mobile advertising pare ancora peggiore.

Infatti non solo il livello di concentrazione delle risorse è ancora maggiore, con ancora una volta Google e Facebook a dominare la scena con in questo caso ben il 60% del totale, ma la tendenza pare essere quella di un incremento del predominio di pochi soggetti.

Come mostra il grafico di sintesi sottostante la raccolta pubblicitaria degli “altri” è in calo vertiginoso. A vedere i trend in atto la crescita, anche della lettura di notizie in mobilità, e dunque degli accessi, non pare essere foriera di positività per gli editori.

Forse è giunto il momento di una miglior definizione, di una ridefinizione di cosa sia effettivamente advertising online e di quali siano le reali opportunità per il comparto editoriale o forse di immaginare, e sperimentare, come  generare ricavi dall’informazione online a senza affidarsi esclusivamente alla  pubblicità. Probabilmente, direi, entrambe le cose.

mobile-revenue

Bonus track: Sul tema dei ricavi per l’editoria, dei modelli di business, da leggere ” A Tale of Two Online Business Models”

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Tyrannosaurus Rex

Ieri, dopo tanta attesa, è stata approvata in Germania la legge sul copyright sul Web  che in molti avevano ribattezzato “legge anti-Google”.

Rispetto alle intenzioni iniziali ed alle attese degli editori tedeschi la legge è stata “annacquata” e, come riferisce il «The Financial Times», all’ultimo momento nella legge è stato inserito un paragrafo che consente ancora di pubblicare piccoli porzioni di testo, estratti, senza chiedere permesso e pagare una fee per farlo.

La definizione di estratto e la sua quantificazione in termini di numero di parole darà probabilmente spazio ad una negoziazione tra Google e gli editori teutonici per quanto riguarda Google News, così come già avvenuto in Belgio ed in Francia recentemente, che non è difficile prevedere si concluderà con l’ennesima vittoria di Pirro.

Fonti notizie USA UK Germania

Gli editori, alla disperata ricerca di fonti di ricavo, vogliono far pagare Google per la pubblicazione dell’anteprima dei loro contenuti anche in Italia, con la FIEG schierata in prima fila nella “sacra battaglia”, e più in generale nel resto d’ Europa.

Google News genera se miliardi di click verso i siti d’informazione ed i criteri dell’algoritmo tendono a favorire i media tradizionali portando di fatto un vantaggio non indifferente agli stessi.

Claudio Giua, Direttore sviluppo e innovazione del Gruppo Editoriale L’Espresso, è intervenuto recentemente sulla questione affermando che più che di Google News, che “non fa pubblicità, quindi non sottrae risorse agli editori”, ma di Google in generale e della sua straordinaria capacità di capacità di monetizzazione di contenuti altrui grazie alla “posizione di monopolista della ricerca in rete e di semi-monopolista della pubblicità sulla rete”.

Peccato che di fatto la rilevanza in termini di ingressi pubblicitari per Google dalle notizie sia scarso o nullo come ha ben spiegato [qui tradotto in italiano] Frédéric Filloux che ha analizzato le ricerche effettuate dagli utenti e le keywords, le parole chiave di maggior valore, vendute a maggior prezzo da Google. 

La miglior sintesi su come affrontare la questione è stata espressa da Louis Dreyfus, CEO di «Le Monde» dopo l’accordo raggiunto in Francia che spiega “…questo accordo non cambia il modello economico della stampa e coloro che si basano sugli aiuti, siano essi il fondo di Google o i fondi statali, per tirare avanti sbagliano. I media possono contare solamente su se stessi e sulla capacità di rinnovare la propria offerta per uscire dalla crisi”.

Concetto che già nel 2007 Don Tapscott e Antony D. Williams in “Wikinomics” esprimevano ricordando un concetto, che volendo ben vedere dovrebbe essere basico, tra i fundamentals di qualunque impresa, scrivendo che è la creazione di valore [aggiunto] per il cliente, per le persone, NON il controllo la risposta da dare nella digital economy.

Che molti editori, molte testate, a cinque anni di distanza non l’abbiano ancora compreso è oltremodo preoccupante, indice di mentalità da Tyrannosaurus Rex che rischia di portarli all’estinzione come mostra il video sottostante nella meravigliosa animazione 3D.

Update: Il NYTimes spiega che la legge “anti Google” è passata solo al Bundestag, non al Bundesrat e quindi non è ancora ratificata. inoltre al Bundesrat hanno la maggioranza i verdi ed i socialdemocratici e quindi, per quanto “annacquata”, non è detto che passi. Credo che, comunque, il mio ragionamento resti valido. Comment is free!

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Tanto Rumore per Nulla

Come certamente molti ricordano la settimana scorsa è stato siglato l’accordo tra Google e l’Association de la presse d’information politique et générale, associazione della stampa francese nata nel maggio del 2012 proprio per rinforzare la capacità negoziale nei confronti del colosso di Mountain View.

L’accordo prevede la creazione di un fondo destinato a sostenere lo sviluppo dell’informazione online per un importo nei prossimi 3-5 anni di 60 milioni di euro e segue quello raggiunto a metà dicembre in Belgio del quale non sono però stati resi noti i termini economici rimandando ad una generica collaborazione tra i giornali in lingua francese e Google.

Ora Francisco Pinto Balsemao, Presidente dell’EPC [European Publishers Council], secondo quanto riportato da Reuters,  dice che l’offerta di Google deve essere estesa in tutta Europa. Necessità che tra gli altri anche il Presidente della FIEG, Giulio Anselmi, ha ribadito recentemente.

The Media Briefing, in un articolo sulla questione, parla giustamente di vittoria di Pirro mostrando quale sia l’incidenza dei 60 milioni di euro rispetto al fatturato del settore in Francia ma anche solo rispetto a quello del Figaro Group.

Come spiega Louis Dreyfus, CEO di «Le Monde»: “…questo accordo non cambia il modello economico della stampa e coloro che si basano sugli aiuti, siano essi il fondo di Google o i fondi statali, per tirare avanti sbagliano. I media possono contare solamente su se stessi e sulla capacità di rinnovare la propria offerta per uscire dalla crisi”.

Tanto rumore per nulla.

Google Contributi Francesi

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Politica & Engagement dei Quotidiani Online

Il Giuramento di Obama per il secondo mandato come Presidente degli Stati Uniti è stata occasione per molti quotidiani online in lingua inglese di testare, di sperimentare modalità e format per coinvolgere il lettore, le persone. Oltre al caso di “Live Grid” del «The Washington Post» segnalato precedentemente, diverse sono state le proposte.

E’ il caso del «The Guardian» che nella sua versione dedicata agli USA ha chiesto ai propri lettori di esprimere consigli, richieste e critiche ad Obama raccogliendo quanto proposto in un unico spazio interattivo creato ad hoc NEL proprio sito web.

Message 4 Obama

Concettualmente simile l’idea del «The New York Times» che, appunto ha chiesto ai residenti nel District of Columbia, quello di Washington dove risiedono “i vicini di casa” di Obama, di esprimere i loro pensieri raccogliendo però in questo caso messaggi audio e video.

Più interessante “Build your own speech”, sempre del «The New York Times», che in una sorta di “gioco” per costruire il proprio discorso inaugurale partendo da un questionario con 5 domande multiple choice.

Discorso Inaugurale NYTimes Obama

In maniera simile al «The New York Times» anche il «The Boston Globe»  ha prodotto una proposta interattiva che favorisce il coinvolgimento del lettore ed il tempo di permanenza sul sito. La realizzazione del quotidiano di Boston si basa sulla ricerca di parole scelte dal lettore che vengono visualizzate con dei grafici interattivi mostrando da quali Presidenti degli Stati Uniti sono state pronunciate ripercorrendo i discorsi inaugurali di elezione dal 1933 ad oggi, a quello di Obama.

Freedom Obama

Tutte iniziative che con sentono di coinvolgere il lettore beneficiando dei volumi di traffico  e del tempo speso sul sito che questo può generare. Ma invece i giornali italiani a meno di un mese dalle elezioni politiche 2013 che fann0?

L’iniziativa più interessante è quella del quotidiano piemontese «La Stampa» che in collaborazione con LA7 e Google ha creato su Google+ uno spazio dedicato alle elezioni. Se l’iniziativa sulla rete sociale di Google è tesa principalmente a “creare brand” è lo spazio realizzato ad hoc per l’occasione sul sito che assolve ad altre funzioni di engagement .

In particolare sono interessanti dal mio punto di vista “il gioco”, costituito come nel caso del «The New York Times» da un questionario con 20 domande multiple choice per scoprire chi tra i leader politici in corsa corrisponde di più alle proprie idee e priorità. Apprezzabile iniziativa che però avrebbe richiesto di maggior trasparenza sull’algoritmo utilizzato per la realizzazione onde evitare sospetti di malcelati intenti promozionali a favore di questo o quel candidato [#].

Interessante altrettanto la possibilità offerta al lettore di creare un proprio manifesto politico anche se al momento il riscontro non pare essere elevato con soli 48 utenti che hanno colto questa possibilità al momento della redazione di questo articolo.

Ed ancora “La macchina della verità” che verifica ogni giorno le affermazioni dei politici con un autorevole fact-checking, messo a punto dalla redazione del giornale grazie alla collaborazione con i ricercatori della Fondazione Hume diretta dal professor Luca Ricolfi e “Le voci della politica” che permette di verificare le attività dei partiti e dei principali candidati sui social network e osservare come Facebook e Twitter reagiscono ai messaggi.

Iniziativa che resta praticamente unica a soli 30 giorni dal voto con «La Repubblica» che invece si dedica ad attività off line riproponendo “La Repubblica delle Idee” il 2 e 3 febbraio a Torino e «Il Sole24Ore» che realizza uno spazio ad hoc per le elezioni estremamente statico, tradizionale, eccezzione fatta per l’analisi del mood su Twitter e “Live Twitter” che comunque si limita a proporre i tweet dei candidati senza interattività e coinvolgimento del lettore che resta spettatore; un’occasione sprecata a pochi giorni dal lancio del nuovo sito del quotidiano di Confindustria.

Le voci della Politica

[#] Che sia chiaro che non sostengo che vi sia manipolazione, sostengo che bastava pensarci [è spesso “l’ultimo miglio” che fa la differenza] e dichiarare come è stato costruito.

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I Dati di Traffico da Facebook ai Siti d’Informazione

Ben Elowitz, co-fondatore e CEO di Wetpaint, sito di notizie di gossip che ha sviluppato una piattaforma tecnologica fortemente incentrata sull’attirare traffico dai social media ed in particolare da Facebook, che da qualche mese è a disposizione degli altri editori, ha pubblicato in questi giorni i dati sulle testate più social, sui top 50 siti d’informazione in lingua inglese che hanno il maggior traffico da Facebook.

Dai dati pubblicati, escludendo Wetpaint, emerge come in percentuale sia BuzzFeed a trarre il maggior beneficio da Facebook che apporta il 18,5% delle visite nel mese di novembre.  Si evidenzia come nelle prime 5 posizioni siano 4 i siti di gossip ed uno dedicato alla musica ed al tempo libero, allo svago degli adolescenti, a beneficiare maggiormente di Facebook.

A valori assoluti è invece Huffington Post [versione USA] ad avere il maggior numero di visitatori con ben 7,5 milioni di click che arrivano dal social network. Seguono CNN e Fox News.

La prima testata tradizionale, il primo sito d’informazione di una fonte informativa che ha anche una propria versione cartacea è il «The Guardian» che ha il 5,6% del traffico da Facebook, seguito dal «The New York Times» con il 4,1%. Il quotidiano statunitense, che ha circa 10 milioni di utenti unici mensili in più rispetto a quello britannico, ottiene il maggior volume di visitatori: 2,1 milioni di visite nel mese.

Traffico % Facebook

Osservando il numero di fans, di “mi piace” sulle pagine Facebook delle testate in questione non pare esservi una correlazione tra traffico generato e numerosità di fans. Al riguardo basti vedere la pagina di BuzzFeed e quella del NYTimes.

Resta dunque da capire se, come parrebbe, sia una questione di interessi prevalenti per coloro che sono iscritti al social network più diffuso al mondo, o se invece sia una questione di trattamento, di linguaggio e relazione tra chi cura la pagina su Facebook e le persone che la popolano. Tema da approfondire con un’analisi ad hoc.

Qualunque sia l’ipotesi quel che è certo è che Google resta di gran lunga il principale riferimento per generare traffico ai siti delle testate d’informazione con un numero di utenti che per tutto il 2012 è sempre stato abbondantemente superiore come mostra l’immagine sottostante.

Dati che, nella mia interpretazione, hanno una doppia valenza. Da un lato evidenziano una bassa fedeltà alla testata. I lettori, le persone, cercano la notizia e non la fonte specifica. Dall’altro lato l’ennesimo ridimensionamento per le testate tradizionali di quello che Frédéric Filloux sapientemente aveva definito“sharing mirage” frutto, su questo sì non ho dubbi, di un utilizzo dei social media come semplice amplificatore, come megafono e non come mezzo di ascolto e di relazione con le persone.

Facebook-v.-Google

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Indagine Conoscitiva sulla Raccolta Pubblicitaria

A fine novembre, il 29, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha pubblicato il testo dell’indagine conoscitiva sulla raccolta pubblicitaria. Analisi che fornisce un quadro delle dinamiche di mercato e indaga il funzionamento concorrenziale del settore della comunicazione pubblicitaria consentendo a neofiti, penso a studenti e “curiosi”, di  apprendere lessico e meccanismi della comunicazione pubblicitaria e di approfondire, volendo, grazie alla sostanziosa bibliografia, e permette ai professional del settore di avere una fotografia sia dell’above the line che del below the line tanto dettagliata quanto rilevante.

Il documento, liberamente scaricabile, si compone di 236 pagine, tutte da leggere ancora una volta.  Per quanto riguarda la pubblicità sui mezzi di comunicazione tradizionali e innovativi [above the line], i mezzi pubblicitari oggetto dell’indagine sono stati:

  •  televisione [generalista e specializzata]
  • radio
  • cinema
  • quotidiani
  • periodici
  • annuari
  • affissioni/esterna
  • internet.

Mentre, in riferimento alle attività di marketing di relazione [below the line], le categorie interessate dall’indagine sono state:

  • promozioni
  • direct marketing classico
  • web marketing/digital marketing
  • eventi
  • sponsorizzazioni
  • pubbliche relazioni.

L’indagine, effettuata da GFK Eurisko per conto di AGCOM, si è composta di 84 domande mediante l’utilizzo di tre metodologie proposte in modo alternativo alle aziende: 1) un questionario telefonico effettuato da un operatore [metodologia denominata CATI – Computer Assisted Telephone Interviewing]; 2) un questionario in formato elettronico autocompilato [metodologia denominata CAWI- Computer Assisted Web Interviewing]; 3) un questionario cartaceo auto compilato da inviare via email o fax. Nel complesso sono state realizzate un numero di interviste pari a 1.518, svolte tra febbraio e giugno 2012.

Mezzi di comunicazione_Due versanti

L’indagine conoscitiva si articola nel modo seguente:

Il capitolo 1 fornisce l’inquadramento teorico e delinea il quadro d’insieme dell’indagine, suddividendo il settore della comunicazione pubblicitaria in base alle tre componenti fondamentali [domanda, offerta e attività di intermediazione], nonché nei due comparti, above e below the line.

Il capitolo 2 offre uno studio del funzionamento del mercato dell’intermediazione pubblicitaria descrivendo il ruolo svolto dai centri media nel sistema pubblicitario, le caratteristiche dei rapporti giuridici ed economici intercorrenti fra centri media, inserzionisti e concessionarie di pubblicità, con un approfondimento sui servizi di media auditing. Il capitolo offre, quindi, l’analisi concorrenziale del mercato e dei fallimenti di mercato ove presenti.

Il capitolo 3 presenta una panoramica di tutto il settore della comunicazione pubblicitaria nazionale, con un’analisi della segmentazione tra attività above e below the line. Una volta accertata la distinzione di tali due ambiti, viene analizzata la pubblicità su tutti i mezzi di comunicazione nel loro complesso, rimandando al capitolo 6 l’approfondimento sul marketing di relazione.

Nel capitolo 4, lo studio approfondisce le relazioni di sostituibilità tra i vari mezzi di comunicazione, analizzando successivamente l’assetto concorrenziale e gli eventuali fallimenti dei singoli ambiti di mercato. In tal senso, vengono esaminati disgiuntamente i mercati pubblicitari della raccolta pubblicitaria televisiva, radiofonica, sui quotidiani, sui periodici, sugli annuari, presso le sale cinematografiche, nonché quella esterna.

Il capitolo 5 esamina il mercato della pubblicità su internet, che rappresenta al momento ed in prospettiva l’ambito sicuramente più dinamico. Vengono analizzate le principali caratteristiche del versante degli utenti [con l’offerta di servizi internet al pubblico], per poi concentrarsi sul versante pubblicitario. Lo studio investiga inoltre l’attuale struttura delle relazioni commerciali tra inserzionisti e concessionarie, anche qualora esse siano intermediate. L’analisi dell’assetto competitivo del mercato e dei vari segmenti che lo compongono con la disamina delle attuali criticità concorrenziali conclude il capitolo.

Nel capitolo 6 viene svolto l’approfondimento del comparto delle iniziative di comunicazione del below the line, attraverso, anche in questo caso, una disamina delle tendenze in atto. Il capitolo si compone anche di una breve analisi della struttura dell’offerta.

Sintesi ricavi pubblicitari per mezzo above & below

Alcune “pillole”, estratti dalle varie parti del rapporto che mi sembra particolarmente interessante segnalare.

Fortissima concentrazione sul mercato dei centri media con pochi players che si dividono la torta e, in particolare, predominio assoluto di WPP che da solo detiene una quota mai inferiore al 40% del totale. Una delle tante anomalie del sistema pubblicitario nazionale rispetto alle altre nazioni con Francia che ha un assett dell’intermediazione non concentrato e, tra gli altri, Gran Bretagna e Stati Uniti che invece ne hanno uno moderatamente concentrato.

La quota di investimenti pubblicitari above the line amministrata dai centri media è del 76,4% per la televisione, scende per quotidiani e periodici, rispettivamente al 53,3% e 41,2%, mentre domina assolutamente Internet con una quota molto vicina al totale [95,8%].

Concentrazione anche nel numero di imprese che investono in comunicazione pubblicitaria che sono di gran lunga inferiori anche a nazioni quali la Spagna.

Come mostra la tavola di sintesi sotto riportata, la comunicazione d’impresa in Italia è un’affare per pochi. Se per mezzi quale la televisione si tratta di una questione di soglia d’accesso al mezzo, in termini di livello d’investimento, la bassa penetrazione di altri media, Internet incluso, [di]mostra come il problema sia fondamentalmente culturale, di approccio.

Accesso ai Mezzi Pubblicitari

La comunicazione pubblicitaria nel nostro Paese ha un dominatore assoluto: Fivinvest. L’impresa controllata dalla famiglia Berlusconi ottiene il 36% di tutti gli investimenti pubblicitari above the line in Italia; per confronto RAI/Sipra, il secondo operatore del mercato, ha una quota di un terzo [13,8%].

Quota che sale al 57,2% per quanto riguarda gli investimenti solo sulla televisione [RAI 21,7%, SKY 6%, Telecom/La7 3,9%], ennesima anomalia di questa nazione se si pensa che in Francia e Regno Unito il primo operatore si assesta al 43% e negli USA scende addirittura al 25%.

Distrosione ancor più pesante poichè il gruppo Finivest, attraverso la controllata Mondadori, detiene anche la leadership della raccolta pubblicitaria nel segmento dei periodici con ricavi, nel 2011, per 181 milioni di euro pari al 13,8% del totale. Spiega l’Autorità per la garanzie nelle comunicazioni nel rapporto che “siffatto inefficiente assetto competitivo rischia, infatti, di riverberarsi sull’intero sistema pubblicitario anche in considerazione dei legami sussistenti con i [maggiori] centri media. Altre problematiche presenti nel mercato riguardano le strategie di vendita delle inserzioni [sempre da parte di detti soggetti] e la rilevazione delle audience”.

Gli indici di concentrazione della televisione, fortunatamente, non sono presenti negli altri mezzi ad eccezione dell’online, anch’esso estremamente concentrato come vedremo di seguito.

L’assetto competitivo del mercato della pubblicità sui quotidiani è decisamente più concorrenziale con i primi quattro operatori che detengono complessivamente oltre la metà [55%] delle risorse totali. Il principale operatore è il Gruppo Editoriale Espresso-Repubblica che raccoglie oltre il 20% delle risorse pubblicitarie, seguono RCS Mediagroup con una quota di mercato superiore al 16%, il gruppo Caltagirone con il 10,8%, il Sole 24 Ore con il 7,4%.

Rilevante la quota di pubblicità locale che pesa quasi il 50% del totale.

Per quanto riguarda Internet e la raccolta pubblicitaria online il rapporto, che vi dedica un intero capitolo ad hoc [capitolo 5], attinge ad informazioni che vista la velocità, la dinamicità del mezzo se non superate sono decisamente datate. Ciò nonsotante, vi sono alcuni aspetti che vale la pena di riprendere, di sottolineare.

Una particolarità dell’Italia è che la fruizione web si dimostra più news oriented di quella internazionale con un incremento della posizione di molti siti di quotidiani italiani dal 2009 al 2011, e con un aumento degli indicatori di traffico, che si traduce in una crescita superiore al 40% negli utenti unici mensili, pari ad un incremento di circa il 3% degli internauti, e del 4% del consumo medio mensile per utente [vd. tabella 5.2 a pag 194].

Tendenza positiva che era già emersa con chiarezza nel rapporto 2012 sull’industria dei quotidiani realizzato dalla FIEG ma che nell’ultimo periodo pare essere caratterizzato da un calo del numero pagine viste e da una crescita esponenziale del traffico video per i siti dei quotidiani online.

I dati della tabella sottoriportata, pur scontando, come dicevo, lo scarso aggiornamento [incomprensibile per un rapporto stilato dal giugno 2012 in poi che i dati si fermino al 2011] evidenzia come nelle prime posizioni per audience online in Italia non vi siano siti dedicati all’informazione, alle notizie in senso stretto. Alla luce della recente acquisizione di Virgilio da parte di Libero il gruppo neo-nato, nascente, sarebbe il primo nel nostro Paese per audience.

Prime 15 società nel web in Italia

Se pensando ad Internet l’immaginario collettivo tende verso libertà e democratizzazione la realtà, almeno dal punto di vista dei ricavi della raccolta pubblicitaria racconta una storia diversa.

Purtroppo AGCOM per Google e Facebook non inserisce le cifre esatte dei ricavi [e neppure per Microsoft], ma le percentuali non lasciano dubbi, con l’azienda di Mountain View che detiene tra il 40 ed il 60% del totale mercato, search + display ovviamente. Se Facebook è al secondo posto per audience non altrettanto avviene per i ricavi che lo collocano all’ultimo posto tra i big players, dopo RCS Mediagroup, Espresso-Repubblica e Gruppo Sole24Ore per restare in ambito editoriale [vd tabella 5.7 pag 213].

In conclusione, si può ritenere che il mercato pubblicitario on line presenti caratteristiche di elevata concentrazione e di criticità concorrenziale, anche alla luce delle numerose pratiche adottate sul mercato dall’operatore leader, Google. Strozzature concorrenziali nella raccolta pubblicitaria on line che inevitabilmente determinano effetti negativi sia sulla natura stessa, aperta e competitiva, di internet sia sulle informazioni e notizie a disposizione di cittadini e utenti.

In conclusione, il rapporto, che torno ad invitarvi caldamente a leggere integralmente, è la fotografia di un Paese, il nostro, [a]normale sia sotto il profilo della raccolta pubblicitaria che della propensione alla comunicazione da parte delle imprese. Istantanea che fa riflettere sulle implicazioni che ha il sistema a due versanti dei mezzi di comunicazione e sulla necessità di trovare nuove fonti di ricavo anche sotto questo profilo.

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E’ il Web, Bellezza

Gli editori, alla disperata ricerca di fonti di ricavo, vogliono far pagare Google per la pubblicazione dell’anteprima dei loro contenuti. Si tratta di una vecchia storia tornata prepotentemente alla ribalta dalla seconda metà di ottobre in poi.

In Brasile 150 giornali, che rappresentano circa il 90% del lettorato nazionale, hanno deciso di uscire da Google News dopo che il più importante motore di ricerca si era rifiutato di dare loro una compensazione economica per la pubblicazione. Decisione che avrebbe avuto un impatto modesto, con un calo degli accessi alle edizioni online dei quotidiani brasiliani di soltanto il 5% e che successivamente ha portato ad un accordo di natura sperimentale per il quale durante i prossimi sei mesi Google pubblicherà solamente titolo dell’articolo e una sola riga di anteprima invece delle tre che riporta usualmente.

Anche in Europa il fronte degli editori ha deciso di [ri]aprire la partita contro l’azienda di Mountain View.

In Francia il Presidente Hollande ha incontrato Eric Schmidt, Presidente di Google, “invitandolo” a trovare un accordo entro la fine di quest’anno con gli editori transalpini pena una legge nazionale che sancirebbe un fee, una royalty da versare alle testate. Ipotesi relativamente alla quale la posizione di Google è chiara.

In Germania è in corso di approvazione una legge che estenderebbe il copyright alla pubblicazione di estratti di articoli nei risultati dei motori di ricerca imponenedo un canone agli aggregatori, come Google News, in una forma analoga a come opera attualmente la SIAE nel nostro Paese per, ad esempio, la riproduzione di brani musicali. Ipotesi che secondo molti, a prescindere da altre considerazioni, finirebbe per beneficiare esclusivamente i grandi editori penalizzando il diritto d’autore dei giornalisti favorendo la formazione di monopoli.

Le motivazioni sono ben riassunte nell’articolo di ieri pubblicato sul Corsera e redatto da Serena Danna: da un lato molti sostengono che — mostrando titoli e anteprime degli articoli — Google riduca la possibilità per ogni pezzo di essere letto sul sito d’origine e dall’ altro lato si ritiene che il celebre motore di ricerca si arrricchisca, con i proventi derivanti dall’ advertising, grazie ai contenuti che gli editori. Da qui in buona sostanza la richiesta di un esborso economico, di una compensazione.

Per chi volesse comprendere come funziona l’algoritmo di Google News e quali siano i 10 fattori chiave nella scelta della rilevanza attribuita a ciascuno articolo, a ciascuna testata, esiste un’area dedicata allo scopo che, se posso, consiglio assolutamente di visitare.

Top 10 Most Important Google News Ranking Factors

Al di là degli aspetti tecnologici, quale sia la rilevanza in termini di ingressi pubblicitari per Google dalle notizie è ben spiegato da Frédéric Filloux che ha analizzato le ricerche effettuate dagli utenti e le keywords, le parole chiave di maggior valore, vendute a maggior prezzo da Google. Analisi [qui tradotta in italiano] secondo la quale il valore apportato dagli editori sarebbe scarso o nullo.

Anche i timori che le anteprime mostrate dall’aggregatore di notizie di Google limitino le visite ai siti web sembrano assolutamente infondati. Secondo i dati pubblicati da PEW Internet infatti mediamente circa il 30% delle visite arriverebbe proprio da Google. Una realtà della quale recentemente sembra essersi accorto anche Rupert Murdoch che per anni aveva combattuto un’aspra battaglia contro il motore di ricerca.

Le motivazioni degli editori sono pressochè inconsistenti oltrechè anacronistiche.  Inconsistenti sotto il profilo del vantaggio economico portato ed anacronistiche sia poichè non tengono conto della cultura della circulation, processo che i social media hanno reso inarrestabile, che perchè, comunque vada a finire la disputa con Google nelle diverse nazioni, quando e qualora riuscissero ad ottenere una compensazione economica si inserirebbero [ancora una volta?] in un segmento di mercato, per così dire, calante. Infatti, nonostante le continue migliorie, gli aggiornamenti che Google produce, anche, per Google News, il ruolo dell’aggregatore è destinato a calare soppiantato sempre più da aggregatori sociali di seconda generazione quali, per citarne alcuni, Zite, Flipboard e Prismatic oltre che da realtà editoriali emergenti, quali, uno per tutti Buzzfeed.

Come scrivevano Don Tapscott e Antony D. Williams già nel 2007 in “Wikinomics” è la creazione di valore [aggiunto] per il cliente, per le persone, NON il controllo la risposta da dare nella digital economy. Che molti editori, molte testate, a cinque anni di distanza non l’abbiano ancora compreso è oltremodo preoccupante.

Questa non è la stampa, è il Web, bellezza!

Ad integrazione, sempre in tema ovviamente, si consiglia la lettura di: We Can Save Newspapers by Destroying The Web e Does Google Even Need Newspaper Publishers?

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Presente e Futuro Digitale dell’Italia

Di ritorno dall’Internet Festival della scorsa settimana, nella mia rubrica settimanale per l’European Journalism Observatory si parla di presente e futuro digitale del nostro Paese.

Un excursus sulla 4 giorni pisana dedicata alla Rete, il punto della situazione attuale, sintetizzato dalle parole del Presidente di Google per l’area Seemea [Europa Sud e Est, Medio Oriente e Africa] al festival e i dati pubblicati da «La Voce» sempre in questi giorni che tracciano per l’ennesima volta l’arretratezza italiana, ultima della fila in Europa, anche, su questo fronte.

Arretratezza che dovrebbe iniziare un percorso di recupero grazie alle misure contenute nel decreto sviluppo varato la scorsa settimana che ha previsto, tra le altre, misure per incentivare la costituzione e lo sviluppo di nuove imprese innovative, la realizzazione di infrastrutture, la riduzione del digital divide, sperando che l’agenda digitale non resti nelle buone intenzioni, come spesso avviene, divenendo un taccuino.

Buona lettura.

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Global Digital Media Trendbook 2012

World Newsmedia Research Group, associazione mondiale no profit di ricerca strategica sui media, con il supporto dell’ European Publishers Council, della FIPP e di Vislink,  ha rilasciato pochi giorni fa “The Global Digital Media Trendbook 2012”, ricerca giunta alla settima edizione sulle tendenze, le evoluzioni dei digital media a livello globale.

Il rapporto conclusivo può essere acquistato a 300 € mentre la sintesi dei risultati principali è disponibile gratuitamente facendone richiesta per mail.

Al di là di tendenze già note, a cominciare dal calo degli investimenti pubblicitari su quotidiani e periodici e della forte crescita dell’advertising online, della quale però l’industria dell’informazione beneficia solo in minima parte, si evidenzia una fortissima concentrazione, ancora una volta, del mercato pubblicitario con 10 nazioni, tra le quali seppur all’ultimo posto figura anche l’Italia, che rappresentano il 72,7% di tutti gli investimenti in advertising ed il resto del mondo a solo il 27,3%.

Altrettanta concentrazione per l’advertising online [search inclusa], come già emergeva dal rapporto annuale realizzato da PEW Research Center’s Project for Excellence in Journalism: “State of the News Media 2012”, con le prime 5 aziende che raccolgono ben il 67,7% del totale degli investimenti pubblicitari online tra le quali Google pesa da solo ben il 40,6%. Valori in gioco che spiegano sia la guerra degli editori contro l’azienda di Mountain View che una parte delle difficoltà a ottenere ricavi significativi dal Web per l’industria dell’informazione.

Minore la concentrazione nella sola categoria display dove i primi 5 pesano il 47,4% del totale con Facebook e Google che detengono rispettivamente il 14% ed il 13,8%.

In Europa nel 2011 i video pesavano il 44% del totale della raccolta pubblicitaria online, i social network il 37% e il mobile il 18%. Secondo quanto pubblicato nel rapporto gli investimenti sul mobile dovrebbe crescere in maniera esponenziale raggiungendo nel 2015 una quota del 29%, crescita quasi tutta a scapito dei social network. Non a caso Facebook ha cominciato a risalire in borsa dopo aver annunciato di aver iniziato a testare una sua piattaforma per la pubblicità su mobile.

Per quanto riguarda specificatamente l’Italia il valore dei servizi acquistati da mobile dovrebbe crescere dai 160 milioni di dollari del 2011 ai 681 del 2015; una previsione forse eccessivamente ottimistica visto che, come evidenzia il rapporto stesso, siamo il Paese che, dopo la Spagna, ha il minor livello di downloads delle app per tablet e smartphones sia a pagamento che gratuite. Ipotesi che parrebbe confermata anche dall’incidenza di solo il 34% dei possessori di smartphones che in Italia accedono ad Internet quotidianamente da questo mezzo, da questo device.

Infine, nelle 25 nazioni prese in esame dalla ricerca le attività più comunemente svolte online sembrano essere la visione di video, l’utilizzo di posta elettronica e l’acquisto di prodotti, un’attività quest’ultima che, seppure in forte sviluppo, non riguarda certo l’Italia. Gli aggregatori, anche se il dato non è recentissimo, sono ancora appannaggio di una ristretta fascia di utenti.

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