Questo NON è un Blog

Ci sono termini che vengono usati convenzionalmente sino a perdere il loro significato divenendo una “parola scatolone”, un  termine che vuol dire tutto e nulla per quanto è vago. Uno di questi termini è sicuramente blog e, peggio ancora, il suo derivato blogger, colui che, come noto, scrive, appunto, un blog.

Si stima che i redattori di “blog” che pubblicano “post” [iniziamo a virgolettare questi termini] in modo continuato in Italia, sarebbero circa 500mila, una popolazione enorme che, per le ragioni più diverse, ha voglia di esprimersi e di entrare in relazione con altri a distanza, su Internet.

Originariamente, l’insieme dei comportamenti e del lavoro in Rete di queste persone costituiva la “blogosfera”, termine usato per la prima volta undici anni fa dall’inglese Brad L.Graham per denotare il sistema aperto e interconnesso di “blog”, che viene configurato progressivamente dai “blogger”: un sistema che produce conoscenze in quantità superiori a quelle generate finora dall’umanità nei millenni passati.

Oggi i “blog” sono un format editoriale al quale attingono ampiamente gli editori tradizionali per fare traffico, per portare visite ai loro siti web, ed i giornalisti per diletto o, più spesso, per migliorare la loro visibilità e reputazione. Questa galassia di produttori e consumatori di informazioni , di organizzazioni sociali rette dalla comunicazione, appare come un medium davvero globale, che, in chiave corporate, può diventare utile per veicolare commerci di massa e fidelizzare consumatori o per trasmettere modelli di comportamento pubblico e ottenere consenso dai cittadini, su vasta scala.

I  “blogger” da sempre sono soggetti che prestano opera gratuitamente per ottenere al massimo collanine e perline, et similia, quando si prestano ad azioni di comunicazione aziendale, o “visibilità” quando, appunto, scrivono gratuitamente, all’interno di testate registrate quali, uno per tutti, l’Huffington Post.

E’ per questo che, come avrà notato chi ha la pazienza di leggere quotidianamente ciò che scrivo,per questo spazio alla definizione di blog personalmente privilegio da anni quella di T.A.Z, di zona temporaneamente autonoma, concetto introdotto nel 1991 nel libro di Hakim Bey che descrive la tattica sociopolitica di creare zone temporanee che eludono le normali strutture di controllo sociale, poichè, credo davvero di poter dire, all’interno di “Il Giornalaio”, con la dovuta attenzione alla legge, scrivo ciò che voglio, quello di cui ho voglia di parlare e che mi appare interessante condividere senza prestarmi a “marchette” di sorta come ho avuto modo di spiegare, di ribadire, anche nella mia intervista contenuta in questo libro degli amici Daniele Chieffi, Claudia Dani e Marco Renzi di recentissima pubblicazione.

Ancor meno sono un “blogger”. Il mio lavoro credo sia noto, anche se poi talvolta mi trovo appiccicata questa definizione, non è fare blog, io di professione faccio altro.

In un momento nel quale content curation sta divenendo una delle tante “buzzwords” usate, ed abusate, con una grande maggioranza di soggetti che immaginano che la cura dei contenuti sia fare copia-incolla di pezzi di articoli, o immagini e video, altrui su Scoop.it o altre piattaforme simili, credo che il termine blogger possa finalmente essere sostituito da content curator, o curatore di contenuti se si preferisce una volta tanto l’italiano, poichè è questo che i migliori fanno, una selezione accurata di contenuti che vengono riaggregati e commentati, rielaborati in nuove forme e contenuti.

Per concludere questo mio ragionamento vorrei anche sottolineare che a mio avviso i “post” sono quelli che si mettono sulla bacheca di Facebook ed altri social media. Il termine post attribuito ai contenuti prodotti per una TAZ è inadeguato, frutto di un classismo culturale atavico secondo il quale gli articoli li scrivono i giornalisti che nell’era dell’informazione partecipata non ha più senso di esistere.

Questa è una TAZ, io, per hobby, per curiosità intellettuale, ed anche per lavoro fuori da confini di “Il Giornalaio,” curo contenuti e scrivo articoli,

Questo NON è un blog, i blogger NON esistono, era un po’ che volevo dirlo. Comment is free!

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Si ringrazia l’amico Massimo Gentile per la realizzazione in esclusiva dell’immagine sopra riportata

13 commenti

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13 risposte a “Questo NON è un Blog

  1. Scusate, ma perché non trovo il nome dell’autore dell’articolo?

    • pedroelrey

      Perchè questo spazio è unipersonale e dunque non è necessario mettere il nome. Se clicchi su about, in alto sopra header, trovi nome [e altro]
      Ciao
      PL

  2. Ti leggo spesso, ma questa volta non ho ben capito se il tuo è uno sfogo personale contro chi ha denigrato Il Giornalaio reputandolo blog o contro chi ti ha definito blogger o, semplicemente, un ragionamento nato in seguito a letture o a un confronto con altre persone.
    Detto questo. La penso come te quando parli di sostituire il termine blogger con quello di content curator anche se, devo dire, ci sono parecchie (no, forse parecchie è un po’ esagerato direi alcune) persone che si definiscono blogger ma scrivono e pubblicano quasi ogni giorno pezzi meravigliosi sia dal punto di vista stilistico che contenutistico (penso, ad esempio, a @tazzinadi). Quindi. I propri interessi che, spesso, confluiscono in un blog non devono sentirsi sminuiti se, appunto, qualcuno ci definisce blogger. Nel mio caso non mi sento per niente sminuita se qualcuno mi definisce tale. E poi credo che tutti, per lavoro, facciamo altro o meglio facciamo qualcosa che ha sicuramente delle affinità con ciò che scriviamo nel nostro blog ma è un’attività remunerativa. Che paga con il soldo, non con la visibilità 🙂

  3. pedroelrey

    Sara, grazie per l’attenzione. Non è uno sfogo è un ragionamento che era da un po’ che volevo fare, che ritengo opportuno fare.

  4. daniele chieffi

    L’ha ribloggato su WoW – Working on Webe ha commentato:
    Un ragionamento assolutamente interessante su come si è evoluto il blogging e come non sia un mestiere ma uno strumento

  5. daniele chieffi

    Caro Pierluca, non posso che convenire con te in toto. I blogger non esistono e i blog altro non sono se non luoghi web dove raccogliere i propri contenuti, realizzati e pensati per scopi diversi da quelli che, filosoficamente, sottostavano alla prima era del blogging. Ricordiamoci, infatti, che (come ho scritto qui http://www.olmr.it/2013/01/avere-un-blog-non-e-una-professione-e-usare-uno-strumento/ e come ricordava Giuseppe Granieri nel suo “Blog generations”) che alla fine dei 90 dello scorso secolo, i blogger erano libere voci nella rete che si incaricavano di scovare contenuti di valore su Internet, per poi condividerli con altri. Contibutori all’intelligenza collettiva. Oggi, chi apre un blog lo fa per visibilità, tornaconto personale di vario genere e non certo per quel primigenio e nobile scopo.
    Ottima riflessione, come al solito, anche e soprattutto per il ruolo, in questo campo, degli editori. Complimenti.

  6. Concordo sul non senso della distinzione tra articoli e post, questa distinzione è ancora usata da qualche giornalista che non si vuole sentire allo stesso livello di chi scrive per diversi motivi ma non ha una tessera.

    Forse il problema del blogger o non blogger in futuro sarà superato. I blog sono ottimi strumenti per la scuola. Messi nella condizione di farlo, i bambini riescono velocemente a pubblicare contenuti in un blog e nel frattempo imparano tante altre cose. L’importante è che il tema non sia il blog stesso ma qualcosa che desti in loro interesse e passione.
    Quando saranno adulti, per loro aprire un blog sarà una competenza, come imparare l’uso di un software o una lingua.
    Un saluto cordiale.

  7. I blog sono anche quelli come il mio, a puro scopo di cazzeggio. E continuerò a distinguere i post dagli articoli. I giornalisti dai blogger. Gli scrittori dagli scriventi. Senza offesa per nessuno. 🙂

  8. Andrea Carnoli

    Tu sei, come sempre, estremamente gentile. Se posso permettermi di aggiungere una considerazione direi che la corsa al blogger nasconde anche un malcostume tipicamente italico. In Italia, il giornalismo, un certo giornalismo, ancorchè protetto e regolamentato da un albo che ne dovrebbe garantire indipendenza. autorevolezza, competenza e, sopratutto autonomia, ha impoverito il proprio ruolo per vendersi a potentati, lobbies o semplicemente a clienti che pagano loro stessi oppure i loro editori. Laonde per cui la loro, nelle testate nelle quali scrivono, non è la loro libera opinione, ma l’opinione di un ‘padre/padrone’. Bene. Non mi addentro oltre nell’argomento. Rilevo che altrove non è così. Non è così nel nord europa e nemmeno in Giappone. Non so altrove.
    Succede che la categoria rimane improvvisamente spiazzata dalla accelerazione che il web imprime alla professione, dall’esigenza di modificare in un attimo consuetudini (e malcostumi) radicati negli anni. Ecco il fenomeno della proliferazione dei blogger prezzolati, che oggi si offrono ‘a listino’, di una strategia social che sento proporre come ‘Blogger activescion’ che comporta il pagare dei ‘blogger’ che poi diffondono e fanno traffico, indipendentemente dal fatto che ci sia una relazione, un’opinione su prodotto o servizio offerto o sulla modalità ..
    Una sorta di protezionismo verso una professione in declino (esercitata senza la necessaria intraprendenza e lungimiranza) sta trascinando la categoria verso un malcostume realmente deprecabile.
    A questo però voglio aggiungere che capisco anche che qualcuno che si è creato, con tempo e dedizione, una reputazione e una conoscenza profonda dei modi di mettersi in gioco, si renda disponibile per aiutare, pagato, chi non ha avuto tempo per farlo a sbarcare in un mondo per alcuni ancora nuovo e poco familiare .. ma c’è modo e modo ..! Trasparenza, fiducia, educazione .. allora dovrebbero non contare affatto! Lo ricordi questo vecchio articolo sulle fescion blogger? http://bit.ly/HgZior

  9. Per protesta, poi è diventato un vizio

  10. E cmq, qui https://giornalaio.wordpress.com/about/ vieni raffigurato su una pagina come “blogger”! Ergo, sei un blogger 😛
    Ottima analisi, come sempre 😉

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  12. Pingback: Questo non è un blog: dalla tv al web, dal SEO al giornalismo, lavoro coi contenuti | Alberto Puliafito

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