Archivi del mese: settembre 2011

Preparazione al Social Business

Il rapporto di Jeremiah Owyang, Web strategist di Altimeter Group e dei colleghi, Andrew Jones, Christine Tran e Andrew Nguyen, «Social business readiness: how advanced companies prepare internally», è stato recentemente diffuso su Internet.

In poco più di 40 pagine di testo sostiene che i media sociali sono andati in crisi di crescita perché molte aziende li hanno usati male, acquisendo l’ultima tecnologia senza preparare le persone, né ricalibrare costantemente le logiche d’azione, i processi e le operazioni. Da soli non fanno il social business.

Se le aziende non hanno stabile governance, processi contemporanei, cultura di apprendimento, organizzazione modulare e non sviluppano insieme team e processi, incrementando il coordinamento e riducendo le duplicazioni, non può aumentare la reattività e la crescita.

Il rapporto di Owyang e partner deriva da una ricerca, che ha verificato la validità dell’ipotesi di un’efficace preparazione interna per le aziende intenzionate a praticare il social business e dei vantaggi a lungo termine connessi a una simile condotta.

La metodologia è consistita in una parte d’indagine a tavolino su 144 programmi di social business, elaborati da aziende chiave con oltre 1.000 dipendenti, in 63 incontri di controllo sul campo e nell’analisi di più di 50 crisi di media sociali, a partire dal 2001 a oggi.

Il rapporto di ricerca raccoglie anche risultati di interviste con leader di mercato e venditori di soluzioni tecnologiche.

I ricercatori mettono in evidenza che i media sociali sono tutt’al più piattaforme d’ascolto dal basso e di attenzione dall’alto delle informazioni veicolate, se non vengono create le condizioni favorevoli agli scambi interno-esterno e al miglioramento dei processi. Scarseggia perfino la comunicazione linguistica e i processi di socializzazione e acculturazione non hanno luogo.

In questo passaggio di informazioni il management può reagire anticipatamente e i lavoratori possono calibrare le risposte alle attese dall’alto. Non c’è integrazione attiva e si hanno solo effetti a breve.

Nelle piattaforme, base di CRM, FAQ e messaggi unidirezionali, i tentativi di comunità virtuali, calate dall’alto, urtano contro le necessità d’iperattenzione degli operatori nel multitasking. Questi tendono a difendersi con una «deep attention», corollario dell’integrazione passiva.

Come dimostra Howard Rheingold, la partecipazione può essere appresa nella pratica e sostenuta da una formazione continua nel lavoro. Si può realizzare integrazione attiva.

Requisiti del successo nello sviluppo del social business sono:

1 – Porre le basi di sostegno della governance e rafforzare la competenza dei dipendenti a partecipare con sicurezza e professionalità, mediante una maggiore presenza dei media sociali aziendali;

2 – Attivare processi aziendali per provocare il coinvolgimento e aumentare la velocità dei flussi lavorativi con i media sociali;

3 – Realizzare programmi di formazione e buone pratiche per migliorare continuamente le competenze attraverso l’uso dei media sociali;

4 – Dedicare un punto di riferimento centrale per la crescita e l’esercizio della leadership.

Il focus di un simile programma di sviluppo sta in un centro d’eccellenza, che sostenga l’utilizzo dei media sociali per una cultura sociale diffusa.

Un team aziendale per il business sociale deve gestire le attività digitali e interfacciare i partner esterni. Processi di business pianificati devono favorire la reattività nei mercati.

L’azienda impara ed evolve, diventa sociale, se mette al centro le persone, aumenta la velocità e la trasparenza dei processi, dà la massima attenzione ai segnali provenienti dall’interno e dall’esterno, scala la gerarchia dei bisogni.

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Delusioni Giornaliere

John Nitti, Executive Vice President di Publicis Groupe, divisione media-buying di Zenith Optimedia, ha svelato i numeri del «Daily», il quotidiano all digital per tablet lanciato in pompa magna qualche mese fa.

Secondo quanto riportato da «Bloomberg» il giornale digitale si attesterebbe intorno ai 12omila lettori alla settimana, una cifra molto distante dai 500mila che Rupert Murdoch aveva dichiarato essere il numero minimo per rientrare dell’investimento iniziale di 30 milioni di dollari, ai quali si sommano costi di esercizio ordinario di 500mila $ alla settimana.

Le cause dei risultati deludenti potrebbero spiegarsi con le motivazioni raccolte dalla ricerca, realizzata nella primavera di quest’anno da KnowDigital, che evidenzia come «The Daily» sia apprezzato per la parte grafica, foto e video, ma raccolga scarsi consensi per quanto riguarda la parte testuale, per i contenuti ritenuti di scarsa qualità e non sufficientemente aggiornati.

Annunciato come il quotidiano del futuro parrebbe, ad oggi, apportare delusioni giornaliere, confermando come assenza della socialità della notizia e una visione a compartimenti stagni basata sul contenitore invece che sul contenuto, sul profitto atteso invece che sulle attese dei fruitori, non sia un percorso premiante.

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Gerarchia dei Bisogni

Gallup ha pubblicato una sintesi dei risultati di una ricerca effettuata su 17mila utilizzatori di social network tesa ad identificare le fonti di influenza prevalenti. Si conferma come il passaparola, in particolare “face to face”, di persona, continui ad essere il veicolo più efficace di condizionamento nel ciclo delle scelte d’acquisto.

Ovviamente, ancora una volta, sono risultati che vanno valutati ed interpretati poichè non forniscono l’evidenza di quanto le conversazioni tra persone siano a loro volta influenzate  dai mezzi di comunicazione e dall’advertising come invece è pressochè certo che avvenga.

La ricerca evidenzia come dinamiche meccanicistiche e utilizzo unidirezionale dei social media non siano funzionali al coinvolgimento delle persone. Ne scaturisce una rivisitazione della piramide di Maslow in chiave 2.0 che  identifica i diversi livelli di motivazione stabilendo quali siano concettualmente i quattro driver principali che vanno oltre le basi razionali di soddisfazione nella relazione tra organizzazioni e persone in gradi di generare crescente valore aggiunto.

Fiducia, integrità. orgoglio e passione sono gli elementi ideali che consentono alle imprese di avere una relazione che vada oltre le logiche del 2×1 o del buono sconto, che in ambito editoriale diventano “panini” o operazioni di cut price, realizzando un’influenza reciproca che crea interdipendenza positiva.

Credo che una riflessione approfondita al riguardo sia ormai davvero d’obbligo a prescindere dal segmento di mercato di appartenenza.

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Linguaggio

Nell’attualità, fatta di relazione e di conversazioni con le persone, anche, attraverso i social media, la modalità di porgere, il linguaggio utilizzato diviene una discriminante tra il coinvolgere ed il respingere, tra il con-vincere e l’esclusione.

L’infografica sottoriportata, nella sua semplicità, riassume i punti principali, gli elementi salienti che distinguono il burocratese aziendale da una comunicazione efficace.

Nell’epoca dell’infobesità, caratterizzata da scarsità generale di attenzione e selettività, trascurarne gli effetti è un errore che si paga a caro prezzo.

Appendetevela in ufficio o fatene dono a chi di dovere come utile promemoria.

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La Tecnologia ha Annullato i Confini tra i Media

La tecnologia digitale ha annullato i confini tra i diversi mezzi.

Il video sottoriportato mostra l’attuale sovrapposizione e convergenza tra i media che si fondono sempre più tra loro.

Da modelli di produzione e distribuzione verticali il passaggio all’orizzontalità è sempre più un dato di fatto nella mente delle persone.  L’utenza ne ha una visione decisamente meno frammentata delle imprese e tende a considerare maggiormente la fruizione nel suo insieme senza distinguo su dove questo avvenga. Per la nuova generazione di utenti c’è poca differenza tra la visione dalla schermo di un iPad, quella da un pc o dalla televisione se non per quanto riguarda la comodità della posizione, in termini puramente fisici, di quest’ultima.

La convenienza, non solo sotto il profilo economico ma anche a livello di risparmio di tempo, risorse ed eventuale frustrazione nella fruizione, e la mobilità stanno diventando fattori di sempre maggior rilevanza. E’ probabilmente questa la sfida di maggior difficoltà che le imprese del comparto editoriale devono affrontare.

L’impressione è che sino ad ora la maggior concentrazione sul contenitore, sulla piattaforma di distribuzione, sia frutto di una visione a compartimenti stagni da parte delle imprese editoriali che non appartiene alla fascia più evoluta delle persone.

Si tratta di una situazione “fluida”, senza stabilità, nella quale il contesto di riferimento cambia in continuazione, nel quale l’unico elemento di certezza pare risiedere nella constatazione della necessità di raccogliere sotto un ombrello più ampio rispetto al passato tutti i diritti collegati al digitale invece di tentare di raccogliere separatamente ricavi da ciascuna piattaforma.

Non resta che monitorare costantemente lo scenario ed evolvere i propri piani aziendali di conseguenza. E’ questa un’abitudine che probabilmente non potremo mai più concederci il lusso di abbandonare, non solo per questo mercato.

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Narrazione & Esperenzialità

«Warco», termine gergale di war correspondent, è un videogioco di prossima uscita che narra e fa vivere al giocatore l’esperienza dei  giornalisti corrispondenti di guerra.

Il videogame è un «FPS» [First Player Shooter: Sparatutto in prima persona] nel quale invece del fucile si è armati di telecamera. Nello scenario delle guerre civili in Africa e delle rivolte popolari che attraversano il Medio Oriente si impersonifica un giornalista che per conto di una emittente televisiva cerca di raccogliere le storie, i fatti che si svolgono in quei luoghi.

Una parte del gioco consiste nel raccogliere le immagini mentre per completare le missioni sarà poi necessario editare ed assemblare le stesse per farle diventare notizie.

Da quello che mostra il video dell’anteprima, il gioco pare davvero ricco di azione e dovrebbe essere in grado di coinvolgere il giocatore in ogni fase grazie alla  sovrapposizione tra narrazione ed esperenzialità.

Fondamentale nel gameplay l’aspetto relativo alle prese di decisione su quali immagini e/o interviste scegliere per servire al meglio l’audience del notiziario.

«Warco» rappresenta un ottimo strumento per insegnare alle persone i pericoli del giornalismo di guerra e le difficoltà di ordine morale ed etico che vivono i reporters durante il loro lavoro quando ben fatto.

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Parodie Quotidiane

Il cartoon realizzato da Tom Tomorrow rappresenta, con la giusta dose di umorismo, un’ottima parodia relativamente alle prospettive dei quotidiani così come oggi li conosciamo ed  all’incertezza rispetto a quali modelli di business siano realisticamente perseguibili per l’informazione.

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Cosa Succede se i Giornali si Applicano?

Sono trascorse poco più di 48 ore dal lancio di «WSJ Social»  ed è già un fiorire di iniziative da parte di quotidiani tradizionali e all digital a rincorrere quella che pare essere l’ultima tendenza: il social reader.

Sia «The Washington Post» e «The Guardian», tra i giornali tradizionali, che «The Daily» e «Yahoo News», fonti di informazione all digital, hanno infatti lanciato ieri la loro applicazione che consente di leggere, di sfogliare il quotidiano su Facebook.

Poche le differenze rispetto alla realizzazione del WSJ delle proposte di WP e Guardian ad esclusione di un miglioramento, dalla prospettiva dell’utente, dei settaggi sulla privacy, restano identici concettualmente con le stesse opzioni di condivisione, sia in ingresso che in uscita,  con i propri contatti.

Secondo quanto annunciato da Mark Zuckerberg durante la conferenza di ieri ci attende una vera e propria valanga di social readers, di applicazioni realizzate da fonti d’informazione di ogni genere da ogni angolo del mondo.

Se concordo con la necessità di sperimentare che Mario Tedeschini richiama nel suo gradito commento in questi spazi, resto davvero perplesso, a dir poco, su questo tipo di iniziative.

Non è solo l’idea che la ricerca di socialità della notizia e di nuovi spazi di espressione giornalistica, in cui sia possibile affermare ciò che si deve dire, non possa, non debba essere messa a rischio da regole e desideri arbitrari ai quali si è sottomessi in casa d’altri, in casa di Zuck, ma sono anche altri gli aspetti che mi fanno ritenere non idonee questo tipo di iniziative.

In primis ritengo che in questo modo si vada a replicare l’idea in salsa social dei portali di notizie, non vi è dunque innovazione ma solo camouflage.

Si tenta, in realtà, di costruire l’ennesimo walled garden rinchiudendosi all’interno del social network in questione che vive, e vivrà sempre più, di luce propria. E’ un errore sia tattico che strategico.

La socialità della notizia non è fatta, o quanto meno non è solo, di “like”. Se l’obiettivo fosse un effettivo processo di condivisione di conversazione con le persone senza bisogno di nuove applicazioni sarebbe sufficiente, banalmente, iniziare a rispondere finalmente ai commenti degli utenti all’interno delle pagine già esistenti su Facebook, cosa che a tutt’oggi rappresenta una rarità.

Don Graham, Chairman di The Washington Post Company, nel video sottostante che illustra le caratteristiche del social reader del quotidiano in questione, dice, tra l’altro, che: “We talk about porn, too. I wouldn’t use this app for that”. Peccato, forse sarebbe stato un tentativo più stimolante.

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Gestione della Comunicazione di Crisi & Social Media

Quando si parla di comunicazione di crisi inevitabilmente viene citato il caso Kryptonite del 2004.

Nonostante il processo di tutela della reputazione aziendale sia sufficientemente codificato continuano a verificarsi casi di cattiva gestione quali, per citare uno dei più recenti in ordine temporale, quello che ha visto coinvolta multinazionale francese che produce e commercializza prodotti omeopatici.

Pare che all’ aumentare della diffusione di social media e social network corrisponda altrettanto una crescita della casistica di momenti di crisi di comunicazione. Spesso si perde la testa proprio nel momento in cui sarebbe fondamentale usarla, come dimostra la timeline realizzata da Social Media Influence che raccoglie i principali casi internazionali di cattiva gestione della comunicazione in Rete da parte di aziende che, per dimensioni e struttura organizzativa, dovrebbero essere in grado di gestire decisamente meglio questo tipo di situazioni.

Uno studio recentemente condotto da Burson – Masteller documenta lo stato generale dell’arte, per così dire, evidenziando tra l’altro che ancora una ridotta minoranza di aziende comprende adeguatamente il pubblico online e le corrette modalità di coinvolgimento.

Molto interessante sotto questo profilo, augurandosi che serva da spunto di riflessione e possa essere elemento di miglioramento, l’analisi realizzata da Alterian che raccoglie  tre casi distinti con modalità di gestione e risultati diversi.

L’infografica realizzata sintetizza dinamiche e risultati di gestione della comunicazione di crisi relativamente a tre imprese:

Per ciascun caso è stato effettuato un monitoraggio su un periodo di sei mesi analizzando il perdiodo pre crisi e gli effetti successivi al picco di difficoltà.

Emerge con chiarezza come nessun problema possa essere congelato, o peggio censurato o coperto, mentre invece una risposta positiva attenua o addirittura annulla, come nel caso della compagnia aerea, gli effetti del  passaparola negativo online.

PS: Ne ho avuto personalmente conferma da una verifica empirica effettuata ieri seguendo una discussione su FriendFeed che mi ha incentivato a scegliere questo tema per oggi.

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Portare le Notizie alle Persone

«The Wall Street Journal», noto quotidiano economico – finanziario statunitense, da ieri distribuisce i propri contenuti su Facebook.

Se sino ad ora, anche, i giornali hanno utilizzato Facebook come piattaforma di diffusione, di promozione dei contenuti per portare visite al proprio sito web, adesso si cambia.

«WSJ Social» è un’applicazione che rende disponibili, personalizzandoli in base ai propri interessi ed alle proprie preferenze, i contenuti direttamente all’interno del celebre social network invece che sul proprio sito, peraltro “protetto” da paywall.

L’iniziativa non rientra nell’ambito del progetto di Facebook di diffusione dei contenuti editoriali al proprio interno ma nasce indipendentemente dallo stesso. I ricavi per il quotidiano sono generati dagli sponsor, per questo mese di avvio Dell e Intel, e dalla pubblicità all’interno dell’applicazione stessa, mentre Facebook tiene per se i guadagni della pubblicità esterna.

La decisione ha generato un grande clamore e sono numerosissimi i commenti. Si segnalano, in particolare, quelli di  MediaPost, GigaOM, ReadWriteWeb, paidContent, Forbes, Pulse2, The Atlantic Online, Adweek, Business Insider, Marketing Pilgrim, Media Matters for America, VentureBeat, MarketingVox News & Trends, Guardian, Chris Saad, The New York Observer, FishbowlNY, All Facebook, NYConvergence.com, MediaPost, paidContent, Poynter, BtoB Magazine, Editors Weblog, ed eMedia Vitals.

Facebook, con il suo impressionante numero di iscritti ed altissimi livelli di penetrazione ormai pressochè in tutto il mondo,  diviene così definitivamente una sorta di “internet all’interno di internet”.

Se è certamente interessante l’idea di portare i contenuti, le notizie alle persone invece di costringerle al percorso inverso, come ha dichiarato Alisa Bowen, General Manager di The WSJ Digital Network,  personalmente resto estremamente scettico poichè continuo a ritenere che Facebook non sia luogo per il giornalismo.

Da non trascurare, infine, neppure l’aspetto relativo alla cessione di dati personali, come mostra l’immagine, per ottenere accesso all’applicazione del WSJ, criteri che rendono la gratuità  più onerosa, a mio modo di vedere, di un abbonamento a pagamento o della possibilità, in alternativa, di aggirare tranquillamente il paywall del quotidiano con un semplice copia-incolla del titolo dell’articolo che interessa all’interno di un motore di ricerca.

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