Archivi del mese: ottobre 2013

La Total Digital Audience di Audiweb

Come certamente molti sapranno da gennaio 2014, finalmente, le rilevazioni Audiweb non saranno più solamente da desktop, da personal computer ma includeranno anche i dati relativi alla navigazione, agli accessi ad internet [anche attraverso applicazioni] da mobile, da smartphone e tablet.

A metà ottobre nel corso di IAB Seminar Display Advertising è stato presentato il suo funzionamento, forniti i dettagli sulla metodologia e sul campione che sarà costituito da 3000 persone per gli smartphone e 1.000 tablet e si andranno ad aggiungere alle 41mila persone del campione da un PC con meter installato.

Dal 2014 sarà vigore un nuovo regolamento per evidenziare nei dati le componenti di audience ‘’organiche’’ di un publisher e quelle ‘’aggregate’’ derivanti da accordi editoriali di cessione traffico.

Finalmente di una “brand/channel X”, per ciascun sito rilevato, sapremo quanta parte dell’audience attribuire alla navigazione solo PC, solo smartphone e solo tablet;  e quanta alla sovrapposizione PC/Smartphone, PC/Tablet o PC/smartphone/tablet.

Dai dati anticipati nel corso della presentazione si evidenzia come in realtà coloro che navigano esclusivamente da mobile siano  una ristretta minoranza rispetto al totale degli internauti del nostro Paese. L’immagine sottostante fornisce il dettaglio dei dati a settembre 2013.

Audiweb Device

Dalla rilevazione di agosto 2013 i dati della “total digital audience” mensile [un dato diverso dagli utenti nel giorno medio] sarebbero di 23,5 milioni di persone da PC, 9,2 milioni da smartphone e 4 milioni da tablet.

La slide numero 16 della presentazione spiega come funzionerà l’“Unique Audience” deduplicata con il dettaglio dei consumi da web-browsing rispetto ai consumi  da apps.  Quello che però non è chiaro è come verrà conteggiata invece la duplicazione dell’audience, ovvero se la stessa persona che accede in momenti diversi della giornata da distinti device sarà contata comunque come una sola o meno; un dettaglio non trascurabile.

Comunque sia si tratta certamente di un importante passo avanti che consentirà alle aziende di pianificare le proprie campagne online con maggior precisione mirando alle persone che utilizzano un  determinato device ed adattando il format di comunicazione.

Quanto questo invece incrementi la reach, la penetrazione ed il numero totale di persone che visitano dei siti d’informazione lo vedremo: Se posso fare una previsione, secondo me sposterà di poco, si impennerà il numero di pagine viste ma cambierà marginalmente il numero di utenti unici.

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Una Possibile Gerarchia per Determinare Impatto e Coinvolgimento delle Notizie

Il ciclone che sta attraversando il mondo dei media e dell’informazione ha completamente cambiato la relazione tra giornali, giornalisti e quello che una volta era il pubblico. Sul tema la sintesi effettuata da Katharine Viner, deputy editor of the Guardian and editor-in-chief of Guardian Australia, “L’ascesa del lettore: il giornalismo nell’era dell’open web”, tradotta e [ri]pubblicata pochi giorni fa sul sito del Festival Internazionale del Giornalismo, fa ottimamente il punto della situazione.

Se il mondo cambia devono di riflesso inevitabilmente cambiare le metriche, i parametri di valutazione. Che le pagine viste ed il numero di utenti siano soltanto la cuspide della piramide, parametri esclusivamente quantitativi che, al di là di ogni altra possibile considerazione, non sono sufficienti a spiegare, ed a valorizzare, l’attenzione verso l’informazione online e verso un determinato sito web di una testata, inizia ad essere, finalmente, sufficientemente chiaro.

È un tema che ritengo estremamente importante, sul quale ho provato a creare spunti di riflessione e confronto a più riprese, poichè senza parametri condivisi e certi la valutazione si connota di una tale soggettività da perdere valore.

Che sia argomento di rilevanza strategica non è evidentemente solo la mia opinione. Anche durante il MozFest 2013, tenutosi a Londra lo scorso weekend, il tema ha tenuto banco con una sessione appositamente dedicata.

Il confronto si è articolato su cinque grandi aree:

  1. Engagement: Quali metriche di coinvolgimento sono veramente importanti?
  2. Impatto: Qual è l’effetto del giornalismo?
  3. Metriche social e il ciclo di vita di un articolo: Come possiamo tracciare come un articolo si diffonde in Rete?
  4. Monetizzazione: Come possono le testate utilizzare la misurazione per generare ricavi?
  5. Numeri in redazione: Quali numeri possono aiutare i giornalisti?

Tra tutte le argomentazioni emerse quella che mi pare di maggior interesse è relativa ad una possibile gerarchia per determinare impatto e coinvolgimento delle notizie, dell’informazione.

Se nessuna singola metrica è sufficiente a misurare il livello di coinvolgimento del lettore, il tasso di engagement, ma si tratta di un’insieme di parametri che nel loro insieme ne danno la misura, come sottolineavo recentemente, misurare l’impatto è ancora più difficile che misurare l’impegno. Un gruppo di lavoro, durante la sessione sul tema, ha delineato la piramide nell’immagine sotto riportata per rappresentare i possibili livelli di coinvolgimento e di impatto.

Per quanto riguarda l’impatto integrerei i livelli riportati con parametri che tengano conto del livello di comprensione dell’informazione, tema apparentemente banale e scontato che invece non lo è affatto, e paragonerei le aree tematiche trattate dalle testate con quelli che sono invece gli argomenti trattati in Rete e nei social per verificare l’effettiva adesione tra quello che è di interesse delle persone e ciò che i mainstream propongono. Ritengo che debbano essere entrambi fattori da tenere assolutamente in cosiderazione.

Del tema si parlerà il 15 novembre prossimo a Glocal2013 nell’incontro dedicato, appunto, a “Giornali tra numeri, social e mobile”, che vede la partecipazione di Marco Alfieri [Direttore Linkiesta], Claudio Giua [Direttore dello sviluppo e innovazione del Gruppo Editoriale L’Espresso], Enrico Gasperini [Presidente Audiweb] nonchè del sottoscritto, invitato incautamente ancora una volta come relatore.

In attesa di quel giorno se voleste fornire il vostro contributo, integrando i parametri definiti dal gruppo di lavoro al MozFest e quelli ipotizzati da me, lo spazio dei commenti è, come sempre, a disposizione.

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– A possible hierarchy to help determine news engagement and impact? –

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Codice Anti Marchette

Avevo già segnalato diverso tempo fa come esistano proposte che circolano per la Rete che stanno al content marketing come le tecniche di black hat stanno al SEO, scorciatoie utilizzate da persone senza scrupoli che rapidamente si ritorcono contro chi ne fa uso e abuso. Un fenomeno sufficientemente noto agli addetti ai lavori etichettato comunemente come “marchette”.

A fine 2011 lanciai la proposta di una sorta di bollino blu per i blog, che oggi andrebbe esteso agli account sui social, di stilare un decalogo, partendo dalla base offerta da Timu, una sorta di codice di autodisciplina sulla falsariga del codice etico della Word of Mouth Marketing Association statunitense.

Credo sia davvero arrivata l’ora di dare consistenza a quell’ipotesi di lavoro.

E’ di ieri il post di una “fashion blogger”, poi rimosso sicuramente per un’azione legale nei suoi confronti, ma facilmente visibile usando la cache di Google, di  “outing” rispetto allo scambio organizzato di “like” e commenti sui blog. Si legge che la community, un gruppo segreto su Facebook chiamato “Blogger and The City”, ha un preciso obiettivo:

[…..]Scopo del gruppo? Molto semplice scambio di Mi Piace e Commenti tra gli appartenenti al gruppo. Ogni volta che ognuno dei blogger pubblica un post gli altri devono cliccare Mi Piace e lasciare un commento. Occorre farlo anche in un determinato tempo altrimenti si rischia penalizzazione da parte degli amministratori[…..]

Una delle persone indicate tra gli amministratori del gruppo ha liquidato sul suo profilo personale Facebook, aperto e visibile a tutti,  la vicenda affermando che si tratta di affermazioni non veritiere e calunniose.

Nell’articolo vengono riportati screenshot delle conversazioni tra gli appartenenti al gruppo che sono invece inequivocabili rispetto alla veridicità delle affermazioni fatte nel precitato post. Una per tutti questa sotto riportata. [Update ore 09:00: Mi segnalano che molte alcune [#] delle persone coinvolte lavorano con questa agenzia specializzata, ed infatti alla voce “fashion blogger” i nomi coincidono. La cosa è ancora più grave]

Fuffa Blogger

Se il passaparola è indicato in tutte le indagini come la forma di comunicazione che gode di maggior fiducia da parte delle persone è giusto tutelare e preservare questo valore. Credo debba essere un aspetto al quale tutti coloro che si occupano con serietà e professionalità di comunicazione d’impresa debbano prestare la dovuta attenzione invece di liquidarla in una battuta tra amici come avviene attualmente.

E’ ora di un “codice anti marchette” che sia valido per i giornalisti ma anche per le persone comuni . E’ ora di assumersi la giusta responsabilità personale che la concessione di fiducia da sempre implica.

Nielsen WOM

[#] Update del 31/10/2013: Si riceve la seguente precisazione dal titolare dell’agenzia citata nell’articolo e doverosamente pubblichiamo quanto dichiarato:

Nel suo articolo, lei indica (cito)  molte delle persone coinvolte lavorano con questa agenzia specializzata .
Se confronta la lista delle blogger che fanno parte del nostro network con quella del post de “La Blogger Mafia” (sempre da lei linkato recuperandolo tramite cache di Google) noterà che le persone riconducibili al nostro gruppo sono cinque su un totale di ottanta.
Conseguentemente affermare che molte delle persone coinvolte collaborano con BloggerAgency.it è un’informazione a mio avviso non corretta.
Tengo comunque a precisare che la nostra organizzazione non è a conoscenza (e non è tenuta ad esserlo) delle attività che ciascuna blogger svolge per promuoversi autonomamente.  Associare il nostro nome a questa polemica – indicando la cosa come circostanza ancor più grave –  è quindi a mio avviso improprio e rischia di dare una visione distorta della vicenda.
Infine non capisco per quale motivo veniamo presi in considerazione soltanto noi come agenzia e non altre realtà analoghe che – a loro volta – hanno blogger che compaiono nella ben nota lista.

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Le Notizie su Facebook Sono Unbranded

La marca è una dimensione fondamentale , un elemento strategico  nella gestione aziendale di qualunque impresa. La marca, i suoi attributi e la sua personalità sono elementi che indirizzano le persone nella scelta di un prodotto, di qualunque prodotto. La sua rilevanza si fonda essenzialmente su due elementi:

  • Il passaggio dalla mera vendita del prodotto alla messa in discussione [“markets are conversations”] del prodotto
  • La fondamentale rilevanza degli aspetti di immagine, immateriali, rispetto a quelli materiali, in particolare nell’area B2C

Kotler Value Based Matrix

 

Sono aspetti  colpevolmente trascurati dall’industria dell’informazione e non a caso una delle principali problematiche nella spasmodica ricerca di ricavi sta proprio nel fatto che le notizie siano diventate di per se stesse una commodity, sono cioè fungibili poichè indifferenziate indipendentemente dal “produttore” d’informazione, dalla testata.

Già a giugno di quest’anno lo studio “Digital News Report” del Reuters Institute for the Study of Journalism faceva emergere come per una larga fetta della popolazione, italiani in particolare, le notizie fossero unbranded, senza marca distintiva.

Arriva ora la ricerca condotta da GFK per conto di The Pew Research Center’s Journalism Project “The Role of News on Facebook” a confermarlo.

Secondo i risultati emergenti solamente  per una minima parte degli statunitensi che fruiscono di informazione, di notizie, attraverso Facebook il marchio della testata è elemento di valore, motivazione che li porta a cliccare per leggere, per approfondire.

Senza brand non c’è valore aggiunto, non c’è speranza di sopravvivenza. Non è necessario rifarsi al marketing 3.o di Kotler per saperlo, sta scritto alla prima pagina del “bigino” di questa disciplina. Fate vobis.

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Risorse per Giornalisti [e Data Ninja]

Knoema è un’importante fonte di dati ed uno strumento di visualizzazione dei dati che può essere facilmente utilizzato da giornalisti [e data ninja].

Fondamentalmente Knoema è il più grande repository di dati pubblici e aperti con oltre 100mila serie storiche e più di 3000 set di dati su diversi temi socio-economici come l’energia, la sanità, l’istruzione, etc.

La missione del servizio non è solo quello di rivelare i numeri statistici grezzi, ma per renderli altamente visivi e facilmente accessibili a tutte le persone che possono essere interessate a dati pubblici e aperti.

La creazione delle diverse visualizzazioni è basata su un processo semplice fai da te per rendere intelligibili le tabelle, diagrammi, grafici, mappe ad albero, mappe interattive e così via.

Per creare qualsiasi tipo di visualizzazioni non solo si possono usare solo i set di dati già presenti sul sistema ma ogni utente può anche caricare i dati privati ​​e/o creare un mash up dei dati propri ​​con i dati provenienti da fonti pubbliche. Nella sezione Market possono essere vendute le proprie realizzazioni.

Per avere un’idea di che tipo di effetti grafici possono essere realizzati con Knoema si può visitare la libreria di visualizzazioni pronte all’uso e la galleria delle storie del giorno.  Nella sezione Atlas si può effettuare una selezione per nazione ed ottenere il profilo di ciascun Paese, Italia compresa ovviamente, con un  numero di indicatori davvero interessanti.

Ultimo ma non ultimo, il servizio è gratuito per tutti gli utenti.

Sotto riportata, a titolo esemplificativo, la serie storica del World Press Freedom Index. Buon lavoro.

- clicca per ingrandire -

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Il Tasso di Abbandono di Twitter

Come noto si avvicina il momento del lancio dell’IPO [Initial Public Offering], dell’offerta pubblica iniziale per il suo attesissimo collocamento iniziale in borsa che con buone probabilità dovrebbe essere nella prima settimana di novembre.

Per stimolare gli investitori la piattaforma di microblogging da 140 caratteri ha realizzato un video in cui si racconta dalla nascita ad oggi declamando come abbia rivoluzionato il modo di comunicare e di quanto importante sia stata la sua crescita dal 2007 ad oggi.

Nel video, al minuto 2:46,  Dick Costolo, Chief Executive Officer di Twitter, Inc., dice che “anyone can tweet and anybody can read tweets” ma secondo una ricerca effettuata da Reuters/Ipsos non pare sia davvero così.

In base all’estratto dei risultati [via] pubblicato da Reuters domenica scorsa risulta che il 36% delle persone che hanno aderito a Twitter dicono che non lo usano, ed il 7% afferma di aver chiuso il proprio account. Il sondaggio, condotto l’ 11 ottobre, ha un intervallo di credibilità, una misura della sua precisione, di più o meno 3,4 punti percentuali.

Le persone che hanno rinunciato a Twitter citano una serie di motivi, dalla mancanza di amici alla difficoltà a capire come usarlo.

In confronto, solo il 7 % degli utenti di Facebook non utilizza il social network , e il 5% dice di aver chiuso il proprio profilo. I risultati, in questo caso, vista la maggior numerosità del campione, hanno un intervallo di credibilità del 2,3%.

Twitter Problem

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Festival del Giornalismo, il Punto della Situazione

L’annuncio del possibile annullamento per l’edizione del 2014 del Festival del Giornalismo ha suscitato grande clamore ed ottenuto un ampio sostegno con l’intervento diretto, via Twitter, di soggetti del calibro di Emily Bell, Steve Buttry, Eric Carvin e molti altri ancora.

Buzzdetector ha tracciato le conversazioni di quello che ha catalogato come il tweet-movimento a sostegno di #ijf14 che raggiungono il loro apice il giorno dell’incontro pubblico trasmesso in diretta streaming lunedì 21.

#ijf14 Nodi All’incontro di lunedì, al quale non avevano partecipato le istituzioni pubbliche messe sotto accusa dagli organizzatori del Festival, è seguita la “contro-conferenza” di mercoledì da parte di Bracco e Cernicchi, assessori alla cultura di Regione e Comune e principali “imputati” del possibile annullamento della manifestazione, che nel corso dei loro interventi hanno declamato a più riprese il valore dell’evento, pur togliendosi qualche “sassolino” dalle scarpe, ed invitato caldamente gli organizzatori a restare a Perugia.

Appello che non è rimasto inascoltato e che porterà ad un secondo incontro aperto sabato 2 novembre, forse anticipato al 29 di ottobre [vedremo], al quale però questa volta dovrebbero partecipare anche le istituzioni. Insomma un minimo di dialogo, seppur per il momento a distanza, sembra ristabilirsi e le possibilità non solo che veda la luce l’edizione 2014 del Festival ma che resti nella sua sede nativa, Perugia, sembrano altrettanto prendere corpo.

Personalmente credo che il Festival per il 2014 debba farsi a Perugia fondamentalmente per motivi logistici. Ricercare Alberghi e sale in un’altra location sarebbe un ulteriore sforzo che credo aggraverebbe ulteriormente il già faticoso compito di organizzazione più generale. A questo si aggiunga che la città, oltre alla splendida cornice paesaggistica che offre, consente di racchiudere l’evento in 500 metri, aspetto non trascurabile sia, ancora una volta, sotto il profilo logistico che per quanto riguarda quello relazionale, “sottoprodotto” non trascurabile della manifestazione.

Si è parlato molto in questi giorni di crowdfunding come possibile soluzione per reperire i fondi in alternativa alle offerte economiche del pubblico giunte in extremis, apertamente rifiutate dagli organizzatori.   Ritengo che l’operazione di crowdfunding abbia senso in termini di immagine ma vadano valutati anche i costi – a cominciare dalla necessità di aprire una società in USA/UK se si vuole fare attraverso kickstarter – ed anche il possibile impatto negativo nel caso la raccolta non avesse successo; un rischio quest’ultimo che personalmente non ritengo troppo remoto come fa temere, seppur con le dovute differenze, il caso della campagna lanciata da «Il Manifesto» che a 6 giorni dalla sua chiusura pare lontana dall’obiettivo di raccolta stabilito.

Crowdfunding che ovviamente è comunque complementare a quello della corporate sponshorship, delle sponsorizzazioni da parte dei privati, che comunque hanno rappresentato il 75% dei ricavi per l’edizione 2013, relativamente alle quali il ritorno d’immagine sarà ancora superiore rispetto agli altri anni, non ho dubbi, per l’aurea di “mecenatismo” che caratterizzerà il loro intervento e per il fatto che sicuramente ijf14 farà parlare ancor più di se questa edizione per le vicende di cui si parla in questi giorni oltre che per la qualità, ed il valore sotto il profilo della comunicazione d’impresa, della manifestazione.

Se il giornalismo, l’informazione, sono un bene pubblico per una democrazia, comunque vada a finire va un plauso agli organizzatori per aver spostato il dibattito dalle stanze dei bottoni a quello del confronto pubblico. Il coraggio della coerenza delle proprie idee è merce rara di questi tempi e non può che essere apprezzato.

Avrei, se posso, anche altre considerazioni sulla questione ma preferisco attendere l’esito del secondo incontro prima di esprimermi ulteriormente. Per il momento null’altro da aggiungere se non i vostri commenti, contributi e integrazioni al punto della situazione sul Festival Internazionale del Giornalismo.

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Content Marketing “De Noartri”

Altimeter ha pubblicato recentemente “The State of Social Business 2013: The Maturing of Social Media into Social Business”. La ricerca porta la firma di celebrati esperti internazionali del calibro di Brian Solis e Charlene Li.

Tra i diversi risultati emergenti si scopre, o meglio viene confermato, che il content marketing è in cima alla lista delle priorità della comunicazione d’impresa per il 2013.

Una superficiale ricerca su Google, effettuata utilizzando il nome dello studio, fornisce centinaia e centinaia di risultati di “blogger” che hanno scritto articoli e commenti al riguardo. Lo stesso avviene su Twitter e gli altri social media, social network.

Siccome è ormai noto che la pubblicazione di uno studio, di una ricerca sia uno dei modi migliori, e più diffusi, per far parlare di se, mi sono abituato da tempo a guardare prima dei risultati la metodologia così da poterne verificare attendibilità ed effettivo valore [ed eventualmente parlarne in questi spazi].

Nel caso specifico NON viene indicata la metodologia e la ricerca si basa su 65 casi. E’ chiaro dunque che con un campione tanto ridotto di aziende giungere a delle conclusioni affidabili è una chimera, ed è anche, a mio modo di vedere,  in assoluto contrasto con le policy dichiarate.

Il content marketing “de noartri”.

Content Mktg

PS: Prendetela, se vi pare, come una – minima – lezione di fact checking.

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La Carta NON è Morta, le Pagine Viste SI

Sono stati stati presentati in questi giorni i risultati della ricerca “BE Europe 2013”, studio che analizza in 17 Paesi l’esposizione ai media e il profilo dei dirigenti di medie e grandi aziende appartenenti a tutti i settori economici.

La ricerca svolta per conto del «The Financial Times» viene effettuata su un campione di oltre 7mila dirigenti d’azienda ed è lo studio di maggior durata sul segmento specifico di popolazione essendo ormai dal 1973 che viene effettuato.

I risultati sono di estremo interesse e la sintesi degli stessi pubblicata sul sito de «Il Sole24Ore» è liberamente scaricabile e vale assolutamente una lettura approfondita.

Sono in particolare due gli aspetti che vale la pena di sottolineare da quanto emerge dall’indagine.

Per quanto riguarda la dieta mediatica della business elite internazionale i quotidiani nella versione cartacea sono ancora stabilmente in testa al consumo di media sia in termini assoluti che a livello di fiducia assegnata a ciascun mezzo.

FT Media Consumption

Per quanto riguarda il digitale, Rob Grimshaw, direttore di Ft.com, spiega che “In un mese abbiamo oltre 12 milioni di persone che visitano il nostro sito. Altri siti per motivi pubblicitari annuncerebbero in modo trionfale di avere avuto 12 milioni di visitatori. Noi no. Per noi il modello è simile al commercio al dettaglio dove quei 12 milioni non sono altro che passanti davanti alle vetrine. Solo una parte entra nel negozio, si guarda in giro per vedere quello che c’è. Poi un numero ancora più piccolo fa un acquisto. I nostri sforzi sono sempre rivolti a ottimizzare quell’imbuto”.

La carta NON è morta, le pagine viste SI.

FT Clicks

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Facebook Vuole Dire agli Editori quali Storie Pubblicare [su Facebook]

Facebook ieri ha lanciato un nuovo strumento per dire agli editori quali storie, quali notizie, pubblicare su Facebook.

Secondo quanto si legge nel post pubblicato da Justin Osofsky, VP of Media Partnerships and Global Operations, il nuovo tool, chiamato appunto “Stories to Share”, al momento in fase sperimentale e disponibile solo per un numero limitato di editori, permette di visualizzare nella dashboard della propria fan page quali storie sono già state pubblicate sul proprio sito web ma ancora non condivise all’interno del social network fornendo, ovviamente, apposito bottone per condividerle.

Per quello che si riesce a capire, i consigli si basano su quanto alcune storie, notizie, sono condivise dalle persone su Facebook per poi suggerire agli editori di pubblicarle, di metterle a disposizione anche dei propri fans. Una sorta di “viral for dummies”.

Sempre nella categoria “virale per [u]tonti” rientra il suggerimento contenuto nel post di Osofsky di incrementare il numero di post per aumentare il traffico al sito web. Come infatti rileva giustamente nei commenti Michael Roston, Staff Editor Social Media al «The New York Times», è abbastanza ovvio che un maggior numero di messaggi, di post  generi più referrals perché il pubblico esistente tenderà a cliccare su quello che pubblichi. Questi parametri sarebbero significativi se si mostravano un numero maggiore di referrals medi per post  o che quando si aumenta il numero di post crescono “gli abbonati”, i fans, della propria pagina.

L’ansia da prestazione, si sa, gioca brutti scherzi. Pare sia questo il caso nella guerra tra Facebook e Twitter per accaparrarsi il favore di media e giornalisti.

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