Archivi del mese: agosto 2011

Prospettive & Modelli di Business dell’Informazione Digitale

Il tema di quali prospettive e quali modelli di business siano realisticamente perseguibili per l’informazione digitale è centrale rispetto all’evoluzione dell’ecosistema dell’informazione.

Al contributo, agli spunti offerti dalle riflessioni di Stefano Quintarelli, si è aggiunta ieri la visione a tutto tondo, come sempre da leggere con attenzione, di Luca De Biase.

Dopo aver analizzato la scorsa settimana l’ambiente, la filiera editoriale tradizionale, cercando di identificare le potenziali aree di recupero di efficenza e redditività in tale ambito, come promesso, è ora la volta dell’online e più in generale del digitale.

Le più recenti, e qualificate, analisi dell’evoluzione e del macroscenario di riferimento sono state effettuate dalla Columbia University Review che ha rilasciato a maggio di quest’anno un rapporto di analisi dei modelli di business dell’informazione digitale [ottimo il lavoro di traduzione integrale dello studio CJR che gli amici di LSDI stanno svolgendo] e, con specifico riferimento all’Italia, grazie alla ricerca presentata a marzo dall’Osservatorio New Media & Tv della School of Management del Politecnico di Milano.

In entrambi i casi appare chiaro come la transizione, l’evoluzione verso il digitale non offra complessivamente prospettive significative in termini di ritorni econonomici  nel breve – medio periodo, come aveva già segnalato Poynter nel 2005 , immaginando tassi di crescita ottimistici del 33% all’anno, ipotizzava che i ricavi del digitale avrebbero impiegato ben 14 anni [si parla dunque, nella migliore delle ipotesi, della fine di questo decennio]  per raggiungere quelli della carta stampata. E’ chiaro, altrettanto, che non essendoci stato questo tasso di crescita ed in funzione dell’abbattimento, sin ora, delle tariffe ai quali vengono venduti gli spazi pubblicitari online, il periodo si dilata ulteriormente.

- Incidenza dei Media in Italia - Fonte: Osservatorio New Media & Tv

Il modello di business dell’informazione online ricalca fondamentalmente, sin ora, quello tradizionale con attese di ricavi per gli editori dalla vendita di spazi pubblicitari e di abbonamenti, di pacchetti, per poter fruire dell’informazione pubblicata.

Sul tema della comunicazione pubblicitaria online e sui ritorni che può generare per gli editori, ed in particolare per i quotidiani on line, mi concentrerò, completando la trilogia di analisi di scenario e prospettive, a breve. Jeff Jarvis, anche in questo caso, ne ha recentemente definito puntualmente i contorni, chiarendo quale sia la problematica di fondo in quest’ambito.

In chiave più strettamente informativa, e di propensione da parte del lettore a pagare per la stessa, il contributo più interessante arriva da Lynne K. Brennen, Senior Vice President Circulation di Dow Jones & Company, editore di The Wall Street Journal newspaper ed altre testate.

In un articolo pubblicato sul sito dell’International News Marketing Association la brillante manager propone un algoritmo, una formula di calcolo di media ponderata, che identifica la propensione delle persone a pagare l’informazione incrociando tipo di piattaforma e contenuto.

La Brennen identifica 5 drivers assegnando a ciascuno di essi un peso specifico in termini di rilevanza:

Complessivamente, in base a questi fattori ponderati, la miglior valutazione è per i tablet che ottengono un punteggio di 100, seguiti dai giornali di carta con 60 e dalle edizioni online dei quotidiani con 38. Marginali smartphones e social network.

Indicazioni estremamente interessanti che, da un lato, vanno incrociate con la penetrazione di ciascuna piattaforma e, dall’altro lato,  adattate, personalizzate per un’analisi specifica della singola realtà aziendale.

La chiave del successo sembra risiedere essenzialmente in due fattori: forte specializzazione e valore, anche in termini di permanenza, di durata, dei contenuti, combinati con una grandissima attenzione, in termini di monitoraggio, delle informazioni ottenute grazie al tracking dell’utenza online, ai quali, con specifico riferimento ad informazioni economico – finanziarie, va aggiunta l’importanza dell’informazione in tempo reale, e dunque necessariamente digitale/online, che rappresenta maggiormente un valore aggiunto in tale ambito.

E’ probabilmente impossibile, e forse sbagliato concettualmente e metodologicamente, trarre una lezione generale applicabile a contesti diversi sulla possibilità di valorizzare i contenuti online. Se una va proposta risiede certamente a mio avviso nella [ri]definizione della customer value proposition  per la realizzazione di proposte di successo in ambito editoriale. Su questo fronte la strada della specializzazione, a parità di condizione, potrebbe essere vincente nell’attuale scenario competitivo caratterizzato da frammentazione di interessi e sovrabbondanza di informazione. Se siete arrivati a leggere sin qui significa che si tratta di un tema che vi interessa e vi coinvolge, qualunque commento o integrazione è, come sempre, non solo gradito ma auspicato.

Nei prossimi giorni, come anticipato, completerò la visione concentrandomi sulla terza variabile: la comunicazione pubblicitaria e e le revenues che può realisticamente generare per l’informazione online.

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Rimedi Omeopatici

Si è finalmente conclusa la vicenda che ha visto Boiron, multinazionale francese che produce e commercializza prodotti omeopatici, al centro di una crisi di comunicazione nata dalle considerazioni di Samuele Riva sul suo blog.

Si tratta dell’ennesimo caso di cattiva gestione della comunicazione in Rete da parte di aziende che, per dimensioni e struttura organizzativa, dovrebbero alle porte del 2012 essere in grado di gestire decisamente meglio questo tipo di situazioni.

Sono episodi che minacciano seriamente la reputazione delle imprese che ne sono coinvolte, causati fondamentalmente da scollamento tra i diversi reparti aziendali e scarsa preparazione alla gestione di situazioni di questo tipo.

Nel 2008 Air Force Statunitense ha prodotto un diagramma di flusso che identifica i passaggi chiave e le azioni da compiere per casi di questo genere.

Si tratta di un ausilio tanto banale quanto fondamentale che dimostra la possibilità di pre-pararsi per gestire adeguatamente le relazioni e la comunicazione online evitando così le possibili consequenze di un disastro mediatico generato dall’«effetto streisand».

Guidelines che il marketing, i responsabili della comunicazione aziendale, d’intesa con un legale che abbia buona sensibilità alle tematiche della rete, non devono, non possono ulteriormente esimersi dal codificare nel panorama attuale.

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Iperconcentrazione dei Media

Rogier Klomp, direttore di This is Propaganda, nel breve documentario, ottimamente realizzato con delle animazioni, analizza la crescente concentrazione nel mondo dei media.

Nel 2010 sei imprese controllano i tre quarti dei network televisivi del mondo influenzando inevitabilmente secondo i propri interessi la percezione della realtà.

Sono dinamiche alle quali, contrariamente a quanto si possa comunemente ritenere, non si sottrae neppure la Rete.

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Mercati Drogati

Che la sovvenzione dello Stato a supporto di prodotti/mercati in difficoltà abbia scarso effetto, o addirittura effetto negativo, è dimostrato osservando dinamiche e tendenze del mercato dell’auto, e relative incentivazioni alla rottamazione, degli ultimi anni.

Il mercato editoriale vive per una quota parte anche dei sussidi statali da tempo.

Il Reuters Institute for the Study of Journalism dell’ Università di Oxford ha pubblicato un analisi [+] delle sovvenzioni statali, dirette ed indirette, ai media di sei nazioni nel mondo Italia compresa.

- Clicca per Ingrandire -

Frédéric Filloux, dalle colonne di Monday Note, ha effettuato una riclassificazione dei dati della ricerca pubblicando le vendite dei quotidiani per ogni 1000 abitanti e l’incidenza dei sussidi per ogni cittadino relativante alle nazioni oggetto dell’analisi del Reuters Institute for the Study of Journalism.

Secondo quanto pubblicato, l’Italia è il terzo Paese per incidenza dei contributi statali all’editoria e ultimo nel rapporto tra numero di abitanti e vendite di quotidiani.

I dati dimostrano che non vi è una relazione diretta tra la penetrazione di Internet e le vendite dei quotidiani, con Finlandia e Gran Bretagna che hanno un’elevata readership ed altrettanto un elevato numero di utenti che utilizzano la Rete.

Nella mia personale interpretazione delle informazioni disponibili, i dati smentiscono l’ipotesi che uno dei problemi dei quotidiani sia legato ad aspetti demografici. Al contrario, in una nazione quale l’Italia con progressivo invecchiamento della popolazione questo dovrebbe, eventualmente, essere un vantaggio.

Se i contributi al comparto editoriale siano una forma di supporto alla libertà di informazione e, di riflesso, alla democrazia, o meno, è certamente discutibile. Quello che appare inopibinabile è l’effetto perverso di drogare il mercato,  l’inutilità, o peggio, di contributi che non abbiano una finalità specifica e misurabile.

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L’Uragano dell’Informazione

Come faccio quasi ogni mattina, stavo dando un’occhiata alla versione online dei principali quotidiani quando, arrivato al terzo, qualcosa ha iniziato a stridere, perfino ad infastidirmi, spingendomi ad approfondire.

Ho così verificato che l’apertura, il primo titolo in testa, delle home page di tutti i maggiori giornali europei è dedicata a Irene l’uragano che sta colpendo gli Stati Uniti. Non c’è quotidiano per il quale la notizia principale non sia relativa a questo evento atmosferico eccezionale.

Jeff Jarvis parla di #stormporn ridicolizzando la qualità della copertura giornalistica, ed in particolare quella televisiva, dell’uragano.

Se è possibile comprendere che i giornali inglesi dedichino tanta rilevanza ai fatti poichè per loro la quota di traffico, di visite, che arriva dagli USA è una quota rilevante, che questo avvenga anche per i giornali italiani, francesi e spagnoli desta in me più di qualche perplessità e preoccupazione.

Se la teoria complottista potrebbe rilevare una strategia della disattenzione rispetto ad altri fatti che certamente hanno rilevanza superiore nei rispettivi Paesi, personalmente propendo per una non meno preoccupante omologazione al ribasso.

L’audience driven journalism, il giornalismo che punta tutto sull’attrazione dell’audience, si evolve, pare ad ogni latitudine, in karaoke journalism annullando di fatto le potenzialità di pluralità di visione e di pensiero della Rete in nome degli accessi da vendere agli investitori pubblicitari.

Tutto cambia, nulla muta.

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Twitter è più Veloce di un Terremoto

The New York Times ha creato un nuovo feed, un nuovo account su Twitter specificatamente dedicato a fornire informazione in tempo reale su eventi di particolare rilevanza.  Le motivazioni dietro alla creazione di un ulteriore canale oltre a quello già esistente sono ben spiegate dal Nieman Journalism Lab.

Si tratta della consacrazione definitiva di Twitter come canale d’informazione.

Contemporaneamente, Twitter stesso ha prodotto un breve video promozionale nel quale punta decisamente sul proprio plus di essere mezzo d’informazione rapido. Il girato, giocando con sapiente ironia, mostra una persona che avvisata via Twitter del terremoto pone rimedio, per così dire, alla situazione.

Come ho già avuto modo di segnalare, puntare tutto sulla velocità d’informazione rischia di creare un fenomeno definito “hamsterization” che, parafrasando la corsa all’interno della ruota del criceto, conferma in tutta la sua negatività i rischi  dell’effetto auditel sull’informazione online.

La tempestività dell’informazione non è sempre necessariamente un valore, ancor meno se finisce per essere elemento di disturbo alla selezione qualificata ed all’affidabilità.

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Le Latitudini del Gioco

Il gioco è ormai attività diffusa, trasversale ad ogni fascia d’età, che raccoglie ampiamente l’interesse delle persone. Fenomeno di massa grazie anche alla diffusione all’interno dei social network raccolto nella definizione di social gaming.

Latitude ha condotto una ricerca quantitativa sui possessori di smartphone di età compresa tra i 15 ed i 54 anni che si definissero, almeno, giocatori occasionali. I risultati, rilasciati pochi giorni fa, sono liberamente scaricabili.

Il gioco rimane certamente un’attività legata a momenti di svago ed intrattenimento ma assume sempre più altre valenze legate al raggiungimento di obiettivi personali ed anche di carattere sociale.

L’interazione sociale attraverso il gioco è un mezzo non un fine. I giochi sono sempre più un catalizzatore di nuovi legami sociali e di interessi comuni.

Il campo di applicazione dei giochi travalica l’aspetto prettamente ludico diventando mezzo di formazione e, dunque, apprendimento, di relazione sociale sia in termini di rapporti tra le persone che di temi legati alla società quali ambiente ed economia, sino a diventare media per sollecitare e coinvolgere le persone su  istanze civiche.

Per verificarne l’applicazione, anche in campo editoriale, oggi non è più necessario rifarsi esclusivamente ad esperienze d’oltreoceano ma è sufficiente visitare l’area appositamente dedicata all’interno dell’edizione online della Gazzetta dello Sport.

La  gamification, o quale che sia il termine più consono per identificarne la portata e le caratteristiche distintive, è ormai indubbiamente un media, un mezzo per comunicare, e dunque relazionarsi, a tutti gli effetti.

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ShareApocalypse

Summify “tira la volata” al proprio servizio e mostra in un’infografica la massa infinita di informazioni che vengono condivise attraverso i principali social network.

Numeri tanto interessanti quanto impressionanti che forniscono la reason why, la motivazione, alla nascita dei promoted media come mezzo di comunicazione corporate necessario ad ottenere evidenza del proprio messaggio, per riuscire ad ovviare al sovraccarico informativo al quale gli internauti sono sottoposti anche nei social network:

Si genera così un apparente paradosso tra condivisione di contenuti e necessità di promuoverli sul quale si impone una riflessione: che sia in chiave di comunicazione aziendale o in un’ottica di porgere informazione in chiave giornalistica lavorare su criteri basati sulla rilevanza pare l’unica soluzione praticabile.

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Focalizzati sulle Competenze Tecniche

Sta ormai alla prima pagina del bignami sulle buone pratiche in ambito lavorativo la questione delle 3C:

  • Cononoscenze: Il sapere di un individuo
  • Competenze: La capacità “pratica” di saper applicare il sapere
  • Comportamenti: Modi di agire e strategie generali di azione dell’individuo nell’esercizio della sua professione

Secondo i risultati di una ricerca svolta dal National Council for the Training of Journalists [NTCJ], accreditato istituto di formazione alla professione giornalistica, per oltre 100 editori anglosassoni il focus è sulle competenze tecniche.

Il sondaggio online, al quale sono seguiti focus group di approfondimento in diverse città della Gran Bretagna, evidenzia come ai primi posti degli skill ritenuti rilevanti vi siano gli aspetti tecnici, quelli più tradizionali della professione giornalistica, mentre sono fanalino di coda l’interazione con i lettori, utilizzo delle tecnologie web based e social media.

Sono evidenze che definiscono la misura della distanza ancora da colmare tra comportamenti ed interessi dei lettori e quelli di molte redazioni.

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Didascalisco & Propedeutico

Stefano Quintarelli qualche giorno fa ha prodotto un interessante riflessione su quella che è la questione di fondo sulla quale l’editoria di tutto il mondo si interroga senza, ad oggi, trovare un risposta certa, una soluzione: se e come sarà possibile compensare la tendenza negativa delle pubblicazioni cartacee grazie all’online ed al digitale più in generale.

Nel farlo ha prodotto un’analisi didascalica della situazione attuale che considera entrambi i versanti, digitale e tradizionale, con particolare riferimento al panorama italiano.  Si tratta, a mio avviso, di spunti propedeutici ad ulteriori approfondimenti.

Seguo concettualmente lo stesso schema realizzato dal Direttore dell’Area Digital del Gruppo 24 ORE così da facilitare confronto, integrazione e sintesi.

Carta:

Come illustra la tabella di sintesi recentemente realizzata, i ricavi da vendita incidono mediamente per oltre il 60% del totale mentre le revenues dell’area elettronica ed online si assestano a poco più del 2%.

Oltre ai costi elencati da Quintarelli sono da aggiungersi i costi di distribuzione primaria e secondaria.  Il tema della distribuzione secondo me è centrale, a parità di condizione,  rispetto alla redditività attuale ed alle prospettive dei quotidiani, delle testate “tradizionali”.  Approfondiamolo:

In termini di sistema, le specificità della distribuzione delle testate nel nostro paese vengono descritte con tutti i dettagli del caso nel documento realizzato dall’ Antitrust su questo tema al quale vi rimando per  approfondimenti e spunti di riflessione che possono nascere dal confronto con le modalità utilizzate in altre nazioni.

Vale la pena di specificare che il canale distributivo tradizionale della stampa vede coinvolti quattro soggetti:

  • l’editore,
  • il distributore nazionale,
  • il distributore locale
  • le rivendite – le edicole.

Il processo distributivo può essere distinto in quattro fasi:

  • la definizione del piano diffusionale primario,
  • il trasporto al distributore locale,
  • la fornitura delle rivendite
  • la gestione delle rese.

Nella catena distributiva di quotidiani e periodici sono gli editori a svolgere il ruolo principale [channel leader]. L’editore si fa carico del rischio che deriva dalla difficoltà di adeguare l’offerta alla domanda consentendo al sistema distributivo il diritto di resa delle copie invendute. A fronte dell’assunzione del rischio commerciale [ma non economico e finanziario], l’editore detiene il controllo della politica distributiva, definendo i prezzi di vendita e la dimensione delle forniture, nonché conferendo esclusive territoriali per la distribuzione all’ingrosso relativa ad una determinata area geografica.

La struttura della distribuzione di quotidiani e periodici a livello nazionale risulta piuttosto concentrata. Due principali operatori, Press-Di e M-Dis, rappresentano oltre metà del mercato di prodotto editoriale distribuito da distributori nazionali, mentre il restante 45% è riconducibile a cinque altre imprese. In particolare, i distributori nazionali operanti in Italia sono M-Dis (33% circa del volume d’affari complessivo), Press-Di (24%), Sodip (17%), A&G Marco (11%), Parrini & C. (9%), Messaggerie Periodici Me.pe. (6%) e Pieroni (1%) partecipata a sua volta da M-Dis.

E’ un panorama che genera quello che Quintarelli, dotato di una miglior sintesi del sottoscritto, descrive in questo modo:

Se qualcuno vi dicesse c’e’ un business in cui

  • il cliente è intermediato,
  • non si hanno dati di vendita precisi se non dopo molto tempo dopo,
  • non si sa nulla dei clienti,
  • il rapporto con il cliente avviene a intervalli fissi,
  • i servizi devono essere venduti a pacchetto

Qui sta il punto.

Gli editori, coloro che hanno, così come lo abbiamo definito, il ruolo di channel leader sanno poco o nulla di quel che avviene quando il loro prodotto uscito dalle rotative viene caricato sui camion.

E’ evidentemente una situazione assolutamente anomala rispetto a quanto avviene in altri mercati anche di dimensioni inferiori a quello editoriale, è, altrettanto, una situazione che di fatto non consente di fatto una gestione del brand, del prodotto. Una situazione generata dallo strapotere della logistica con distributori nazionali e, se possibile, ancor più i distributori locali nel ruolo di feudatari che “tengono per le palle” [sorry per il francesismo, ma non trovo termine più efficace] gli editori inibendo, ostacolando il processo informativo necessario alla effettiva conoscenza del proprio business da parte di coloro che dovrebbero esserene detentori: gli editori, appunto.

La soluzione, come punto di partenza, è tanto semplice quanto, sin ora, inapplicata. Si chiama informatizzazione delle edicole.

L’informatizzazione delle edicole, consente, dialogo, comunicazione, e dunque conoscenza specifica, di ogni singola realtà.

L’informatizzazione delle edicole [ad oggi sono circa 5mila – su 32mila – quelle informatizzate con due applicativi distinti che dialogano solo con il distributore locale] consentirebbe all’editore di conoscere in tempo reale il venduto per ciascun punto vendita garantendo ottimizzazione del costo delle rese, l’attenuazione [o scomparsa] delle micro rotture di stock che paradossalmente caratterizzano le pubblicazioni alto vendenti.

L’informatizzazione delle edicole agevola la possibilità di sondaggi, di ricerche su argomenti ad hoc e favorisce l’implementazione di servizi a partire, per citarne almeno uno, dalla possibilità di effettuare in edicola il servizio di print on demand, che consentirebbe la quadra tra desiderio di personalizzazione da parte del lettore e mancanza di redditività che questo ottiene online nella sua declinazione all digital.

L’informatizzazione delle edicole consente, termine in voga, di disintermediare l’intermediazione, fare rete per dare voce, corpo e sostanza a questi concetti e a tutti quelli che è possibile aggiungere.

Altri fattori qualificanti sono stati precedentemente espressi e vengono qui di seguito ripresi, adattandoli al passare del tempo, alle evoluzioni intercorse, per facilità di lettura:

  • Censimento e stratificazione dei circa 35mila punti vendita al dettaglio che coprono il territorio nazionale, affinché per ciascuna realtà possano essere adottate le logiche di fornitura e distribuzione realmente adeguate alle esigenze nonchè si renda possibile l’implementazione di azioni di comunicazione, di merchandising, di vendita adeguate a realtà omogenee.
  • Introduzione di incontri mensili a livello provinciale tra giornalai, distributore locale e un editore a rotazione.
  • Creazione di un osservatorio permanente su il futuro dell’edicola e l’edicola del futuro composto da rappresentanti di tutta la filiera [inclusi giornalisti e concessionarie pubblicità] che con cadenza semestrale si confrontino, aggiornino e lavorino congiuntamente sul tema.

A questi aspetti, che per quanto possibile ho sintetizzato, andrebbe aggiunta l’introduzione di una figura di raccordo così come già implementato da Guido Veneziani Editore con ottimi risultati negli ultimi mesi.

Sono certo che effettuando questi interventi quello che, ad oggi, rappresenta mediamente l’80% dei ricavi sarebbe sostanzialmente migliorato e tutelato consentendo significativi recuperi contributivi alla filiera permettendo perciò di guardare con maggiore prospettiva e miglior solidità patrimoniale a tutte le evoluzioni future dell’ecosistema dell’informazione.

Se siete arrivati a leggere sin qui significa che si tratta di un tema che vi interessa e vi coinvolge, qualunque commento o integrazione è, come sempre, non solo gradito ma auspicato.

Nei prossimi giorni completerò la visione concentrandomi sugli altri due aspetti trattati da Quintarelli: comunicazione pubblicitaria e prospettive dell’editoria online/digitale.

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