Archivi del mese: ottobre 2011

Disorganizzati alla Meta

L’indagine realizzata dallo IULM relativamente alla “SocialMediAbility” delle aziende italiane presentata all’inizio di quest’anno, tracciava un quadro su l’uso dei social media da parte delle aziende italiane evidenziando, tra l’altro, una generale scarsa accettazione interna ed un basso livello di conoscenza di corretto utilizzo di quest’area di comunicazione e relazione con le persone.

Arriva ora un’indagine condotta da Cohn & Wolfe insieme ad AstraRicerche e al Laboratorio di Ricerca Economica e Manageriale dell’Università di Udine su un campione di 101 aziende di settori merceologici e dimensioni diverse ad aggiornare il quadro di riferimento su utilizzo corporate e dinamiche interne relativamente a quell’insieme di mezzi che viene raccolto nella definizione di social media.

I risultati emergenti sono raccolti nel commento all’indagine fatto da Luca Brusati, Coordinatore Scientifico del Laboratorio di Ricerca Economica e Manageriale dell’Università di Udine, che afferma: “i dati suggeriscono che le aziende italiane stanno appena cominciando a considerare la comunicazione digitale come un’attività da svolgere in modo continuativo, e dunque da dotare di risorse umane e finanziarie ad hoc, coordinate in modo adeguato con le altre funzioni aziendali. Al di là delle dichiarazioni di principio e dei comportamenti imitativi, il quadro emergente dall’analisi è che le aziende italiane facciano fatica a cogliere la valenza strategica dei cambiamenti che stanno interessando le aspettative e i comportamenti dei propri interlocutori”.

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Tintinnio & Cinguettio dei Giornalisti

 La striscia a fumetti «Le avventure di Tintin», pubblicata dal 1929 in poi,  ha come protagonista principale un giornalista, più esattamente un reporter, Tintin appunto, che gira per il mondo accompagnato dal suo fox – terrier.

In concomitanza con la recente uscita nelle sale cinematografiche del film diretto da Spielberg «Le avventure di Tintin: il segreto dell’Unicorno», i giornalisti spagnoli hanno dato vita ad iniziativa spontanea di denuncia delle condizioni lavorative e salariali che vivono attualmente.

Quasi casualmente, da uno scambio di battute su Twitter, è nato l’hashtag #tintinhoy che ha dato luogo a circa 4000 tweet nell’arco di due giorni fornendo un ritratto caustico della condizione, anche, di questa professione sempre più assoggettata alla necessità di fare audience.

Come sarebbe il lavoro di Tintin oggi, questo il senso sintetizzato dalla tag utilizzata per l’aggregazione dei contenuti sulla piattaforma di microblogging, con sapiente umorismo descrive meglio di tante ricerche e convegni l’impatto della crisi per un mestiere fino a poco tempo fa considerato privilegiato.

Ennesima conferma dell’impatto del dilemma del prigioniero.

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The Revolution Will Be Newspaperised?

The need of categorizing everything raises even more, if possible, when there are new emerging phenomenon which lack of understanding.

After the Occupy Wall Street movement started to publish it’s own printed newspaper now also in the UK the Occupy London protesters have printed their version too.

Consisting of twelve A4 pages of comment, news and features alongside photos, cartoons and event listings, written largely by the camp’s occupants, there is an initial run of 2000 copies of  the first issue of the newspaper,  available also as a PDF  or  on issuu.com.

The Tunisia’s revolt as been often described as the Twitter revolution, shortly after the uprising in Egypt needed the new definition of Facebook revolution, apparently the worldwide movement mainly against banks and financial institutions should briefly be the newspapers revolution and, of course, we will be reading articles asking if the revolution will be “newspaperised” [I promise not to use any more this term].

So funny, so real, so true?

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Prendere Nota

Forte dei buoni risultati ottenuti dalla sperimentazione di rendere noto pubblicamente il proprio piano editoriale giornaliero, «The Guardian», mantenendo la visione d’assieme e la coerenza sin ora dimostrati,  continua il proprio percorso evolutivo.

Di ieri il lancio di @GuardianTagBot servizio di ricerca social di contenuti effettuato via Twitter che fornisce una risposta alla ricerca di contenuti, informazioni, notizie pubblicate dal quotidiano anglosassone. Inviando una richiesta all’account specificatamente dedicato allo scopo  si ottiene una risposta con i link alle informazioni desiderate. Scelta esemplare per assolvere all’obiettivo di portare traffico al proprio sito mantenendo al tempo stesso una conversazione, una relazione con il pubblico attraverso i social media.

Ancora più interessante appare il lancio  prossimo di nOtice, open community per la condivisione di notizie e non solo.

Secondo quanto riportato da Nieman Lab, la community dovrebbe essere un ibrido tra Craigslist, Foursquare e Ning riunendone le funzionalità offerte.

Matt McAllister, Direttore area digital del Guardian, dal suo blog anticipa i contenuti e le possibilità offerte dalla community di prossima apertura le cui potenzialità non solo solamente relazionali ma anche di ritorno concreto di revenues grazie all’offerta di contenuti promo – pubblicitari geolocalizzati.

Dopo Eskup di «El Pais», ora anche «The Guardian» dunque intraprende la strada della creazione di una propria community.

Che la soluzione, anche per le imprese del comparto editoriale, sia nel recupero, miglioramento della relazione con i lettori, con le persone, e loro coinvolgimento, anche, attraverso la creazione di communities proprietarie è una delle tesi che sostengo da tempo.

Attraverso la comunicazione, il trasferimento mutuo di contenuti, la relazione, si diviene leader del contesto economico e sociale, si trasmettono dei valori di riferimento che consentono di influenzare il rapporto con le persone, con i pubblici di riferimento. Non è necessario rifarsi alle più avanzate teorie di social media marketing, basta andarsi a leggere la storia di Adriano Olivetti e dell’impresa che portava il suo nome per capirlo.

Le “rivoluzioni”, qual’è quella che sta trasformando l’ecosistema dell’informazione, si fanno con le persone non a spese loro.

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Efficientamento sulle Nuvole

Diversi quotidiani nazionali hanno pubblicato il testo integrale della lettera [qui + qui] che l’Italia, ma forse sarebbe più corretto dire coloro che attualmente la rappresentano, ha inviato alla UE.

Valuto positivamente la pubblicazione del documento che rappresenta un atto di trasparenza apprezzabile che consente, al di là di commenti ed interpretazioni, di farsi una propria opinione su contenuti e validità degli stessi. Peccato per il “trucchetto” di uno dei giornali che ha reso disponibile il testo spezzettandolo in ben 8 pagine rendendo più ardua la fruizione da parte del lettore al solo fine di aumentare il numero di pagine viste del sito web del quotidiano in questione; quando si fa una cosa ben fatta sarebbe meglio farla sino in fondo, credo.

Se la pubblicazione consente a ciascuno di farsi una propria opinione, nel mio caso è stato l’utilizzo del termine efficientamento, usato in riferimento a lavoro e giustizia, ad avermi colpito per la distanza che pone tra obiettivo e declinazione attraverso una terminologia che solo il burocratese si spinge ad impiegare.

Aggregando il testo ho realizzato la word cloud, la nuvola di parole del testo, per verificare quali potessero essere i tratti comuni dell’ipotesi di programma proposto.

Pare emergere una forte centralità autoriferita rispetto al Governo che contrasta con termini che ritengo avrebbero dovuto risaltare all’interno di un’ipotesi di sviluppo. Si noti, ad esempio, quanto piccoli, e dunque poco usati, siano i termini: giovani, rispetto, obiettivo, qualità, tempi, ma anche: PIL, riforma e liberalizzazione.

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Impressione di mancanza di concretezza che traspare anche nel comunicato diffuso dal Consiglio UE alla conclusione dei lavori, che non a caso dedica l’apertura del documento proprio al nostro Paese, concludendo: “We invite the Commission to provide a detailed assessment of the measures and to monitor their implementation, and the Italian authorities to provide in a timely way all the information necessary for such an assessment”

Insomma, efficientamento si ma “ccà nisciuno è fesso” potrebbe essere l’essenza della conclusione della risposta che il Presidente del Consiglio  riporta a casa.

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La Corsa all’Oro

Coloro che visitano con buona frequenza questa TAZ * avranno avuto modo di rilevare il mio scetticismo, le mie critiche, rispetto alla relazione che intercorre tra i tablets e le speranze dei ricavi da parte delle imprese del comparto editoriale [quotidiani & pubblicazioni] riposte in questa piattaforma.

Critiche mosse sotto un profilo “ideologico” di non gradimento di un sistema chiuso quale quello concepito da Apple, generate dalla constatazione delle puerili declinazioni che sono state, ad oggi, fatte nell’utilizzo del format, nonchè dai vincoli che l’impresa di Cupertino impone agli editori.

Lo studio «The Tablet Revolution», pubblicato ieri da PEJ effettua una fotografia dettagliata della situazione attuale e delle prospettive che le applicazioni per i tablet realizzate dagli editori di quotidiani e periodici offrono.

La ricerca, realizzata da «Pew Research Center» in collaborazione con «The Economist», ha coinvolto complessivamente circa 40mila persone negli Stati Uniti, identificando abitudini ed attitudini nell’utilizzo quotidiano dei tablets ed approfondendo usi e propensioni relativamente alla lettura di notizie, nel senso più ampio del termine, attraverso questo device.

I risultati emergenti evidenziano una crescita esponenziale nell’utilizzo dei tablets che hanno ora una penetrazione dell’11%.

La fruzione di notizie, dato che era emerso già dalle precedenti indagini, attraverso questo tipo di device è una delle principali attività da parte di coloro che ne sono possessori. Si tratta di un consumo che è alternativo principalmente a quello che prima veniva effettuato attraverso desktop e laptop [PC fisso e portatile].

La ricerca evidenzia come la lettura di notizie avvenga principalmente attraverso il browser mentre le apps rappresentano una quota assolutamente minoritaria per fruire dell’informazione.

Rispetto alle attese di ricavi, come mostra il grafico di sintesi sottostante, si rileva una scarsissima propensione a pagare per avere le notizie, anche, da parte di coloro che possiedono un iPad, principalmente, o altro tipo di tablet, con soglie d’acquisto che per ottenere volumi interessanti si posizionano a livelli davvero bassi.

Attualmente il 14% degli utenti che consultano le notizie hanno effettuato un esborso per avere accesso all’informazione.  A mio avviso è scorretto sommare a costoro quelli che avendo sottoscritto un abbonamento al formato tradizionale cartaceo hanno anche quello digitale, come invece viene fatto, poichè è difficile stabilire quale sia il driver, la motivazione, in termini di formato alla sottoscrizione.

Una propensione a non pagare anche in questo caso che si fonda, nella mia personale decodifica, su un basso livello di coinvolgimento testimoniato da una maggioranza di persone che leggono solo i titoli e confermato da quanto relativamente marginale sia la percentuale di coloro che condividono l’informazione.

L’infografica sottostante riepiloga le principali evidenze emergenti dalla ricerca in caso non aveste voglia o tempo, come personalmente consiglio, di leggere il rapporto integralmente.

La corsa all’oro, la famosa gold rush, ha fatto arricchire più chi vendeva pale e picconi che i minatori che faticavano nelle miniere avare di oro ma piene di grandi illusioni. La mia impressione è che la situazione sia in questo caso la medesima con giornali e giornalisti nei panni dei minatori ed Apple ed altri produttori nelle vesti dei venditori di attrezzatura per gli scavi.

Al momento della redazione di questo articolo, ne parlano anche: CNET News, Folio, VentureBeat, Mashable!, Search Engine Land, mocoNews, Medacity, ReadWriteWeb, Poynter, Marketing Pilgrim, Trends in the Living Networks, Gannett Blog, CyberJournalist.net, NetNewsCheck Latest, HubSpot’s Inbound , FT Tech Hub, Editors Weblog, Multichannel, GigaOM, Broadcasting & Cable, Future of Journalism, Hillicon Valley, TeleRead, Poynter, Reflections of a Newsosaur , Adweek.

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Social Media Policy

Sia nella Pubblica Amministrazione che nel privato la tendenza generale attuale è quella di inibire l’accesso ai social network dal lavoro. Timore sulla dispersione di tempo durante l’orario lavorativo e paura della diffusione di informazioni aziendali le principali motivazioni alla base di questa scelta.

Con la diffusione crescente di smartphone che consentono l’accesso ad Internet, e dunque ai social network, è un’opzione tanto miope quanto insensata poichè non garantisce la soluzione del problema.

Il video realizzato dal Dipartimento della Giustizia di Victoria [Australia] non solo rappresenta un ottimo esempio di comunicazione interna per qualità della realizzazione e lo stile del linguaggio, ma dimostra che la soluzione risiede nella realizzazione di una social media policy, ovvero nella definizione di tutta una serie di linee guida e criteri che definiscano i comportamenti da adottare sui social media da parte di dipendenti e collaboratori.

Con circa 20 milioni di utenti iscritti a Facebook nel nostro Paese, vietare capziosamente l’accesso ai social network significa, di fatto, negare la realtà e trascurare aspetti che possono avere impatto diretto sulla reputazione dell’organizzazione aziendale.

La consapevolezza di un problema non porta alla sua soluzione se non attraverso l’azione. Iniziate ora a definire la vostra social media policy.

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Occupare le Redazioni

David Carr, dalle sue celebri colonne dedicate al mondo dei media del «New York Times», tratteggia gli effetti della crisi del mondo editoriale per i giornalisti d’oltreoceano, dipingendo una situazione che pare molto simile a quella della finanza e delle banche.

Perdita di posti di lavoro e, per chi resta, condizioni sempre più difficili di precarietà basata su ritmi lavorativi crescenti e compensi calanti sono la norma alla quale fanno invece da contraltare bonus stellari per i manager che hanno, sostiene Carr, generato questa situazione.

Dal parallello ne nasce la provocatoria proposta di adottare le stesse modalità del movimento partito da Occupy Wall Street occupando le redazioni per essere ascoltati.

E’ la misura estrema della drammaticità del dilemma del prigioniero.

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La Vita di George per gli Editori

Lego, l’azienda dei “mattoncini”, è un case study che devo assolutamente prendermi il tempo di assemblare, per restare nella metafora.

Credo sia davvero un caso straordinario di buone pratiche e ottima gestione dell’impresa. Azienda che ha saputo evolversi pur mantenedosi nel solco della tradizione del suo prodotto originario sopravvivendo a giochi elettronici e altre mode, più o meno passeggere, che hanno attraversato negli ultimi vent’anni il mercato in cui opera, i cui prodotti sono stati recentemente utilizzati dalla banca americana J.P. Morgan per illustrare la crisi del debito pubblico nell’UE.

«Life of George» è un gioco lanciato di recente che racconta una storia, quella appunto della vita di George, unendo la fisicità classica dei famosi mattoncini ad una applicazione di realtà aumentata per iPhone che propone 120 livelli di gioco.

Il punteggio del gioco viene assegnato in funzione della velocità ed accuratezza di esecuzione della figura proposta dall’applicazione dello smartphone, è anche possibile competere con un altro giocatore. Lego ha dedicato una parte specifica del proprio sito web al gioco ed ha realizzato una pagina ad hoc su Facebook  che al momento in cui scrivo ha oltre 3mila “like” e più di 300 persone che ne stanno parlando, che diffondono ai loro contatti informazioni al riguardo.

Un esempio di storytelling che coniuga tradizione ed innovazione dal quale indubbiamente gli editori potrebbero, volendo, avere molto da imparare.

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Engaging Readers With Newsgames

I’ve talked many times about newsgames as a tremendous media newspapers have for storytelling and an incredible way of engaging people putting them in the story.

Bobby Schweizer, speaker at the World Editors Forum last week, and co-author of «Newsgames: Journalism at Play», in the interview carried out by Sarah Marshall, among others, explains how video games can be used to do journalism.

Newsgames give the reader the context and explain the why and the how of the story.

With gaming spreading among all ages and gender there are no barriers to the adoption by people but resistance to innovation by those who will soon be follower and not leaders. As Gerd Leonhard said recently: engage or became irrelevant. Now you know.

Listen to the podcast – Talk on newsgames:

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