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Distorsione delle Notizie per l’Inganno Politico

La campagna elettorale è entrata nella fase più accesa, del richiamo agli interessi forti, al coinvolgimento emozionale e alla coerenza sociale. Tra smentite e memento, controinformazione e rinfacci, i capi coalizione, i candidati e i sostenitori delle liste elettorali vecchie e nuove si affrontano senza esclusione di colpi nella gara per la conquista dei votanti. Un fiume in piena di notizie invade i media e tocca gli elettori.

Da vent’anni le elezioni italiane si svolgono in un clima di forte antagonismo e quanto più i richiami valoriali, alle regole della democrazia, si omologano, tanto più sono gli esponenti di spicco dei partiti di opinione a fare le differenze, sempre più enfatizzate sul processo mentale di costruzione delle “comunità immaginate”, come le definì Benedict Anderson, cioè i gruppi a cui i politici attribuiscono caratteristiche e comportamenti, risultanti dal miscuglio di un forte tribalismo e di una giungla hobbesiana, bene espresso dal proverbio “Io e mio fratello contro mio cugino. Io e mio cugino contro il mondo intero”.

Il tribalismo è l’idea che la solidarietà sia basata solo sulla prossimità delle relazioni di sangue e sia rafforzata da un atteggiamento di ostilità permanente verso il resto del mondo.

La comunicazione elettorale, basata sui media tradizionali e nuovi, fa leva sulla squalificazione reciproca dei protagonisti per i comportamenti tenuti nel passato e sulla svalutazione delle intenzioni e dei programmi futuri di governo.

Le liste elettorali in campo fanno una vera e propria “esorcizzazione dei nemici”, accusati di voler peggiorare la condizione socio-economica dei cittadini, in cambio di trovate estemporanee per l’avvenire e correzioni retrospettive della politica sbagliata, attuata nel passato.

I mass media perlopiù si prestano ad amplificare queste tenzoni, spettacolarizzarle e adornarle di informazioni distintive, raccolte da fonti, non sempre affidabili o non verificate, oppure elaborate per deduzione e verosimiglianza.

Si viene così a comporre un vero e proprio arzigogolo teatrale, da teatro comico, in cui la “personalizzazione della politica”, chiave privilegiata dell’interpretazione dei fatti, fa da guida per suggerire colpi di scena e comportamenti scontati.

La visibilità mediatica dei protagonisti di ogni ordine e grado ne guadagna naturalmente.

Se la carta stampata spinge la collaborazione del lettore alla riflessione e alla valutazione dei fatti comunicati, la televisione aggiunge alla spettacolarità la distanza fra spettatore e protagonista e la facilitazione del processo di conoscenza, diventato sempre più rapido e fruttifero per chi agisce.

“Sono i media d’attualità che creano, letteralmente, la notorietà, per la loro capacità di rendere visibili e familiari i personaggi pubblici a milioni di persone, che non li hanno mai incontrati in carne e ossa” scriveva Charles L. Ponce de Leon in “Self-Exposure: Human-Interest Journalism and the Emergence of Celebrity in America”.

L’immagine televisiva configurata in questo modo e categorizzata per i fatti mostrati, si stereotipizza nel vissuto degli spettatori e diventa elemento cognitivo di riferimento abituale. Lo stesso accade per il frequentatore del social network nell’interazione con il titolare dell’account.

In Italia, come negli altri Paesi, l’ elettore s’informa sulla politica per mezzo della televisione e non c’è canale nazionale che non dia notizie, almeno settimanalmente, ai suoi spettatori sull’esito dei sondaggi affidati agli istituti di indagine.

Rilevazioni e analisi su orientamenti e tendenze dei votanti abbondano anche sulla carta stampata, sui giornali online e sui siti interessati alla politica, ma la televisione fa da padrona, forte delle caratteristiche proprie e dell’eventuale correlazione con altri media, che danno spazio ai politici. Costituisce un traino forte, di facile accesso e comprensione, imbattibile dai concorrenti.

Il successo in politica dei personaggi televisivi sta a dimostrare l’ efficacia del medium, da solo e in communication mix.

TG & Politica

L’esaltazione visiva dei protagonisti costituisce la componente principale della distorsione veridica dei fatti. Il cosiddetto “spinning”, l’espressione inglese legata al verbo omonimo, che può corrispondere al lombardo “far su”, cioè manipolare l’atteggiamento di qualcuno per ottenerne il consenso, fa leva sull’immagine e la visibilità mediatica.

Usato soprattutto nella comunicazione politica, “in generale, lo spin è la ricostruzione che dà rilievo a certi aspetti e ne trascura altri, mette in relazione certi fatti e non altri” spiega Franca D’Agostini in “Menzogna”. E’ un modo operativo del newsmaking, della pubblicità, della difesa avvocatesca, serve per stimolare la fiducia e ottenere l’adesione al messaggio rivolto al target.

Anche se siamo “naturalmente” entrati nell’epoca della diffidenza, in cui “interagiamo soprattutto con persone in cui non abbiamo fiducia [e forse verso le quali proviamo diffidenza]” scrive Russell Hardin, lo facciamo perché crediamo di poter trovare il modo per soddisfare i nostri interessi nelle azioni degli altri.

E’ la logica che in politica si chiama del “ Votare turandosi il naso” per ottenere le utilità fatte baluginare dal manipolatore.

Il politologo John J. Mearsheimer dell’University of Chicago nel libro “Why leaders lie”, pubblicato da Oxford University Press nel 2011, attribuisce ai politici americani, governi in testa, di aver fatto uso di “spinning” per raccogliere l’adesione della maggioranza dei cittadini USA fino alle decisioni di intervento armato in Afganistan e Irak, mostrando gli aspetti favorevoli e vantaggiosi per il paese, esagerando e distorcendo addirittura la verità, riducendo o ignorando gli inconvenienti della situazione, senza prevaricazioni.

Lo spinning può essere ammesso come estrema risorsa di fronte a situazioni drammatiche, in cui non si può aspettare per evitarne l’aggravamento sostiene Mearsheimer.

La tesi giustificazionista del politologo non altera la puntigliosa ricostruzione dei fatti, basata su documenti originali e l’esemplificazione delle tecniche di distorsione delle notizie in politica effettuata nel libro.

Negli uni e nelle altre sta l’utilità di “Why leaders lie. The truth about lying in International politics”. Lettura consigliata in questi 15 giorni che ci separano dalle elezioni.

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Diffamazione: Il Difficile Equilibrio tra Libertà di Stampa e Tutela dei Cittadini

Il caso Sallusti continua a tenere banco in questi giorni alimentando il dibattito sul tema della diffamazione a mezzo stampa e più in generale sul difficile equilibrio tra libertà di stampa e tutela dei cittadini.

Pare slittare la deliberante per il ddl diffamazione, meglio noto con il nome di decreto “salva Sallusti”, con il Direttore del «Il Giornale» che gioca a fare il martire sparando ad alzo zero contro tutti con un linguaggio [ancora una volta?] da osteria, e la FNSI che concorda sull’obbligo di rettifica e suggerisce l’istituzione di un “giurì per la lealtà dell’informazione” ma si dice preccupata dei lacci all’autonomia e alla libertà dell’informazione.

Sul tema l’infografica pubblicata da «Linkiesta» offre una panoramica della legislazione nei diversi Paesi d’Europa con la maggior parte delle nazioni che prevedono sia pene detentive che pene pecuniarie rilevanti. Una conferma di quanto allarmismo si stia facendo sul tema in Italia e della rilevanza della questione attribuita nelle nazioni con noi confinanti; in Germania, ad esempio, si arriva a pene che possono essere sino a 5 anni di carcere, nonostante la Corte di Strasburgo con una sentenza del 2007 abbia affermato il contrario.

E’ proprio di questi temi di grande attualità che tratta Al Qaeda, Al Qaeda, docu-film di denuncia, che fa luce su ciò che accade sull’altra faccia del mondo della diffamazione. Quella abitata dagli offesi e da chi ha provato a difendersi, contro la disinformazione e la persecuzione a mezzo stampa in Italia.

Il docu-film ricostruisce e narra storie vere, attraverso la testimonianza diretta degli interessati, materiale di archivio e scene originali, le storie che giorno dopo giorno i media raccontano agli italiani, senza ritegno per la verità delle cose e molto spesso senza alcun rispetto per le persone che sono coinvolte.

Nel film si succedono la storia di Beppino Englaro, protagonista della incredibile gogna mediatica legata al dramma della figlia Eluana, la vicenda di Youssef Nada un banchiere musulmano indicato dai giornali e poi da Bush tra i finanziatori di Al Qaeda: tutto falso, come si è potuto dimostrare in seguito. E poi le storie di tante persone comuni, tutte unite dall’unico denominatore: l’avere incontrato sulla loro strada il loro diffamatore, il carnefice che ha tolto loro l’onore, la reputazione, l’identità.

Il documentario, della durata di circa un’ora, sarà presentato ufficialmente oggi 18 ottobre alle 18:00 presso il cinema Apollo in Galleria De Cristoforis a Milano in anteprima nazionale per poi essere distribuito attraverso i canali “non ufficiali” in Rete, su iTunes..etc. Ed anche in dvd, posto in vendita al prezzo “popolare” di 8/10 euro.

Io ci sarò, ci vediamo lì?

PS: Spero che la pubblicazione della copertina del DVD che riporta, anche, il mio nome, sia sufficiente come disclaimer sul mio interessamento diretto alla questione.

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Storie da Copertina

Fiumi di parole sono state scritte in questi giorni sulla copertina del «Time» di questa settimana che è stata dedicata al nostro Presidente del Consiglio Mario Monti. La scelta di ritrarre l’attuale capo del nostro Governo è stata unanimamente interpretata come la conferma dell’autorevolezza e del buon lavoro che gli viene attribuito e riconosciuto, sancito, sugellato dalla copertina.

Peccato che così non sia assolutamente. Infatti la copertina degli Stati Uniti, dove il settimanale vende la stragrande maggioranza delle proprie copie, ha un soggetto completamente diverso, mentre Monti è rappresentato solamente sulle edizioni distribuite fuori dagli USA.

Storie da copertina che stabiliscono ancora una volta il limite tra notizie e informazione.

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Comma Sutra

Di grande interesse “Informazione e Pubblicità: Le relazioni pericolose”, ricerca curata dal Gruppo di lavoro sulla Qualità dell’ informazione del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti e dal LaRiCA Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, che ha investigato se e quanto la pubblicità condiziona la linea editoriale delle testate del nostro Paese.

Lo studio è stato condotto nell’estate del 2011, il campione di giornalisti coinvolti comprende professionisti dell’informazione che lavorano per diverse tipologie di testate, dal quotidiano nazionale al mensile, dal giornale free press alla pubblicazione all digital, in maniera trasversale. I risultati sono stati pubblicati ieri ed evidenziano, tra l’altro, la dicotomia tra codice etico e pratica comune con una separazione tra informazione e pubblicità sempre meno facilmente definibile per il lettore secondo il 79% dei rispondenti. Una situazione percepita dai giornalisti stessi che nel 46% dei casi affermano un condizionamento dalla pubblicità per la produzione di informazione.

Se sono dati che sono in contrasto con almeno 8 fonti deontologiche diverse che fanno riferimento al tema specifico, amareggiano ma non stupiscono.

Precedenti studi sulla correlazione tra advertising e copertura giornalistica avevano già evidenziato come il ritorno, in termini di articoli pubblicati, sia direttamente correlato al crescere degli investimenti pubblicitari, aumentando sia in funzione dei comunicati stampa diffusi che del livello di investimento in comunicazione pubblicitaria delle imprese. Un aspetto che è assolutamente noto a chi opera professionalmente nel settore della comunicazione, ed in particolare delle PR.

Non si tratta solamente di investitori pubblicitari che ricevono un trattamento preferenziale nella copertura giornalistica ma vi sono tutta una serie di aspetti che non vanno trascurati.

Da un lato, ad esempio, in questo pare essersi specializzato, inaugurando forse un filone inedito, il quotidiano economico – giuridico e politico «Italia Oggi». Nella rubrica quotidiana “Un professionista al giorno”, il precitato giornale, che si caratterizza per il giallo – nero, propone un’intervista romanzata di un personaggio [o sedicente tale] dell’economia e degli affari italiani in generale. Oltre a magnificare ed amplificare immancabilmente sia le doti professionali che quelle umane dell’intervistato, la gabbia grafica della pagina in questione prevede come schema fisso l’equivalente di due colonne con “i preferiti” dell’intervistato. Gli oggetti sono quasi sempre libri, viaggi, film e motori; l’unica variante è dipendente dal sesso dell’intervistato che se uomo è un orologio, mentre se donna scarpe o borse, restiamo sempre comunque nell’ambito dei complementi – accessori dell’abbigliamento. Immagini dei prodotti e marchi “di prestigio”, in linea con il target dei lettori del quotidiano, sono sempre ben visibili.

Dall’altro lato, forse di maggior impatto, è nota la prassi secondo la quale non sia opportuno, per così dire, esprimere critiche particolarmente aspre nei confronti degli investitori pubblicitari. Sotto questo profilo, compagnie di telefonia o aziende di moda hanno nel tempo annullato campagne pubblicitarie e relativi investimenti, budget, proprio in virtù di espressioni giornalistiche sul loro operato non apprezzate.

Questo aspetto, tra l’altro, si inserisce proprio nel dibattito su motivazioni e criteri secondo i quali lo Stato debba, o meno, finanziare determinate testate. Molto spesso, infatti, l’affollamento pubblicitario, o meno, di una determinata testata non è solamente legato alla readership ma anche all’orientamento espresso dai giornalisti. «Il Manifesto» ne è uno degli esempi più concreti anche se evidentemente non l’unico.

Sono aspetti che nel loro insieme si acutizzano in momenti quali l’attuale di crisi degli investimenti e di lavoro, con testate e giornalisti che evidentemente divengono ancor più ricattabili.

Realtà che non ha necessità di inserirsi nell’ attuale revisione delle linee guida di riforma dell’ordinamento giornalistico poichè la disciplina esistente è assolutamente adeguata allo scopo,  in termini teorici almeno.

Finché gli articoli dei giornali saranno scritti sul retro degli annunci pubblicitari, i giornalisti e le testate, continueranno ad essere costretti di fatto a praticare il comma sutra, fusione, neologismo, che stabilisce la distanza tra le buone pratiche codificate e le scorrettezze, con diverse estensioni, della pratica quotidiana.

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L’Uragano dell’Informazione

Come faccio quasi ogni mattina, stavo dando un’occhiata alla versione online dei principali quotidiani quando, arrivato al terzo, qualcosa ha iniziato a stridere, perfino ad infastidirmi, spingendomi ad approfondire.

Ho così verificato che l’apertura, il primo titolo in testa, delle home page di tutti i maggiori giornali europei è dedicata a Irene l’uragano che sta colpendo gli Stati Uniti. Non c’è quotidiano per il quale la notizia principale non sia relativa a questo evento atmosferico eccezionale.

Jeff Jarvis parla di #stormporn ridicolizzando la qualità della copertura giornalistica, ed in particolare quella televisiva, dell’uragano.

Se è possibile comprendere che i giornali inglesi dedichino tanta rilevanza ai fatti poichè per loro la quota di traffico, di visite, che arriva dagli USA è una quota rilevante, che questo avvenga anche per i giornali italiani, francesi e spagnoli desta in me più di qualche perplessità e preoccupazione.

Se la teoria complottista potrebbe rilevare una strategia della disattenzione rispetto ad altri fatti che certamente hanno rilevanza superiore nei rispettivi Paesi, personalmente propendo per una non meno preoccupante omologazione al ribasso.

L’audience driven journalism, il giornalismo che punta tutto sull’attrazione dell’audience, si evolve, pare ad ogni latitudine, in karaoke journalism annullando di fatto le potenzialità di pluralità di visione e di pensiero della Rete in nome degli accessi da vendere agli investitori pubblicitari.

Tutto cambia, nulla muta.

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Twitter è più Veloce di un Terremoto

The New York Times ha creato un nuovo feed, un nuovo account su Twitter specificatamente dedicato a fornire informazione in tempo reale su eventi di particolare rilevanza.  Le motivazioni dietro alla creazione di un ulteriore canale oltre a quello già esistente sono ben spiegate dal Nieman Journalism Lab.

Si tratta della consacrazione definitiva di Twitter come canale d’informazione.

Contemporaneamente, Twitter stesso ha prodotto un breve video promozionale nel quale punta decisamente sul proprio plus di essere mezzo d’informazione rapido. Il girato, giocando con sapiente ironia, mostra una persona che avvisata via Twitter del terremoto pone rimedio, per così dire, alla situazione.

Come ho già avuto modo di segnalare, puntare tutto sulla velocità d’informazione rischia di creare un fenomeno definito “hamsterization” che, parafrasando la corsa all’interno della ruota del criceto, conferma in tutta la sua negatività i rischi  dell’effetto auditel sull’informazione online.

La tempestività dell’informazione non è sempre necessariamente un valore, ancor meno se finisce per essere elemento di disturbo alla selezione qualificata ed all’affidabilità.

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Nowism: Social Media & Informazione

James Surowieck, giornalista statunitense di riconosciuta autorevolezza, fa risalire il momento in cui i social media sono divenuti una parte rilevante dell’ecosistema dell’informazione allo tsunami del 2005. Nella sua conferenza sul tema spiega che:

In the world of blogs, there’s going to be before the tsunami and after the tsunami, because one of the things that happened in the wake of the tsunami was that, although initially – that is, in that first day – there was actually a kind of dearth of live reporting, there was a dearth of live video – and some people complained about this. They said, sort of, you know, the blogsters let us down. What became very clear was that within a few days the outpouring of information was immense, and we got a complete and powerful picture of what had happened in a way that we never had been able to get before. And what you had was a group of essentially unorganized, unconnected writers, video bloggers, et cetera, who were able to come up with a collective portrait of a disaster that gave us a much better sense of what it was like to actually be there than the mainstream media could give us.

Si tratta di una tendenza sempre più marcata che, sempre per identificare tentativamente dei momenti topici di riferimento, dalla rivolta iraniana del giugno 2009 vede in Twitter il “news stream”, la fonte dalla quale attingere le notizie più aggiornate, per eccellenza.

Se indubbiamente rappresenta un arricchimento di fonti e punti di vista sugli avvenimenti di portata mondiale, Twitter [o forse sarebbe meglio dire l’utenza di Twitter?] sembra afflitto dalla sindrome di voler capeggiare a tutti i costi rispetto agli altri media nell’essere la prima fonte in ordine temporale a diffondere notizie rilevanti.

E’ un fenomeno diffuso che non appartiene esclsivamente ai social media ma è ormai caratteristica integrante di una tendenza generale più ampia classificata come nowism: il bisogno di gratificazioni ed informazioni istantanee e costanti ben sintetizzato dalla definizione che ne fornisce l’Urban Dictionary.

Ho verificato personalmente tra ieri e l’altroieri gli effetti devastanti che può avere sull’informazione con riferimento alle sommosse popolari che stanno portando alla caduta dell’attuale regime in Libia.

Lo streaming continuo di notizie dalla Libia su Twitter è caratterizzato da momenti di picco in seguito alla diffusione di informazioni particolarmente rilevanti che eccitano gli animi e la diffusione.  Eclatante e significativa a tale proposito la dinamica relativa alla presunta fuga all’estero di Gheddafi con una prima indiscrezione che ottiene ben 2452 [a questo momento] retweet diventando di fatto notizia e generando, oltre alla mia ironia,  una ridda di indiscrezioni, di bufale, nate su Twitter e riprese dai mainstream media frutto della riconcorsa al primato nella notizia.

Il nowism rischia di uccidere l’informazione con un rumore di fondo costante  di voci ed illazioni che si ricorrono annullando di fatto  la positività di un flusso informativo condiviso e diffuso. Si tratta di una situazione che viene ben sintetizzata da Carlo Dante nel suo «Minime Pervenute»: “In principio fu il verbo, poi il discorso, poi l’affermazione, poi l’informazione, infine un chiasso infernale”.

Difficile dire se si tratti di un appendice dell’effetto auditel per l’informazione online, di propaganda, o, più semplicemente, di un inevitabile passaggio verso la maturità, verso una maggiore consapevolezza, del ruolo dei social media nell’ambito più strettamente informativo in chiave giornalistica.  Certamente rappresenta una deriva potenzialmente dannosa da tenere in considerazione alla quale attualmente non resta che porre rimedio affidandosi a fonti sul campo e di riconosciuta affidabilità.

- Anteprima della Prima Pagina del NYT del 22.02.2011 -

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Il Mezzo NON è il Messaggio

Il quotidiano torinese La Stampa stamane, in uno degli articoli dedicati agli scontri in atto da tre giorni in Inghilterra, titola: “Londra, la rivolta corre su Twitter”, lasciando intendere  che il tam tam sui social network sia responsabile dei fatti.

E’ opportuno specificare che si tratta, ad essere benevoli, di un’inesattezza, poichè in realtà il mezzo prevalentemente utilizzato dai giovani per coordinarsi è stato il BlackBerry Messanger, servizio di messaggeria istantanea che non è possibile classificare come social network.

Ciò premesso, in queste ore i cittadini britannici stanno utilizzando i social media ed i social network esattamente in maniera opposta.

Sotto la denominazione di «Riot Clean Up» è un fiorire di iniziative spontanee delle diverse comunità di residenti che si organizzano e coordinano attraverso distinte modalità e mezzi, sfruttando la Rete, per ristabilire una situazione di normalità.

Si va dalle community che si danno appuntamento per pulire i quartieri devastati, alle pagine su Facebook destinate al medesimo scopo o, addirittura, per segnalare con foto e video atti di vandalismo ed autori; compito al quale è dedicato anche un microblog su Tumblr così come avviene con Flickr.

Si tratta di una tendenza presente anche su Twitter dove i messaggi a favore della pulizia [#riotcleanup] hanno quasi pareggiato quelli di narrazione, più o meno realistica e più o meno partigiana su, come vengono chiamati in inglese, i riots [#londonriots].

Il mezzo non è il messaggio.

Per approfondire: 1234

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Congetture

La strage in Norvegia è un caso da manuale di cattiva copertura giornalistica di un evento.

Se la rincorsa a dare l’informazione per primi ha generato distorsioni più o meno volontarie, anche i commenti, le chiavi di lettura dei tragici fatti non hanno mancato di sorprendere aggiungendo ulteriore disgusto ad un evento che era già di per se stesso ripugnante.

Da leggere al riguardo l’articolo pubblicato sul Guardian che parla proprio di «fact-free conjecture» [congetture non fondate su fatti] riferendosi al trattamento informativo complessivamente dato alla notizia in questione.

A completare il desolante panorama di congetture e disinformazione ci ha pensato un servizio del TG1 che traccia parallelismi tanto azzardati quanto infondati tra la strage ed i videogiochi chiudendo così, ci si augura, la lista delle cose da non fare in questi casi.

Nel centenario della sua nascita torna di attualità quanto affermava Marshall McLuhan in The Mechanical Bride nel 1951 che spiegava come “quello di cui c’è bisogno non è attaccare la lampante imbecillità, ma spiegare ciò che la sostiene”.

Risulta evidente come il giornalismo delle congetture pour cause abbia fallito anche alla luce di quanto scritto dal sociologo canadese.

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