Archivi del mese: settembre 2009

Correlazioni ed ipotesi di lavoro

La percezione attuale dei lettori nord americani sull’accuratezza e la credibilità delle notizie è crollata ai livelli più bassi dal 1985 ad oggi.

Il rapporto recentemente pubblicato da The Pew Research Center for the People and the Press non lascia dubbi al riguardo. Circa due terzi dei lettori ritiene che le storie, gli articoli pubblicati siano spesso inaccurati, inesatti o pretestuosamente faziosi, con il conseguente sensibile aumento di coloro che affermano di non considerare professionale giornalismo e giornali.

Press accuracy

Al tempo stesso, come noto, la stampa è il media che maggiormente risente della crisi degli investimenti pubblicitari con una calo continuo che ne ha dimezzato gli introiti nel tempo. La situazione complessiva dei giornali statunitensi è stata ottimamente sintetizzata recentemente grazie all’efficacissima infografica realizzata da Mint.

Restando nel mondo anglosassone, è notizia di oggi il fatto che in Gran Bretagna internet abbia superato persino la televisione [e perciò anche i giornali] in termini di introiti pubblicitari. Il Guardian, nell’articolo che riporta il dato sopracitato, conclude ricordando che in Europa già in Danimarca sei mesi fa era avvenuto lo stesso sorpasso anche se, evidentemente, le dimensioni delle due nazioni/mercati renda di maggior rilevanza quello odierno.

Non casualmente, Danimarca e UK sono i due stati a livello europeo dove minore è la fiducia nei media tradizionali e maggiore è invece quella riposta nella notizie on line, come riportava una ricerca di TNS di fine 2008. Se le marche, gli investitori pubblicitari, devono sempre più creare una relazione fiduciaria con “il target di riferimento” è evidente che vadano a ricercare [e ad effettuare investimenti in] contesti che favoriscono queste dinamiche invece di ostacolarle poiché non credibili come mezzi di comunicazione.

Sono elementi e dinamiche, delle quali ho avuto modo di parlare a più riprese nel tempo, assolutamente presenti anche nel nostro paese. Anche se da una prospettiva distinta, alcuni dati di ulteriore supporto sono stati forniti-ricordati non più tardi di ieri.

Trust the media

Il prezzo dell’informazione è legato strettamente al credito che i lettori le portano [cit.] è questa la vera trave nelle rotative dei giornali. Sotto il profilo dei contenuti e della redditività tutto il resto è, nella migliore delle ipotesi [o peggiore, a seconda dei punti di vista], colore e corollario.

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Media mix

L’aggiornamento mensile rilasciato da Nielsen Media Research relativamente agli investimenti pubblicitari per mezzo non lascia adito a dubbi. Nei primi sette mesi del 2009 sono stati “bruciati” complessivamente circa un miliardo di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Periodici, free press ed affissioni sono i mezzi in maggior sofferenza. Internet continua a crescere seppur a tassi decisamente ridotti rispetto agli anni precedenti.

Sono dati e tendenze risapute agli addetti ai lavori. Quel che mi sembra di maggior interesse è verificare il media mix degli investimenti pubblicitari, sia per stabilire eventuali spostamenti di rilievo nella quota per mezzo che per confrontarlo con quello recentemente pubblicato da eMarketer relativamente alla situazione d’oltreoceano.

Raccolta Pubblicitaria 2009

In Italia, la televisione accresce la propria incidenza passando [consentitemi gli arrotondamenti] dal 50,8% dell’ anno scorso al 52,4% del 2009, l’unico altro mezzo che vede crescere il proprio peso è il web che quest’anno si attesta al 6,8%; gli altri, a complemento, ovviamente si ridimensionano ed è proprio la stampa a vedere la maggior debacle passando dal 30,3% al 27,4%.

Come illustra la tavola sottostante, la situazione negli USA è decisamente diversa. Internet ha un peso quasi doppio rispetto al nostro paese mentre la televisione si assesta complessivamente intorno al 30% lasciando spazio e rilevanza agli altri media. Le differenze rispetto alla realtà nostrana sono dunque davvero significative, non solo dal punto di vista delle dimensioni ma anche , come abbiamo visto in sintesi, delle dinamiche.

Media mix USA

Quando si analizzano le situazioni del nostro paese molto spesso [forse troppo spesso] ci si riferisce alla realtà d’oltreoceano.

La specificazione non è mai ovvia ed è, anzi, doverosa sia per quanto riguarda l’editoria che altri settori/mercati. Sono considerazioni emerse, anche, da quanto riportato da LSDI recentemente, relativamente alla ricerca che “ha tenuto banco” nei giorni scorsi, che ricorda come sussistano profonde differenze tra la realtà della Gran Bretagna e quella Statunitense all’interno dello stesso mondo anglosassone; figuriamoci con la nostra.

Se la mappa non è il territorio, utilizzare per giunta quella errata non può che condurre fuori strada.

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Diffusioni invitanti

Sono stati resi noti il 24 scorso i dati relativi alle diffusioni del mese di giugno. Dopo averli visionati, come di consueto, con una certa attenzione, ho concentrato il mio interesse sull’andamento dei mensili.

Tra le pubblicazioni editoriali a cadenza mensile la miglior performance in assoluto viene realizzata da Gente Motori che realizzerebbe un incremento del 44%. Una performance straordinaria che potrebbe davvero riempire d’orgoglio editore, responsabile della rivista e giornalisti ed al tempo stesso attirare l’attenzione di agenzie pubblicitarie e centri media dirottando, magari, una parte degli investimenti verso questo mensile.

Sarebbe questo un grave errore di valutazione ed un cattivo servizio alla propria clientela. Infatti i dati sono pesantemente inficiati dall’abbinamento [banded] con Gente che ha una tiratura più che doppia rispetto al pubblicazione dedicata ad auto e motori della stessa casa editrice.

E’ solo un esempio, l’ultimo in ordine cronologico, di quanto avviene in campo editoriale.

La mappa non è il territorio, è sempre opportuno ricordarselo quando si analizzano dei dati. E’ necessario affiancare la visione d’assieme che i dati forniscono alle informazioni raccolte in prima persona on the field, sul campo.

Invito pubblicamente editori, pubblicitari, giornalisti e quanti interessati – direttamente o meno – ai media, a passare almeno una mattinata nella mia edicola per rendersi conto in prima persona di quello che avviene effettivamente sul campo.

Partendo dal furgone più disastrato ancora su strada, guidato da un povero cristo [in senso buono], che una mattina si e l’altra pure ti chiedi come faccia ancora a riuscire a fare le consegne, per arrivare, appunto, ad operazioni che sono ben distinte da come vengono presentate nei patinati folder preparati ad hoc, paradossalmente, da agenzie di comunicazione incaricate di “abbindolare” altre agenzie.

Facciamoci un favore, stampate il pass sottostante e venite a trovarmi siete sinceramente benvenuti. Se voleste avvisare prima, qui trovate ogni riferimento utile per farlo.

FreePass

The only job you can start at the top is digging a hole” – Anonimo –

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Negroponte e la convergenza editoriale

Nicholas Negroponte, il docente al Mit poi divenuto famoso come uno dei massimi guru della New Economy, elaborò quel principio che dal suo nome è stato poi definito del Negroponte switch: il “Commutatore di Negroponte”. Era la prima delle due “leggi” formulate nel volume Essere digitali, e prevedeva: “Ciò che si distribuisce oggi per via aerea si farà in futuro per filo, e viceversa”. Andava assieme a una Seconda Legge: “La società andrà sempre più abbandonando il sostrato materiale su cui si basa l’economia, e gli atomi saranno sostituiti dai bit”. Conseguenza della Prima Legge: il telefonino al posto del telefono; la tv via cavo al posto di quella via etere. Conseguenza della Seconda Legge: i bit immateriali su cui trasmettere un giornale in rete, piuttosto che gli atomi pesanti su cui è stampata la carta del giornale tradizionale.

Anche in campo automobilistico, il superamento della crisi va nel passaggio dal motore tradizionale a quello ibrido: soluzione per favorire la quale Obama ha favorito l’avvicinamento tra lo know-how di Fiat e Chrysler. Mentre nel giornalismo, la risposta ai problemi del modello tradizionale di sola carta stampata non è tanto nel passare al solo Internet, ma nella sempre maggior articolazione dei contenuti e dei media. Un giornale non più uno ma bino, trino e, se possibile, quattrino; e che faccia quattrini.

L’estratto soprarriferito dei passaggi, a mio parere, salienti di un articolo redatto relativamente di recente da Maurizio Stefanini, sintetizza ottimamente, da un lato, quanto sostenevo e, dall’altro, le indicazioni che emergono dalla diffusione [sta quasi diventando “una saga”] di un’altra parte della ricerca di cui, tra gli altri, stiamo parlando ormai da tre giorni in questi spazi.

Secondo quanto reso noto oggi, infatti, abbinando il pagamento delle notizie on line all’abbonamento della versione cartacea di un quotidiano la percentuale che si dichiarano interessati, e dunque disponibili a pagare, sale dal 5% al 48% come illustrato dal grafico di sintesi sotto riportato.

Convergenza editoriale

Evidenze e segnali sul processo di convergenza editoriale erano già stati raccolti con riferimento al caso del Seattle Post Intelligencer che sembrava dimostrare come web e carta non fossero alternativi bensì complementari. Ipotesi che l’indagine pubblicata dal Guardian avvalla e conferma.

La convergenza tra media è un processo difficile ma necessario che comporta, come tutti i processi innovativi, rischi ed errori ma sembra davvero l’unica perseguibile allo stato attuale. Rimosse le illusioni di baristi e muratori diviene necessario, evidentemente, dare seguito ed operatività al processo.

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The maximum amount [and the most probable conclusion?]

Il Guardian continua, giorno dopo giorno, a diffondere i risultati della ricerca, svolta da Harris Interactive & Paid Content, sull’ atteggiamento e la propensione alla spesa da parte degli utenti, dei lettori, relativamente alle notizie on line.

Stabilito che circa il 5% dei lettori sono disponibili concettualmente al pagamento delle notizie on line e che i micropagamenti sono un’opzione assolutamente trascurabile, le evidenze diffuse ieri riguardano un a questione altrettanto cruciale: quanto sarebbero disposti a pagare – eventualmente – gli utenti all’anno per l’abbonamento alle notizie on line di un quotidiano?

La risposta tendenziale è, anche in questo caso, inequivocabile:

  • Per l’abbonamento annuale 10 Uk Pounds [circa 11 €] sono la cifra orientativa indicata

  • 25 penny [circa 0,30 €] è la disponibilità giornaliera indicata

  • Da un minimo di 1 penny ad un massimo di 2 é, infine, quando indicato dal campione intervistato per il singolo articolo.

Il valore riconosciuto si aggira dunque intorno al 6% di quanto paga/pagherebbe in un anno il normale lettore dell’edizione cartacea. Ricordandosi che, comunque, gli stessi hanno affermato con chiarezza che fondamentalmente non vogliono pagare.

annual subscrition fee news on line

I dati grezzi dai quali sono state estratte le elaborazioni riportate sono disponibili, se d’interesse, QUI.

Anche in questo caso, sembra che abbia avuto – perlomeno – fortuna con la cifra indicata quale disponibilità giornaliera nella simulazione effettuata, a titolo esemplificativo, tempo fa rispetto ad un quotidiano italiano.

Incrociando i dati emergenti dalla ricerca con le specifiche caratteristiche del mercato italiano, sia in termini di penetrazione di internet che di analisi delle dinamiche più recenti, parrebbe possibile concludere dunque che il ruolo dell’on line sia decisamente marginale in termini di redditività oltre che attuale anche potenziale.

Ad oggi il ruolo di internet nel nostro paese appare estremamente rilevante in termini di aggregazione e diffusione di contenuti e di assoluta importanza per la costruzione di relazioni che però trovano una loro dimensione economica quasi esclusivamente off line. Questo è evidentemente ancor più vero per gruppi di utenti, individui, “evoluti” quali sono senza dubbio anche i lettori di quotidiani nel suo insieme.

Il futuro dei giornali, sotto il profilo commerciale, passa e continuerà a passare inequivocabilmente per l’attuale rete di distribuzione [le edicole] è un dato di fatto.

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Imbuti, filosofie e modelli di business

“Il Foglio” di circa un anno fa [non spaventatevi, la data ha un suo senso] riporta l’intervista ad Alberto Rigotti, banchiere, docente di filosofia ed editore, noto ai più come “Mister EPolis”.

Il passaggio di maggior interesse è nelle conclusioni dell’intervista quando Rigotti in riferimento al quotidiano afferma: “Per me l’obiettivo di un investimento è sempre la creazione di valore, tutti i progetti industriali reggono soltanto se hanno come fine il profitto, se non a breve, almeno a medio termine. […..] L’edicola è una strozzatura, per questo con EPolis puntiamo al contatto diretto con il lettore. Con la free press gli andiamo incontro. Gli evitiamo la fatica di trovare un’edicola”.

I risultati di questa visione sono argomento di attualità noto a molti ed in particolare a stampatori, distributori e giornalisti che lavorano senza percepire i dovuti compensi per la crisi che ha portato, tra l’altro, ad oltre un mese di sospensione delle pubblicazioni.

Nella filosofia e nel modello di business, nel “munus”, della free press forse andava chiarito che il riferimento era al lavoro altrui, che non casualmente a Napoli si chiama fatica, probabilmente valeva la pena di farla per recarsi in edicola ad acquistare qualche modesto volumetto per un rapido, ed utile, ripasso.

Sembra, dunque, che senza imbuti il vino divenga aceto nella botte.

Biz Plan

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La conferma 2nd edition

Dopo aver rivelato ieri i risultati del sondaggio effettuato che attestava intorno al 5% la percentuale di coloro disposti al pagamento delle notizie on line, quest’oggi il “Guardian” pubblica i risultati rispetto ad un altro tema di attualità: i micropagamenti.

Ho avuto modo relativamente di recente di esprimere la mia opinione, anche, su questo tema che è spesso stato presentato come il cavallo di troia per far pagare i contenuti on line. In particolare dicevo che: “Personalmente, come credo sia emerso tra le righe di quanto sin ora proposto, non credo assolutamente all’ipotesi dei micropagamenti a partire dal valore unitario della transazione che rende futile per ciascun soggetto coinvolto il valore della stessa a meno di realizzare volumi di vendita assolutamente irrealistici da qui ai prossimi cinque anni almeno.

Per oltre la metà dei rispondenti al sondaggio [55%], i micropagamenti non sono un sistema adeguato o gradito ed un ulteriore 26% preferirebbe pagare – se del caso – una quota giornaliera.

Solo circa un quinto dei rispondenti vorrebbero pagare per articolo, relegando dunque i micropagamenti come una scelta non gradita o, comunque, minoritaria.

Ovviamente le ricerche vanno lette ed interpretate ma credo non vi sia dubbio su quale sia la tendenza generale. Un’altra delle ipotesi fuori luogo sul futuro dell’editoria è stata rimossa, potremo finalmente così concentrarci sul lavoro serio da farsi.

micropagamenti

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Le 11 cose che farei se dirigessi una organizzazione editoriale

Dan Gillmor ha redatto una lista di 11 punti che ho tradotto per facilitarne la lettura.

Si consiglia a baristi e muratori dell’ editoria di stamparsene diverse copie – in formato A3 o superiore – con le quali tappezzare l’ufficio così da averne sempre visione e ricordo.

Sono 11 preziosi consigli per orientarsi ed affrontare la situazione:

  • Non pubblicherei storie e commenti sulle commemorazioni [gli anniversari] se non in rarissime occasioni; poiché sono il rifugio di giornalisti pigri e senza immaginazione.

  • Inviterei la nostra utenza [i lettori] a partecipare con tutti i modi e gli strumenti possibili; crowdsourcing, blog dei lettori, wiki…etc. Chiarirei che non si tratta di lavoro gratuito – e lavorerei per creare un sistema di ricompensa che vada oltre la classica pacca sulla spalla – desiderando prima di ogni altra cosa promuovere un flusso multidirezionale di notizie nel quale l’utenza giochi un ruolo determinante

  • La trasparenza sarebbe un elemento chiave del giornalismo. Ogni articolo sulla stampa avrebbe un box che segnala a cosa il giornalista non è riuscito a rispondere. Qualunque fosse il media, il sito web conterrebbe un invito esplicito ai lettori a contribuire nel riempire le falle che esistono in ogni articolo.

  • Creerei un servizio on line, per coloro che volessero sottoscriverlo, per segnalare ai lettori gli errori da noi commessi dei quali ci siamo successivamente resi conto.

  • Farei della conversazione un elemento essenziale della nostra mission. In particolare:

    • Se fossimo un giornale locale, l’editoriale e la pagina d’apertura sarebbero dedicate al “meglio di”, e sarebbero di guida alla conversazione che la comunità stessa sta avendo on line, ospitata che sia dall’organizzazione editoriale stessa o meno.

    • Gli editoriali sarebbe presentati sotto forma di blog, così come le lettere all’editore.

    • Incoraggeremmo commenti e forum, in spazi soggetti a moderazione che (a) incoraggino l’utilizzo dei nomi reali (b) incoraggino [o costringano] l’educazione.

    • I commenti inseriti da persone che utilizzino il proprio nome reale sarebbero inseriti per primi.

  • Ci rifiuteremmo di fare stenografia e chiamarla giornalismo. Se una parte, una fazione, stesse mentendo lo diremmo, supportandolo con prove. Se verificassimo che una parte consistente della nostra comunità credesse in delle menzogne su fatti o persone, ci faremmo carico di far comprendere la vera verità.

  • Rimpiazzeremmo alcune espressioni Orwelliane delle PR, con parole ed espressioni più precise e neutrali. [seguono esemplificazioni nel testo originale di Gillmor].

  • Utilizzeremmo gli hyperlink in ogni maniera possibile. Il nostro sito web conterrebbe il maggior numero possibile di media della nostra comunità di appartenenza, sia geografica che di interesse. “Linkeremmo” ogni rilevante blog, foto, video, database ed ogni altro materiale che potessimo incontrare, utilizzando il nostro giudizio editoriale per evidenziare quelli che consideriamo i migliori per la nostra comunità. “Linkeremmo” liberamente il nostro lavoro giornalistico ad altre fonti e materiali rilevanti rispetto all’argomento di discussione, riconoscendo che non siamo oracoli ma guide.

  • I nostri archivi sarebbero liberamente consultabili, con link permanenti a quanto abbiamo pubblicato, con le API affinché altri possano utilizzare il nostro lavoro giornalistico in modi che noi non abbiamo considerato/immaginato.

  • La mission principale del nostro lavoro sarebbe quella di aiutare le persone della nostra comunità a divenire utilizzatori informati dei media e non consumatori passivi – a comprendere perchè e come possono farlo.

  • Non pubblicheremmo mai una lista di dieci punti. Esse sono il carburante di persone pigre e senza fantasia.

I consigli di Gillmor riprendono ed amplificano i concetti espressi nelle linee guida, nei principi, anch’essi tutti da leggere, che hanno costituito il fondamento, i pilastri, del progetto di Gillmor.

A scettici e conservatori sui consigli e principi enunciati da Gillmor, mi preme, infine, ricordare come si sia delineata – da tempo ormai – una situazione competitiva generale che mi piace definire da tapis roulant: se corri resti fermo, se resti fermo scivoli all’indietro. Il comparto editoriale, come è dinnanzi gli occhi di tutti, non fa eccezione ovviamente; non tenerne conto sarebbe l’ennesimo tragico errore.

Update: Sono stati redatti ieri Eleven More Things I’d Do if I Ran a News Organization – se qualcuno vollese prendersi cura di tradurli….[via]

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La conferma

Secondo una ricerca svolta da Harris Interactive, pubblicata oggi dal “Guardian”:

solo il 5% degli utenti sarebbe disposto a pagare le notizie on line

il 74% dei lettori cercherebbe le notizie altrove

on line paid content

I dettagli della ricerca e le segmentazioni dei risultati dei rispondenti sono disponibili sul sito del Guardian.

Pare, dunque, che quando avevo ipotizzato il 10% di penetrazione fossi stato fin troppo generoso.

Voglio davvero immaginare che questi risultati pongano la parola fine alle ipotesi ed al dibattito su questo tema.

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Il fatto selettivo

Dopo la campagna di preemption svolta ottimamente della quale avevo parlato a suo tempo, da domani sarà in edicola il nuovo quotidiano diretto da Antonio Padellaro.

“Il Fatto” sarà in vendita ad un prezzo di vendita di 1,20 € per sei giorni alla settimana [no lunedì] nel formato 31×45. Il quotidiano sarà distribuito da m-dis che ne curerà la diffusione, logistica e , pare, le attività promozionali in tutta Italia.

Gli abbonamenti percepiti effettivamente sono stati 27mila, dei quali 3mila hanno prenotato ma non pagato; di questi circa il 60% ha scelto la versione pdf da scaricare dal web. Probabilmente sia i 120 euro di risparmio [ 100 € vs. 220 della versione cartacea] che la promozione svolta fondamentalmente on line con l’Antefatto hanno inciso su questa dinamica.

Nella fase di lancio il quotidiano avrà una “diffusione mirata” in circa il 50% delle edicole [15mila su 37mila per l’esattezza] di aree selezionate. La tiratura dovrebbe aggirarsi intorno alle 85mila copie.

Visto che l’Emila R. dovrebbe essere coperta per intero mi riservo di tornare sull’argomento dopo aver visto fisicamente il quotidiano.

La politica di distribuzione selettiva e la campagna di comunicazione pre lancio svolta ne fanno un caso da seguire con attenzione nelle sue – speriamo – evoluzioni.

fiducia il fatto

Ovviamente al di là delle logiche distributive e promo-pubblicitarie, le firme – i giornalisti – ed il modello societario di finanziamento dell’iniziativa costituiscono ulteriore motivo di interesse e lettura del quotidiano che sulla carta [letteralmente] ha tutte le chance per ottenere ulteriori successi oltre a quelli già riscossi, fose, inaspettatamente in fase di pre lancio.

Si segnala, infine, che pare che Repubblica, La Stampa e L’Unità omettono – ad oggi – di parlare del nascente quotidiano. Anche questo costituisce un fatto selettivo.

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