Già il rapporto “Survival is Sucess”, realizzato a metà 2012 da Nicola Bruno e Rasmus Kleis Nielsen per il Reuters Institute for the Study of Journalism, aveva evidenziato come per le start up all digital dell’informazione del nostro paese la sopravvivenza fosse da considerarsi un successo.
Analisi delle difficoltà ad ottenere redditività che era stata poi confermata dallo studio “Chasing Sustainability on the Net : International research on 69 journalistic pure players and their business models”, che mostrava come le testate all digital italiane fossero ancora ben distanti dal generare ricavi che coprano i costi. Uniche eccezioni virtuose, per motivi diversi, «Varese News» e «YouReporter».
Una situazione critica che in questi giorni viene denunciata dal Direttore di «Q Code Mag», iniziativa editoriale sorta dalle ceneri di «E – Il Mensile» di PeaceReporter, che parla delle difficoltà del fare un giornalismo di qualità scrivendo che “il mercato è dopato: quella massa di click che raccogli attraverso un giornale e che riguardano temi non giornalistici – altro che caldi! – drogano costantemente il mercato e spingono le asticelle e le classifiche dei più cliccati in una dimensione di evidente e globale menzogna”.
Criticità che trasparivano con chiarezza dalla ricerca effettuata da Human Highway che, analizzando la fisionomia e l’immagine delle testate online nel nostro Paese, mostrava con chiarezza che i newsbrand restano quelli che nascono dalla carta, mentre gli all digital, ahimè, non sfondano dopo anni da loro lancio ormai e che sono ulteriormente confermate dall’analisi svolta da Claudio Plazzotta su «Italia Oggi» di venerdì 26 scorso.
Plazzotta ha raccolto i bilanci 2012 di «Linkiesta», News 3.0 [«Lettera43»], «Il Post», Società Editrice Multimediale [«Blitz Quotidiano»] e «Dagospia». Secondo quanto riportato tra le testate prese in considerazione l’unica a reggersi sulle proprie gambe, a produrre un utile, è quella realizzata da Roberto D’Agostino, che giustamente qualcuno ricorda come non sia solamente l’unico a macinare utili ma è anche l’unico a non produrre contenuti o, almeno, a prosperare in gran parte sul valore creato da altri. mentre tutte le altre presentano bilanci in perdita.
«Linkiesta», gravata da costi del lavoro insostenibili, continua a perdere 1 milione di euro all’anno [ed al terzo anno siamo dunque in rosso di 3 milioni di euro complessivamente], «Lettera43», pur a fronte di una crescita dei ricavi del 30% rispetto all’anno precedente aumenta le perdite accumulando anche in questo caso 1 milione di euro di rosso in bilancio. «Il Post» di Luca Sofri, ma sempre più di Banzai, quasi raddoppia i ricavi ma aumenta le perdite del 33% raggiungendo un buco di 480mila euro e «Blitz Quotidiano» resta stabile nei ricavi ma all’aumentare dei costi di produzione perde 142mila euro nel 2012. Non sono ancora disponibili i dati di «Affaritaliani» di Angelo Maria Perrino ma si tenga conto che l’utile del 2011 era stato di soli 2.500 euro.
Se insomma la sopravvivenza è un successo e la stabilità un miraggio il rischio che le testate pure digital italiane seguano il percorso della free press cartacea è concreto.
Difficile dire cosa sia necessario fare, se non analizzando specificatamente ciascuna testata con tempi e costi che rientrano nella consulenza e non più nella divulgazione di questa TAZ, ma incrociando ricavi ed accessi, utenti unici, è chiaro ormai che la strada perseguita sin ora non è quella che paga, da nessun punto di vista.
Se escludiamo «Linkiesta», che però probabilmente è andata a cercare di ritagliarsi una nicchia troppo ristretta rispetto ai costi che sostiene, nessuna delle altre testate ha tratti distintivi in grado di creare valore aggiunto per lettori ed inserzionisti. Non è solo questione di qualità dei contenuti o di indipendenza delle testate, che infatti i lettori riconoscono sia a «Linkiesta» che a «Il Post», ma di trattamento dell’informazione, di relazione con i lettori e di tipologia dell’offerta.
Qualcuno cortesemente mi spieghi, ad esempio, sempre con il massimo rispetto per tutti coloro che svolgono un lavoro onesto, perchè mai dovrei andare a leggere le notizie su «Blitz Quotidiano» invece che su «la Repubblica» o «Il Corriere» online.
Se avete la risposta avete la soluzione al problema, in caso contrario il problema è serio.
Pingback: Da grande voglio fare il freelance | Valigia Blu
bell’articolo, molto interessante. Porto la bimba al parco e poi nel pomeriggio ti rispondo.
Grazie. Un bacio alla bimba e che si diverta al parco; detto da uno che è padre di Marta, 4 anni e 1/2 🙂
A dopo
Pier Luca
Perché, tecnicamente e giornalisticamente, il lavoro di Repubblica è in molti casi di bassa qualità, affidato a giornalisti precari e sottopagati o frutto di un copia incolla dalle agenzie che è dato per assodato e normale.
Non che BlitzQuotidiano sia meglio, ma probabilmente il POst o l’Inkiesta sì.
Solo che non ci vado, perché il brand Repubblica è fortissimo ed esercita un enorme pressione culturale (così a loro modo anche gli altri).
Allo stesso tempo i lettori italiani non sono abbastanza educati al giornalismo (assuefatti da anni ad un giornalismo schiavo del potere o di un’agenda troppo intimamente legata a questo o a quel potere) per capire davvero la differenza e spostarsi altrove.
L’alternativa non la cercano perché ai loro occhi l’attendibilità di Repubblica non la scalzano gli errori di battitura, le imprecisioni, le castronerie scritte come se piovesse, le non-rettifiche, gli articoli di tecnologia o salute scritti da capre incapaci di tirarne fuori qualcosa mentre magari colleghi ben più capaci sono relegati a qualche trafiletto inutile, la colonnina morbosa che non c’entra niente con il giornalismo e molto, molto altro contro cui battersi spesso ti fa solo fare la figura del rosicone.
Pingback: Giornalismo, la difficile ricerca di modelli economici digitali - Cablogrammi - Wired.it
credo che l’utente legga in successione 3/ 4 testate on line per poi approfondire l’articolo o gli articoli che per interessi personali /professionali gli interessa. solo quando i maggiori quotidiani si faranno pagare per leggere forse ci sarà spazio e ritorno economico per i free.
per me comunque il post èquello che raccoglie più spunti interessanti e curiosi senza il colonnino morboso
il discorso e’ a mio avviso molto semplice. Repubblica e Blitzquotidiano parlano dei medesimi argomenti. Tanto vale leggere repubblica.it o corriere.it. Blitzquotidiano non ha niente di originale. Invece, ad esempio Nuova bussola quotidiana e’ originale perche non esiste un’altra risorsa online cosi aggiornata su un punto di vista particolare come il cattolicesimo conservatore. Altro caso quello di ilpost.it che gira tutto intorno alle idee di Menichini il direttore di Europa quotidiano un giornale che nessuno compra. ilpost.it per quanto sia ben fatto, e’ aria fritta in quanto a contenuti. Insomma online, piu che su carta, conta l’originalita’ dei contenuti. E la capacita di interazione con gli utenti, due elementi in cui, per esempio, sia ilpost che blitzquotidiano sono carenti. Per non parlare di Giornalettismo, a mio modesto avviso la peggior testata italiana online.
Quindi:
– Se sei la Repubblica o Corriere o altra versione online di testata cartacea, ti puoi permettere la bassa qualità, la scarsa originalità, la copiatura diretta di comunicati e di agenzie perché tanto conta il nome che ti fai con la carta.
– Se sei una testata online devi essere originale anche senza contributi statali per l’editoria, senza pubblicità cartacea sovraprezzata e soprattutto senza una base di affermazione culturale che ti fa partire in vantaggio in questo paese culturalmente sottosviluppato e conservatore.
Beh, ma allora che li apriamo a fare i giornali online?
Vedo di spiegarmi meglio, prendiamo Repubblica.it. – Il sito repubblica.it ha news aggiornate sui principali fatti che avvengono in Italia e nel mondo? Si ce le ha. Repubblica.it , come è nello stile di Repubblica, fornisce a tali notizie un taglio che piace alla ricca e media borghesia italiana, di cultura medio alta? Si, fornisce questo taglio.
Bene, detto questo, se te fai un sito internet che pubblica le notizie di cui parla anche Repubblica e gli dai lo stesso taglio che gli da repubblica.it, mi spieghi perchè l’utente medio di repubblica,it dovrebbere leggere il tuo sito?
Certo, il discorso è complesso, ma, ripeto il mio punto di vista. Io, nelle testate GENERALISTA online italiane tutta questa originalità rispetto ai giganti Corriere, Repubblica e Stampa, non ce la vedo. Infatti mi chiedo perchè testate come Giornalettismo o Affari Quotidiani siano state aperte.
Ma, magari, c’è qualcosa che io non ho capito, non pretendo di avere la ricetta giusta.
Perché piazzarsi sui motori o su Google News porta visite e conversioni anche se sei nessuno. Perché sui social funziona bene l’informazione unbranded, con orde di visitatori che non sanno nemmeno che aspetto abbia il logo del sito che stanno leggendo.
Chiarito il perché siano stati aperti giornali online come quelli citati, io rivolto la domanda: perché deve essere normale che i lettori di Repubblica si bevano le notizie così come le pubblica (male e in maniera sciatta) la redazione online di un tanto blasonato giornale, senza accorgersi che altrove c’è chi offre simile informazione ma con molta più attenzione?
Perché, insomma, la cura delle fonti e della netiquette non deve essere messa nel conto di quelle cose che i giornali online “fanno meglio di Repubblica”?
Perché vedi, il punto è questo: Repubblica non fa solo quello che dici tu. Repubblica è un giornale campione nel ripostare contenuti di altri (vedi i video e le gallery, tanto per dire) e nello stare sul mercato dell’online con metodi e strategie fatte male, vecchie, poco al passo con i trend dell’online eccetera eccetera eccetera. Così il corriere e molti altri. Si salva un po’ la stampa.
Ecco, perché tutto questo non deve andare a detrimento di Repubblica, mentre sono gli altri siti che “non hanno senso di stare aperti se danno le stesse news di Repubblica”?
Sia chiaro che lo stesso vale per molti altri giornali online che vengono dal cartaceo.
Insomma, se proprio vuoi fare la domanda che fai, io la porrei così:
a che pro dare notizie in un modo diverso, se tanto poi non serve a nulla perché chi le legge non è nemmeno in grado di riconoscere un modo diverso?
Evidentemente abbiamo due visioni diverse dell’editoria online, ma non è che dobbiamo provare a convincerci l’un l’altro.
Commento con qualche sensazione. Mi riferisco solo al confronto testate-all-digital/quotidiani-carta-web (diciamo, i siti di informazione generalista. Il concetto di “quotidiano” su web mi è oscuro), senza conoscerne a fondo i numeri. E prescindendo dalla qualità editoriale.
— Vantaggio dei boxini morbosi —
1. Contribuiscono a formare un solido bacino di traffico. In particolare le buone vecchie foto gallery, che generano clic moltiplicati (una notizia=15 pv ca). Quindi, continuano a funzionare bene sul modello a impression o clicktrough. Questa è tattica web tradizionale, ma ancora funziona.
2. Contribuiscono (insieme a svariati altri mezzi, es. i siti in network, i servizi di consultazione generatori di clic e seo) a formare la somma di traffico del sito. Per chi è in testa alle classifiche, è un biglietto da visita. Di qui le lotte testa-a-testa: non solo questione di orgoglio e prestigio.
(cfr. https://twitter.com/isopaci/status/332440596193112064/photo/1, su altre metriche, il nr di “copie” 😉 )
3. Bacini di traffico maggiori sono anche meglio segmentabili per offrire spazi a investitori, aggregare o convogliare contenuti promozionali e iniziative commerciali.
Quanto a segmentazione del target, i boxini morbosi li potrei considerare neutri data la diffusione trasversale della morbosità 😉
(ma non vanno considerati contenuti di bassa lega. Anche per quelli ci vuole mestiere).
Perciò hanno l’ulteriore vantaggio di aumentare la base statistica per la segmentazione, ma senza sbilanciarla (troppo).
— Autorevolezza delle testate carta-web —
4. c’è anche il retaggio dell’abitudine al brand. E ancora il digital divide, almeno psicologico, per i lettori meno attivi.
5. E il fatto che i siti d’informazione che hanno anche un giornale (o più d’uno) possono comunicarsi meglio, spendendo meno.
Il sito promuove il giornale, il giornale promuove il sito. E tutte le loro declinazioni di formato e di temi, offerte editoriali e iniziative commerciali.
Senza costi di promozione, almeno per quei canali.
6. “Perchè mai dovrei andare a leggere le notizie su «Blitz Quotidiano» invece che su «la Repubblica» o «Il Corriere» online?”
…ma soprattutto, e indipendentemente dalla qualità dei contenuti: perché dovrei investire in pubblicità su «Blitz Quotidiano» invece che su «la Repubblica» o «Il Corriere» online, che mi danno una visibilità nettamente maggiore?
E che con un grande bacino possono costruire lo spazio più adatto al mio target? (e ormai a costi abbordabili, cmq più bassi di stampa o tv)
— Costo dei contenuti —
7. comincio a sospettare che l’equazione “costo del lavoro = contratti giornalistici” stia diventando uno spauracchio per le ristrutturazioni. Il costo dei contenuti non è ormai dato dai redattori assunti presenti in redazione.
I giornali carta-web, e in generale i grandi gruppi editoriali (anche Banzai) possono fare economia di scala sui costi di produzione dei contenuti (contratti con agenzie, servizi di reference, costi tecnologici, retribuzioni dei collaboratori, gestione di corrispondenti, seo sem e social…) che le piccole testate non hanno.
Forse c’è già e non l’ho visto, sarebbe interessante un confronto sui costi di gestione delle testate online, non solo alla voce “costi del personale”, ma anche acquisto contenuti e diritti, promozione, gestione tecnologica, syndication ecc. Sempre che per le testate carta-web ecc si riesca a scorporarli.
3) Perdonami, ma su questa proprio non è vero. Mestiere ce ne vuole ben poco. Ci vuole qualcuno che consulta reddit e pochi altri siti di mega-aggregazione, più qualche service di foto. Fine. Il resto è titolo e contenuti descrittivi (di bassissima lega) affidati nel 99% dei casi a stagisti sottopagati.
Mah. Nel “mio” modello, un buon servizio di gossip fatto con indiscrezioni e appostamenti si fa pagare ben più di qualche euro. Se poi riesco ad averlo in esclusiva sarà reddit a seguire me e non viceversa, e nei service non si troverà.
E a decidere di chi parlare, che servizio comprare, con che rilevanza pubblicarlo, come tagliare la foto in hp e come titolarlo dev’essere come minimo un caporedattore.
Nel “mio” modello gli stagisti costano poco perché non producono: imparano. Il vero costo non è il loro rimborso spese ma le risorse che devo dedicare a formarli. Ma lo considero un investimento.
Prendo atto che il tuo modello è totalmente diverso dal modello della maggior parte dei giornali italiani online, soprattutto quelli più blasonati, che nei loro colonnini morbosi hanno tutto tranne che contenuti come quelli che descrivi.
Un esempio molto interessante di contenuti online inediti e autorevoli e’ la sezione, ormai quasi autonoma, di Stampa.it dedicata al Vaticano e al mondo della Chiesa Vatican Insider. Tre lingue, grandi numeri, collaboratori di tutto il mondo e vendita dei contenuti a grandi gruppi editoriali all’estero. Certo il tema e’ quello ma il prodotto e’ molto valido
Pingback: I quotidiani All Digital italiani crescono, i l...
Pingback: I quotidiani All Digital italiani crescono, i loro disavanzi molto di più » L'alter-Ugo
Pingback: Premium Publisher Network, il modello dei giornali italiani per i ricavi pubblicitari condivisi | Piazza Digitale