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L’Informazione non Crea Engagement, in Italia

Outbrain, la piattaforma di content discovery che permette a brand, editori e agenzie di incrementare l’engagement della propria audience, ha analizzato i dati sulla base di tutti i link a pagamento all’interno del proprio network, di circa 10mila testate giornalistiche a livello internazionale, Italia inclusa, tra metà gennaio e metà aprile 2013.

Dai dati pubblicati, in un “guest post” su «The Wall» di Sarah Gavin, Direttore Marketing di Outbrain Europa, emergono due aspetti d’interesse.

In primis si evidenzia come a livello internazionale vi siano variazioni significative a livello di orario in termini di picco di consumo di informazioni, di contenuti in Rete. Se siete un’azienda che opera a livello internazionale, un associazione di categoria e/o una fiera che guarda al di là dei confini nazionali l’informazione non è da trascurare.

Orari di Picco di Consumo di Contenuti

Di ancora maggior interesse è la classificazione dei dati per nazione e tipologia di contenuto, argomento.

Per quanto riguarda le notizie, l’informazione, si tratta della categoria che crea maggior engagement, misurato in termini di bounce rate medio, in  8 nazioni delle 10 analizzate. Non è così per l’Italia che invece si colloca all’ultimo posto per engagement, così come definito, per quanto riguarda le notizie.

Se “content is king e distribution is queen” sapere quali sono i contenuti che maggior interesse generano presso il pubblico potenziale di riferimento è un’informazione preziosa nell’era del brand journalism in cui le aziende, i brand diventano media.

Nel caso dell’Italia pare che non sia l’informazione. Come sempre accade, ci sarà un perchè.

Engagement per Categoria

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La Svendita dei [Social] Click

Tra gli addetti ai lavori è nota la questione della vendita di followers, ovetti senza identità creati ad hoc per gonfiare l’ego di qualche responsabile marketing dalle vedute offuscate e/o di qualche sedicente agenzia di comunicazione che propone risultati garantiti ad allocchi dell’ultima ora.

L’ultima frontiera adesso diventa la vendita di social click, di tweet e like promozionali per spingere un determinato prodotto o marchio aziendale, e c’è chi parla già di “big business”, di grandi affari che ruoterebbero intorno a questa squallida compravendita.

Esiste una piattaforma di un’azienda turca, adMingle, attiva però anche in Italia che propone questo tipo di servizio e che secondo quanto dichiarato sul proprio sito web annovera marchi ed aziende “di tutto rispetto”. Il video sottostante riassume il funzionamento della proposta.

Non si tratta, ahimè, dell’unica realtà di questo tipo. Esiste infatti un’altra piattaforma spagnola, Twync, che però ancora una volta opera a livello internazionale, che propone il medesimo tipo di servizio.

In entrambi i casi la proposta per utonti [no, non è un refuso] contempla sia Twitter che Facebook e sembra che esistano servizi simili anche per Linkedin e YouTube. Ovviamente, da quanto si legge, vi è assoluta mancanza di trasparenza ed i propri followers o amici non sanno che si tratti di operazioni commerciali e pare che vi sia abbondanza di proposte di questo genere.

Inutile dire, al di là di ogni altra possibile considerazione, che la reputazione aziendale, quando prima o poi emergessero questo tipo di pratiche scorrette, sarebbe fortemente danneggiata. In caso di dubbi leggete “Don’t Buy Your Programmatic Audience, Build It”.

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La Penetrazione dei Siti d’Informazione in Europa

comScore, che misura l’audience online in 18 nazioni in Europa su un totale di 44 nel mondo, ha pubblicato i dati della penetrazione dei siti di notizie, d’informazione, a settembre 2013 per tutti i Paesi nei quali effettua il monitoraggio nel nostro continente

Mediamente in Europa 8 persone su 10 visitano un sito d’informazione nel mese. Al top si collocano i Paesi della Penisola Scandinava tutti oltre il 95% della popolazione online.

L’Italia è sopra la media dell’80.2% delle nazioni esaminate con una penetrazione dell’85.8%.

Complessivamente 338 milioni di persone hanno visitato un sito web d’informazione, tramite un computer desktop o laptop, durante il mese. I primi 3 siti in questa categoria erano Yahoo! News Network, BBC e Mail Online.

Penetrazione siti informazione Europa

E’ importante considerare che nella rilevazione di comScore sono considerati soltanto coloro che si collegano ad Internet da desktop e laptop, da PC, così come avviene per Audiweb attualmente. Nel caso di comScore però i dati sono mensili e non del giorno medio come quelli pubblicamente disponibili  di Audiweb che invece mostrano una penetrazione di circa il 60% dei siti d’informazione sulla base di questo parametro [utenti giorno medio 47.7% di utenti nel mese di settembre secondo Audiweb].

reach_sett2013

Bonus Track: “36 sei cose che ho imparato negli ultimi 3 anni (sui siti d’informazione)”, articolo del vicedirettore di «Wired» del quale, nel bene e nel male, mi  sento di condividere la maggior parte dei punti [ad esclusione del 13]

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I Criteri di Valutazione degli Inserzionisti per una Media Company

Advertiser Perceptions ha pubblicato i risultati del proprio monitoraggio continuativo su quali siano i criteri di valutazione di una media company da parte degli inserzionisti: agenzie ed aziende sulla base di 15 diversi parametri.

- clicca per ingrandire -

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Per le agenzie, i fattori principali considerati sono il servizio clienti [80%] e una comprensione del loro business [77%]. Molto rilevante anche, ovviamente, aggressività delle offerte [76%] ma anche la facilità di fare business [76%]  e la qualità del pubblico [76%],  alla pari con i risultati ottenuti dagli annunci.

Per il comparto marketing delle aziende, aggressività delle offerte [77%] e la facilità di fare business a pari merito si classificano come i fattori più importanti, seguiti da comprensione della loro attività [75%], i risultati degli annunci [72%] e la qualità del pubblico [69% ].

L’era della vendita di spazi, colonne o pixel che siano, è definitivamente tramontata, le media companies devono essere partner, consulenti di comunicazione dei propri clienti. Attrezzarsi o perire è l’unica opzione.

InfoGraphic-MEDIA-COMPANY

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La Specificazione NON è mai Ovvia

Alan D. Mutter, dal suo “Reflections of a Newsosaur”, pubblica, aggregando fonti diverse, l’ennesima impietosa fotografia sul pessimo andamento negli Stati Uniti dei quotidiani cartacei  [ma anche di quelli digitali se si osserva l’andamento dei ricavi pubblicitari degli ultimi sette anni].

La tesi sostenuta è che i giornali non siano più un mass media e per farlo viene mostrato un grafico di sintesi che mette a confronto la penetrazione dei diversi media tra le famiglie americane. Ancora una volta la carta stampata, i quotidiani tradizionali vengono messi a confronto con radio, televisione ed ovviamente internet.

A prescindere dal fatto che, come provavo a ricordare, Internet è un ecosistema e non un medium, anche volendo vedere la questione sotto il profilo pubblicitario in termini di contenitori, il paragone continua ad essere profondamente scorretto e fuorviante.

Mentre infatti come contenitori pubblicitari TV, radio ed Internet sono despecializzati, generalisti, hanno al loro interno anche informazione ma questa costituisce solo una parte ridotta del totale dei contenuti fruiti al cui interno è possibile collocare messaggi promo-pubblicitari, così non è per i giornali che trattano, come noto, esclusivamente notizie, informazione.

Mao Tze Tung diceva: “grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente”. Una massima che si adatta molto bene ai nostri tempi di rivoluzioni come viene definita quella digitale. Forse però è opportuno mettere un po’ di ordine se non si vuole che la rivoluzione finisca come la “primavera araba”.

La specificazione non è mai ovvia.

 ReLOVEution

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La Total Digital Audience di Audiweb

Come certamente molti sapranno da gennaio 2014, finalmente, le rilevazioni Audiweb non saranno più solamente da desktop, da personal computer ma includeranno anche i dati relativi alla navigazione, agli accessi ad internet [anche attraverso applicazioni] da mobile, da smartphone e tablet.

A metà ottobre nel corso di IAB Seminar Display Advertising è stato presentato il suo funzionamento, forniti i dettagli sulla metodologia e sul campione che sarà costituito da 3000 persone per gli smartphone e 1.000 tablet e si andranno ad aggiungere alle 41mila persone del campione da un PC con meter installato.

Dal 2014 sarà vigore un nuovo regolamento per evidenziare nei dati le componenti di audience ‘’organiche’’ di un publisher e quelle ‘’aggregate’’ derivanti da accordi editoriali di cessione traffico.

Finalmente di una “brand/channel X”, per ciascun sito rilevato, sapremo quanta parte dell’audience attribuire alla navigazione solo PC, solo smartphone e solo tablet;  e quanta alla sovrapposizione PC/Smartphone, PC/Tablet o PC/smartphone/tablet.

Dai dati anticipati nel corso della presentazione si evidenzia come in realtà coloro che navigano esclusivamente da mobile siano  una ristretta minoranza rispetto al totale degli internauti del nostro Paese. L’immagine sottostante fornisce il dettaglio dei dati a settembre 2013.

Audiweb Device

Dalla rilevazione di agosto 2013 i dati della “total digital audience” mensile [un dato diverso dagli utenti nel giorno medio] sarebbero di 23,5 milioni di persone da PC, 9,2 milioni da smartphone e 4 milioni da tablet.

La slide numero 16 della presentazione spiega come funzionerà l’“Unique Audience” deduplicata con il dettaglio dei consumi da web-browsing rispetto ai consumi  da apps.  Quello che però non è chiaro è come verrà conteggiata invece la duplicazione dell’audience, ovvero se la stessa persona che accede in momenti diversi della giornata da distinti device sarà contata comunque come una sola o meno; un dettaglio non trascurabile.

Comunque sia si tratta certamente di un importante passo avanti che consentirà alle aziende di pianificare le proprie campagne online con maggior precisione mirando alle persone che utilizzano un  determinato device ed adattando il format di comunicazione.

Quanto questo invece incrementi la reach, la penetrazione ed il numero totale di persone che visitano dei siti d’informazione lo vedremo: Se posso fare una previsione, secondo me sposterà di poco, si impennerà il numero di pagine viste ma cambierà marginalmente il numero di utenti unici.

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Codice Anti Marchette

Avevo già segnalato diverso tempo fa come esistano proposte che circolano per la Rete che stanno al content marketing come le tecniche di black hat stanno al SEO, scorciatoie utilizzate da persone senza scrupoli che rapidamente si ritorcono contro chi ne fa uso e abuso. Un fenomeno sufficientemente noto agli addetti ai lavori etichettato comunemente come “marchette”.

A fine 2011 lanciai la proposta di una sorta di bollino blu per i blog, che oggi andrebbe esteso agli account sui social, di stilare un decalogo, partendo dalla base offerta da Timu, una sorta di codice di autodisciplina sulla falsariga del codice etico della Word of Mouth Marketing Association statunitense.

Credo sia davvero arrivata l’ora di dare consistenza a quell’ipotesi di lavoro.

E’ di ieri il post di una “fashion blogger”, poi rimosso sicuramente per un’azione legale nei suoi confronti, ma facilmente visibile usando la cache di Google, di  “outing” rispetto allo scambio organizzato di “like” e commenti sui blog. Si legge che la community, un gruppo segreto su Facebook chiamato “Blogger and The City”, ha un preciso obiettivo:

[…..]Scopo del gruppo? Molto semplice scambio di Mi Piace e Commenti tra gli appartenenti al gruppo. Ogni volta che ognuno dei blogger pubblica un post gli altri devono cliccare Mi Piace e lasciare un commento. Occorre farlo anche in un determinato tempo altrimenti si rischia penalizzazione da parte degli amministratori[…..]

Una delle persone indicate tra gli amministratori del gruppo ha liquidato sul suo profilo personale Facebook, aperto e visibile a tutti,  la vicenda affermando che si tratta di affermazioni non veritiere e calunniose.

Nell’articolo vengono riportati screenshot delle conversazioni tra gli appartenenti al gruppo che sono invece inequivocabili rispetto alla veridicità delle affermazioni fatte nel precitato post. Una per tutti questa sotto riportata. [Update ore 09:00: Mi segnalano che molte alcune [#] delle persone coinvolte lavorano con questa agenzia specializzata, ed infatti alla voce “fashion blogger” i nomi coincidono. La cosa è ancora più grave]

Fuffa Blogger

Se il passaparola è indicato in tutte le indagini come la forma di comunicazione che gode di maggior fiducia da parte delle persone è giusto tutelare e preservare questo valore. Credo debba essere un aspetto al quale tutti coloro che si occupano con serietà e professionalità di comunicazione d’impresa debbano prestare la dovuta attenzione invece di liquidarla in una battuta tra amici come avviene attualmente.

E’ ora di un “codice anti marchette” che sia valido per i giornalisti ma anche per le persone comuni . E’ ora di assumersi la giusta responsabilità personale che la concessione di fiducia da sempre implica.

Nielsen WOM

[#] Update del 31/10/2013: Si riceve la seguente precisazione dal titolare dell’agenzia citata nell’articolo e doverosamente pubblichiamo quanto dichiarato:

Nel suo articolo, lei indica (cito)  molte delle persone coinvolte lavorano con questa agenzia specializzata .
Se confronta la lista delle blogger che fanno parte del nostro network con quella del post de “La Blogger Mafia” (sempre da lei linkato recuperandolo tramite cache di Google) noterà che le persone riconducibili al nostro gruppo sono cinque su un totale di ottanta.
Conseguentemente affermare che molte delle persone coinvolte collaborano con BloggerAgency.it è un’informazione a mio avviso non corretta.
Tengo comunque a precisare che la nostra organizzazione non è a conoscenza (e non è tenuta ad esserlo) delle attività che ciascuna blogger svolge per promuoversi autonomamente.  Associare il nostro nome a questa polemica – indicando la cosa come circostanza ancor più grave –  è quindi a mio avviso improprio e rischia di dare una visione distorta della vicenda.
Infine non capisco per quale motivo veniamo presi in considerazione soltanto noi come agenzia e non altre realtà analoghe che – a loro volta – hanno blogger che compaiono nella ben nota lista.

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Content Marketing “De Noartri”

Altimeter ha pubblicato recentemente “The State of Social Business 2013: The Maturing of Social Media into Social Business”. La ricerca porta la firma di celebrati esperti internazionali del calibro di Brian Solis e Charlene Li.

Tra i diversi risultati emergenti si scopre, o meglio viene confermato, che il content marketing è in cima alla lista delle priorità della comunicazione d’impresa per il 2013.

Una superficiale ricerca su Google, effettuata utilizzando il nome dello studio, fornisce centinaia e centinaia di risultati di “blogger” che hanno scritto articoli e commenti al riguardo. Lo stesso avviene su Twitter e gli altri social media, social network.

Siccome è ormai noto che la pubblicazione di uno studio, di una ricerca sia uno dei modi migliori, e più diffusi, per far parlare di se, mi sono abituato da tempo a guardare prima dei risultati la metodologia così da poterne verificare attendibilità ed effettivo valore [ed eventualmente parlarne in questi spazi].

Nel caso specifico NON viene indicata la metodologia e la ricerca si basa su 65 casi. E’ chiaro dunque che con un campione tanto ridotto di aziende giungere a delle conclusioni affidabili è una chimera, ed è anche, a mio modo di vedere,  in assoluto contrasto con le policy dichiarate.

Il content marketing “de noartri”.

Content Mktg

PS: Prendetela, se vi pare, come una – minima – lezione di fact checking.

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La Carta NON è Morta, le Pagine Viste SI

Sono stati stati presentati in questi giorni i risultati della ricerca “BE Europe 2013”, studio che analizza in 17 Paesi l’esposizione ai media e il profilo dei dirigenti di medie e grandi aziende appartenenti a tutti i settori economici.

La ricerca svolta per conto del «The Financial Times» viene effettuata su un campione di oltre 7mila dirigenti d’azienda ed è lo studio di maggior durata sul segmento specifico di popolazione essendo ormai dal 1973 che viene effettuato.

I risultati sono di estremo interesse e la sintesi degli stessi pubblicata sul sito de «Il Sole24Ore» è liberamente scaricabile e vale assolutamente una lettura approfondita.

Sono in particolare due gli aspetti che vale la pena di sottolineare da quanto emerge dall’indagine.

Per quanto riguarda la dieta mediatica della business elite internazionale i quotidiani nella versione cartacea sono ancora stabilmente in testa al consumo di media sia in termini assoluti che a livello di fiducia assegnata a ciascun mezzo.

FT Media Consumption

Per quanto riguarda il digitale, Rob Grimshaw, direttore di Ft.com, spiega che “In un mese abbiamo oltre 12 milioni di persone che visitano il nostro sito. Altri siti per motivi pubblicitari annuncerebbero in modo trionfale di avere avuto 12 milioni di visitatori. Noi no. Per noi il modello è simile al commercio al dettaglio dove quei 12 milioni non sono altro che passanti davanti alle vetrine. Solo una parte entra nel negozio, si guarda in giro per vedere quello che c’è. Poi un numero ancora più piccolo fa un acquisto. I nostri sforzi sono sempre rivolti a ottimizzare quell’imbuto”.

La carta NON è morta, le pagine viste SI.

FT Clicks

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Facebook Vuole Dire agli Editori quali Storie Pubblicare [su Facebook]

Facebook ieri ha lanciato un nuovo strumento per dire agli editori quali storie, quali notizie, pubblicare su Facebook.

Secondo quanto si legge nel post pubblicato da Justin Osofsky, VP of Media Partnerships and Global Operations, il nuovo tool, chiamato appunto “Stories to Share”, al momento in fase sperimentale e disponibile solo per un numero limitato di editori, permette di visualizzare nella dashboard della propria fan page quali storie sono già state pubblicate sul proprio sito web ma ancora non condivise all’interno del social network fornendo, ovviamente, apposito bottone per condividerle.

Per quello che si riesce a capire, i consigli si basano su quanto alcune storie, notizie, sono condivise dalle persone su Facebook per poi suggerire agli editori di pubblicarle, di metterle a disposizione anche dei propri fans. Una sorta di “viral for dummies”.

Sempre nella categoria “virale per [u]tonti” rientra il suggerimento contenuto nel post di Osofsky di incrementare il numero di post per aumentare il traffico al sito web. Come infatti rileva giustamente nei commenti Michael Roston, Staff Editor Social Media al «The New York Times», è abbastanza ovvio che un maggior numero di messaggi, di post  generi più referrals perché il pubblico esistente tenderà a cliccare su quello che pubblichi. Questi parametri sarebbero significativi se si mostravano un numero maggiore di referrals medi per post  o che quando si aumenta il numero di post crescono “gli abbonati”, i fans, della propria pagina.

L’ansia da prestazione, si sa, gioca brutti scherzi. Pare sia questo il caso nella guerra tra Facebook e Twitter per accaparrarsi il favore di media e giornalisti.

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