Il 13 dicembre scorso l’Osservatorio Multicanalità 2012, condotto da Nielsen, Connexia e la School of Management del Politecnico di Milano, ha presentato i risultati della sesta edizione della ricerca annuale sul consumo multicanale in Italia, sulle politiche distributive multicanale e le strategie di comunicazione integrata fondendo i diversi canali di vendita in un’esperienza di interazione più ampia.
Sintesi e commento dei risultati della ricerca, e delle presentazioni effettuate dai relatori durante il convegno “Dai mass media alla multicanalità di massa?”, nella mia rubrica settimanale per l’European Journalism Observatory.
Se non aveste chiara la differenza tra multimediale, crossmediale e multicanale, può essere d’aiuto il glossario approntato da Roberto Favini. Infine, se posso, consiglio caldamente di prendersi mezz’ora di tempo per ascoltare, nel video soprariportato, l’intervento al convegno di Giuliano Noci, garantisco che ne vale la pena.
La tavola di sintesi sottoriportata evidenzia l’andamento, disastroso, del mercato pubblicitario in Italia nel primo quadrimestre 2012 rispetto al pari periodo 2011 secondo le rilevazioni Nielsen.
Se Internet è l’unico mezzo che cresce [qui il dettaglio], arrivando a pesare il 7,8% del totale, anche per effetto del calo degli altri mezzi, sempre secondo Nielsen, la situazione in Europa non è molto migliore essendo l’unico continente nel mondo che registra una flessione degli investimenti pubblicitari con però al suo interno Germania, Francia e Svizzera che registrano una crescita della spesa in advertising e gli altri in decisa flessione come nel nostro caso.
Sul tema vale la pena di leggere la raccolta di dichiarazioni di esperti internazionali del settore durante il recente International Festival of Creativity di Cannes. Ne riporto solamente una, quella che mi ha colpito di più fra tutte:
Brand marketers are increasingly looking for solutions to better connect with their consumers, better control their costs and the ROI of their activities, and to accelerate the speed at which they bring the right ideas to market to cope with the pressure of an increasingly complex and kinetic competitive environment.
Se le flessioni degli investimenti pubblicitari che si registrano nelle nazioni europee maggiormente colpite dalla crisi, inclusa l’Italia, sono un elemento ciclico che sempre si registra durante questi momenti, la crescita di Internet, accompagnata dal calo anche della televisione, dimostra che vi sono elementi strutturali di cambiamento nel processo di relazione e comunicazione tra persone e brand, imprese, come giustamente rileva Francois Petavy.
A partire dalla seconda metà del ‘900 il numero di ore trascorse davanti al televisore dalla popolazione mondiale è aumentato ogni anno, fino a raggiungere il trilione. Nel 2009 per la prima volta la crescita si è interrotta e si è registrato un decremento per opera delle generazioni più giovani, che hanno ridotto il tempo trascorso in modo passivo a guardare quello che scorre sullo schermo e sono passate ai nuovi media interattivi.
Ora, da un lato si assiste a modalità diverse di guardare la televisione, come il sistema di rilevazione extended screen, che presto verrà introdotto anche in Italia da Auditel testimonia, mentre dall’altro lato, la visione della televisone diviene abbinata ad un secondo schermo, sia esso un tablet o uno smartphone, sul quale vengono svolte attività complementari alla visione del programma, dando luogo a quella che viene definita social TV, o, sempre più spesso, ad attività alternative a quanto in programmazione, il cosiddetto multitasking.
Se nel caso della social TV questo apre opportunità di amplificazione dell’audience e di relazione ed interazione avanzata con le persone attraverso le reti sociali, le attività alternative, il multitasking amplia lo scenario in quella che già da tempo, tra gli altri «The New York Times» definisce “the sofa war”, la guerra che è trasversale a tutti i media. Fattori che anche il rapporto “Adspend Forecast” di Zenith Optimedia conferma ulteriormente spingendomi a parlare di comunicazione “schermo centrica”.
L’analisi pubblicata da Nielsen ieri sull’utilizzo di tablet e smartphones durante la visione della televisione ne conferma la portata anche per quanto riguarda il nostro Paese. Sulla base dei dati riportati, il 62% dei possessori di tablet almeno più volte al mese [29% almeno una volta al giorno] svolge un’altra attività mentre, teoricamente, guarda la TV, percentuale che cala di poco, passando al 58% per quanto riguarda coloro che possiedono uno smartphone.
Si tratta di una varietà di attività che vengono svolte sia durante i break pubblicitari, minando ulteriormente l’efficacia degli spot, o rendendoli più costosi a parità di efficacia, e dunque meno efficienti, sia durante la visione dei programmi, generando nuove modalità di fruizione dell’informazione, sia essa direttamente attinente ai contenuti del programma e/o dei prodotti-marchi citati.
Oltre ad una questione di attenzione e del suo valore, pone sempre più concretamente la possibilità di uno spostamento degli investimenti pubblicitari su mobile che potrebbe ulteriormente deprimere la situazione attuale, a dir poco traballante.
Per quando attiene direttamente la televisione, la rivoluzione digitale scardina principi ed accordi esistenti tra proprietari dei diritti televisivi e “rivenditori” basati su termini vantaggiosi per entrambi trasformando lo scenario in una guerra di tutti contro tutti. Scenario che nel nuovo mondo cross mediale e multipiattaforma si amplia ed amplifica ulteriormente.
Esattamente una settimana fa abbiamo pubblicato i risultati di una ricerca effettuata da Harris Interactive , in collaborazione con Adweek Media, relativamente ai livelli di influenza della comunicazione pubblicitaria a seconda del media.
L’articolo pubblicato, come sempre più spesso avviene, ha suscitato un confronto su FriendFeed in cui sono state espresse riserve e citati studi che affermerebbero il contrario di quanto si evidenziava.
Abbiamo cercato di affrontare il discorso anche da una angolazione diversa ad inizio di questa settimana sintetizzando e, come sempre, fornendo la personale interpretazione dei risultati di uno studio del Reuters Institute for the Study of Journalism che ha investigato in profondità la fiducia nelle notizie e nei media.
Proviamo oggi a chiudere temporaneamente il cerchio grazie alla recentissima pubblicazione da parte di Nielsen dei risultati del Global Online Consumer Survey.
La ricerca periodicamente raccoglie ed analizza l’opinione di ben 25mila internauti di 50 nazioni diverse [Italia compresa] rendendo così possibile anche il raffronto rispetto alle edizioni precedenti.
Complessivamente vengono confermate le prime impressioni di Marcello nonché i risultati della precitata ricerca.
Come emerge dal grafico di sintesi dei risultati sottostante, tra i media tradizionali si conferma ancora una volta la televisione star del sistema di comunicazione promo-pubblicitaria. Abbiamo, inoltre, la conferma della inefficacia dei banner su internet.
% completamente + abbastanza fiduciosi
Come ipotizzavo è primario il ruolo del passaparola sia on line che nella vita e nei contatti quotidiani del contesto sociale di appartenenza. Mi pare assolutamente interessante evidenziare l’importanza del ruolo delle PR che ottengono uno score del 69% al di sopra di tutte le altre forme di comunicazione promo-.pubblicitaria.
I giornali? Pur mantenendo un livello di fiducia e credibilità dignitoso, ponendosi appena dopo la televisione, hanno un trend negativo rispetto all’indagine precedente. Anche per quanto riguarda internet c’è ancora molto lavoro che deve essere fatto.
Per quanto riguarda in maniera più specifica i risultati relativi all’Italia, i consigli di persone che si conoscono ottengono l’85% di livello di fiducia, mentre quelli pubblicati on line si attestano all’ 80% . Risulta dunque evidente, da un lato la rilevanza dei consumer generated media e, dall’altro la sempre più pressante necessità per media e pubblicitari di costruire relazioni sociali [in antitesi ad esclusivamente commerciali] fiduciarie e perciò durature.
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