Bevi la Coca-Cola che ti fa Bene

“CocaCola a me mi fa morire, CocaCola si, CocaCola a me mi fa impazzire, con tutte quelle, tutte quelle bollicine” cantava Vasco Rossi nel 1983. Sono passati esattamente 30 anni da allora e la più famosa bevanda gassata al mondo traccia la linea di demarcazione tra réclame e comunicazione segnando definitivamente il confine tra ciò che è stato e quel che sarà per la comunicazione d’impresa.

Le implicazioni, anche per il mondo dell’editoria, per l’industria dell’informazione, son tutt’altro che trascurabili.

Da oggi il sito web della multinazionale di Atlanta, che conta 1,2 milioni di utenti unici mensili, si traforma e, dopo la sua apertura nel 1995, diviene di fatto una testata, un hub informativo, dove la marca stabilisce quale sia il futuro della comunicazione pubblicitaria e quali le sfide da affrontare, anche,  per i giornali e le loro aspirazioni di sostenibilità economica nell’evoluzione verso il digitale.

Coca-Cola Journey, questo il nuovo nome dato alla presenza istituzionale del soft drink in onore all’internal magazine pubblicato dall’azienda nel decennio tra il 1987 ed il 1997, sarà, è, a tutti gli effetti un magazine più che un sito web, un portale di accesso al mondo proposto pro domo sua da un’azienda, da un brand.

Le ragioni sono spiegate con trasparenza e chiarezza in un articolo del 12 novembre scorso di Ashley Brown, direttore della comunicazione digitale e dei social media dell’impresa, che scrive:

We’re here because more than 1.8 billion times a day, every day, people express their love for our brands by purchasing one of our products. But those purchases are more than transactional. They’re emotional. We know because more than 50 million people have become our fans on Facebook, and millions of others have posted photos, videos and blog posts that demonstrate their passion for Coca-Cola. We’re here because our consumers allow us —and want us — to be here.

We want Coca-Cola Journey to be a place where thoughtful people indulge their curiosity about the world around them, engage in a civil discussion and hopefully learn a little more about one of the world’s best-known companies. For our part, we commit to be an open, transparent, and honest host and a thoughtful curator.

Racconta il «The New York Times» che Coca-Cola dedicherà all’iniziativa 4 persone del suo staff e 40 freelance tra giornalisti e fotografi che saranno a loro volta supportati dal personale del marketing e delle relazioni pubbliche dell’azienda.

Ieri: Portale Coca-Cola

Oggi: Coca-Cola Journey

Il passaggio da brand a media e del brand journalism che, come giustamente annotava Michele Boroni su «La Lettura» recentemente, fa diventare i brand editori di se stessi, generando contenuti esclusivi e adattando il loro storytelling all’interattività della rete e dei social media, cambia il modo di comunicare, di relazionarsi con le persone, tra impresa e pubblico.

Percorso egregiamente descritto da David Armano all’inzio di questo mese che sintetizza graficamente l’evoluzione e le caratteristiche di come i marchi aziendali divengano sempre più dei media adattando la loro comunicazione al mutamento di scenario attraverso quella che definisce the social creative newsroom.

Per le persone essere online sta divenendo sempre più un concetto “fluido”, i processi di valorizzazione, sia concettuale che economica, non possono più fondarsi sulla pubblicità, così come l’abbiamo intesa sino ad ora, a cornice del contenuto stesso, ma sulla costruzione diffusa di tale contenuto sulla base degli interessi e delle interazioni che i diversi gruppi di persone, le “tribù” hanno.

In questo contesto il modello di business attualmente prevalente dei quotidiani online è destinato a mutare drasticamente in breve tempo. I siti web dei quotidiani dovranno abbandonare la logica, perdente, del display advertising e dei CPM, per divenire, se ne saranno capaci, polo di attrazione del contenuto informativo che interessa e coinvolge il pubblico di riferimento.

Costruire un rapporto fiduciario con il lettore, coinvolgerlo attivamente, ed offrire alle imprese, agli investitori, nuove proposte di comunicazione che attraverso l’edizione online dei giornali permetta loro di unirsi al flusso informativo senza “costringerli” a divenire loro stessi editori, media, è la strada da perseguire.

Un percorso fatto di storie sponsorizzate e contenuti brandizzati che è già praticato da molti negli Stati Uniti, a comiciare da «Forbes», «The Atlantic» e «BuzzFeed», pioniere in tal senso, e che ora anche «The Boston Globe» ha deciso di adottare con Insight. Strada che non necessita di varcare l’oceano per verificarne l’efficacia ma che anche da noi viene già percorsa con successo, ad esempio, da «Varese News»

L’alternativa, come conferma il caso della Coca-Cola, è che le imprese insoddisfatte dalla attuale offerta e dalla sua inefficacia lo facciano per conto loro. Va da sè cosa sia meglio fare.

Ad integrazione, se vi fosse sfuggito, si consiglia caldamente la lettura dell’articolo di Vincenzo Cosenza: “Giornali: Big Bang oppure Big Data?”

6 commenti

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6 risposte a “Bevi la Coca-Cola che ti fa Bene

  1. icittadiniprimaditutto

    Reblogged this on i cittadini prima di tutto and commented:
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  2. Luca Raramente

    Chi lavora in quotidiani e riviste sa da sempre che ogni tanto gli tocca praticare il “native advertising”. Citofonare: “bellezzare dei settimanali”, che lavorano con in mano la lista degli inserzionisti. E se fossi un tycoon televisivo non farei pubblicità ma comprerei la rivista leader del settore. O no? Solo chi non vive nelle redazioni può scrivere un post come questo (certo accurato, interessante e completo). Luca

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