Rapporto 2012 sull’ Industria dei Quotidiani in Italia

La settimana scorsa, nell’ambito della conferenza internazionale per l’industria dell’editoria e della stampa quotidiana, promossa da WAN-IFRA, l’associazione mondiale degli editori e della stampa quotidiana, da FIEG e da ASIG [Associazione Stampatori Italiana Giornali], è stato presentato il Rapporto 2012 sull’industria dei quotidiani in Italia.

La ricerca annuale sull’industria della stampa italiana analizza lo status quo dell’informazione quotidiana nel nostro Paese relativamente ai lettori, al mercato pubblicitario, agli indicatori economici e alla situazione occupazionale e retributiva del settore. Il rapporto si articola nelle diverse sezioni per 130 pagine complessive, come sempre, tutte da leggere.

Anche per fornire un contributo ulteriore al dibattito stimolato domenica in questi spazi relativamente all’audience dei quotidiani online, ho focalizzato la mia attenzione quest’oggi sulla parte relativa a lettori, readership e interesse verso, appunto, le edizioni online dei giornali nostrani.

Se l’andamento delle vendite di quotidiani continua a scivolare sempre più verso il basso, con il 2011 in flessione del 2,7% e i primi tre mesi di quest’anno intorno al -5% medio [Nota], secondo i dati Audipress ed Audiweb raccolti nel rapporto, non altrettanto avviene per i lettori di quotidiani che sono in crescita sia per l’edizione cartacea che per quella online.

Secondo i dati soprariportati vi sarebbero quasi 25 milioni di lettori di quotidiani su carta nel giorno medio, con una crescita di circa 4 milioni di lettori negli ultimi dieci anni [anche la curva tende alla stabilizzazione dalla 2^ rilevazione del 2010 in poi], e 3,3 milioni di lettori per le edizioni online, con un incremento di 1 milione di lettori dall’inizio delle rilevazioni [2010] ad oggi.

Si evidenzia dunque come la carta sia il mezzo di fruizione privilegiato con un rapporto di poco inferiore di 10 ad 1 rispetto all’online. Soprattutto, come viene citato nel rapporto, la differenza tra andamento delle vendite e lettura evidenzia come “l’informazione appare ormai a molti come una commodity alla quale non si riconosce un valore significativo”. Problema che qualcuno assimila, fa coincidere con quello dell’industria pornografica.

Aspetto che, come ricordavo pochi giorni fa, deve ulteriormente far riflettere sulla cura necessaria nella relazione con i lettori, con le persone, da parte dei giornali in un momento in cui “la pubblicazione è un bottone”, e la differenza, il valore aggiunto viene creato dai servizi aggiuntivi forniti e dall’apertura, nei contenuti e nella relazione, con il pubblico di riferimento.

Per quanto riguarda specificatamente le edizioni online dei giornali, nel rapporto si evidenzia come il 53,5% degli internauti non visiti mai il sito web di un quotidiano. Elemento che se, da un lato, rappresenta un bacino potenziale d’interesse, dall’altro lato, fa riflettere su come il problema dei numeri dell’audience dell’informazione nostrana non siano certamente solo riconducibili all’idioma, nonostante gli utenti internet nel giorno medio siano aumentati del 22%, mentre gli utenti dei siti dei quotidiani sono cresciuti del 47% tra il 2009 ed il 2011.

Si tratta evidentemente di dati generali che nelle pieghe delle medie statistiche celano andamenti spesso ben diversi tra loro com’è il caso, per citare un esempio, del buon andamento dell’edizione online del «Il Sole24Ore» e quello negativo di «L’Unità», che rischiano di alimentare la “reach” ma lasciano insoluto l’aspetto dei ricavi.

Per quelli, appare sempre più chiaro, non basta soddisfare il narcisismo dei numeri grossi, occorre diversificare, specializzarsi ed ottimizzare i processi. Ne parleremo domani, promesso.

11 commenti

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11 risposte a “Rapporto 2012 sull’ Industria dei Quotidiani in Italia

  1. Ma è credibile che a fronte di meno copie diffuse e vendute cresca il numero di lettori? Mi sfugge qualcosa?! C’è qualche errore?! Oppure la buona vecchia carta ha fatto ‘o miracolo?

    • Micene71

      fenomeno veramente facile da spiegare, trattasi di lettori-scrocconi… che leggono il quotidiano (senza acquistarlo) al bar, hotel, barbiere, sala d’attesa del dottore,etc nel disinteresse più totale delle case editrici il cui guadagno non si basa certamente sulla vendità dei quotidiani…

      • Ovviamente questa è la teoria o forse la “versione della difesa” 🙂 Un grande editore nel recente passato si è addirittura scagliato contro le copie nei bar! Che poi sia statisticamente sensato è altra cosa. E se Eurisko fra un po’ rifà i calcoli come per la radio e scopriamo che non era vero niente?

      • Accadeva anche prima, il problema è che i due trend seguono linee diverse.

        E che vuol dire “nel disinteresse più totale delle case editrici”? Che cosa dovrebbero fare? Introdurre un sistema che riconosca impronte digitali diverse sulla carta e prelevi automaticamente dalla carta di credito di chi tocca il giornale? Anche la Rai, allora, fa pagare il canone nel “disinteresse più totale” di quante persone guardano ogni singolo apparecchio. Già, potrebbe far pagare a seconda dei componenti della famiglia e degli amici di ogni singolo utente. Suvvia… 🙂

        P.s. Le vendite sono un elemento importante, intorno al 30 per cento. Tant’è vero che la crisi dei quotidiani gratuiti è ancora maggiore delle difficoltà dei giornali a pagamento.

  2. cfdp

    Pier Luca, abbiamo già parlato delle forti perplessità che abbiamo in molti sui dati Audiweb. Quelli Audipress, lo dico sottovoce, secondo me sono ancor più inattendibili. Capisco che siano gli unici dati disponibili e analizzabili, però se io fossi un’azienda non imposterei una mia campagna pubblicitaria su quelle cifre. Non per niente anche Ads, che pure era quella più attendibile, sta rivedendo la sua impostazione: http://www.primaonline.it/2012/06/07/107041/quotidiani-aprile-2012
    My 2 cents

  3. pedroelrey

    Alessandro e Carlo Felice,
    SI sono indagini campionarie – come anche auditel del resto – che hanno i limiti delle stesse. I fattori di motiplicazione di audipress per la carta che invece non vengono applicati al digitale/online, che vale sempre per uno, sono certamente un limite allo sviluppo del “nuovo”. Mi risulta che sia in cantiere una revisione anche su questo…vedremo.
    Carlo Felice, SI, il link che segnali è inserito nell’articolo alla voce, tra parentesi nota. Grazie comunque.
    Un duplice abbraccio
    Pier Luca

    • cfdp

      Pier Luca, avevo visto il tuo link, ma mi serviva ripeterlo per dire una cosa diversa, ossia che Ads sta cambiando e che sarebbe ora che lo facessero anche Audiweb e Audipress.

      Il fatto che siano indagini campionarie, poi, non giustifica i clamorosi errori che commettono – lo ripeto senza tema di smentita – e che rischiano di influenzare pesantemente investimenti pubblicitari. Sintetizzando: i dati di Audiweb e Audipress sulla lettura di siti e giornali possono servire come orientamento di massima, non certo per analisi serie (e il dubbio di Alessandro è tanto sensato quanto fondato).

  4. pedroelrey

    SI Carlo Felice. Infatti mi pare che molti vadano a vendere anche con i dati di Google Analytics. Di recente ho visto, appunto, le i dati di Google Analitycs rispetto a quelli Audiweb di un grande quotidiano nazionale. Su numeri grandi lo scostamento è normalmente inferiore; in quel caso eravamo intorno ad un errore del 10% tra Audiweb & Analytics.
    PL

    • cfdp

      Anche fosse il 10% (e sarebbe realmente un caso fortunato) sarebbe comunque una cifra troppo, troppo elevata. Pensa ai margini di errore molto inferiori che hanno i sondaggi elettorali…

      • Secondo me il 10% comunque è una buona approssimazione, soprattutto per uno strumento relativamente nuovo. Ancora di più se lo confrontiamo a sistemi che per anni hanno sostenuto (per chi voleva crederlo) che un quotidiano aveva in media otto o dieci lettori per copia. E che dire del completo sovvertimento delle classifiche di audience della radio nel passaggio da un sistema a un altro? Se fossi un investitore dovrei sospettare che per anni o decenni ho completamente sbagliato gli investimenti ?!? Dico completamente, pesando il numero uno che invece era il numero tre in classifica?

  5. pedroelrey

    Confermo che è il 10% avendo visto i dati 😉 Con numeri grandi la copertura è sempre migliore e l’errore minore. Nella mia esperienza succede sempre; anche quando lavoravo in azienda e coimpravo le rilevazioni Nielse Retail poi verificavo l’affidabilità dei dati di sell in rispetto ai miei dati delle vedite ex factory e c’era sempre differenza. Nulla di nuovo sotto il sole 😉
    PL

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