Codice Anti Marchette

Avevo già segnalato diverso tempo fa come esistano proposte che circolano per la Rete che stanno al content marketing come le tecniche di black hat stanno al SEO, scorciatoie utilizzate da persone senza scrupoli che rapidamente si ritorcono contro chi ne fa uso e abuso. Un fenomeno sufficientemente noto agli addetti ai lavori etichettato comunemente come “marchette”.

A fine 2011 lanciai la proposta di una sorta di bollino blu per i blog, che oggi andrebbe esteso agli account sui social, di stilare un decalogo, partendo dalla base offerta da Timu, una sorta di codice di autodisciplina sulla falsariga del codice etico della Word of Mouth Marketing Association statunitense.

Credo sia davvero arrivata l’ora di dare consistenza a quell’ipotesi di lavoro.

E’ di ieri il post di una “fashion blogger”, poi rimosso sicuramente per un’azione legale nei suoi confronti, ma facilmente visibile usando la cache di Google, di  “outing” rispetto allo scambio organizzato di “like” e commenti sui blog. Si legge che la community, un gruppo segreto su Facebook chiamato “Blogger and The City”, ha un preciso obiettivo:

[…..]Scopo del gruppo? Molto semplice scambio di Mi Piace e Commenti tra gli appartenenti al gruppo. Ogni volta che ognuno dei blogger pubblica un post gli altri devono cliccare Mi Piace e lasciare un commento. Occorre farlo anche in un determinato tempo altrimenti si rischia penalizzazione da parte degli amministratori[…..]

Una delle persone indicate tra gli amministratori del gruppo ha liquidato sul suo profilo personale Facebook, aperto e visibile a tutti,  la vicenda affermando che si tratta di affermazioni non veritiere e calunniose.

Nell’articolo vengono riportati screenshot delle conversazioni tra gli appartenenti al gruppo che sono invece inequivocabili rispetto alla veridicità delle affermazioni fatte nel precitato post. Una per tutti questa sotto riportata. [Update ore 09:00: Mi segnalano che molte alcune [#] delle persone coinvolte lavorano con questa agenzia specializzata, ed infatti alla voce “fashion blogger” i nomi coincidono. La cosa è ancora più grave]

Fuffa Blogger

Se il passaparola è indicato in tutte le indagini come la forma di comunicazione che gode di maggior fiducia da parte delle persone è giusto tutelare e preservare questo valore. Credo debba essere un aspetto al quale tutti coloro che si occupano con serietà e professionalità di comunicazione d’impresa debbano prestare la dovuta attenzione invece di liquidarla in una battuta tra amici come avviene attualmente.

E’ ora di un “codice anti marchette” che sia valido per i giornalisti ma anche per le persone comuni . E’ ora di assumersi la giusta responsabilità personale che la concessione di fiducia da sempre implica.

Nielsen WOM

[#] Update del 31/10/2013: Si riceve la seguente precisazione dal titolare dell’agenzia citata nell’articolo e doverosamente pubblichiamo quanto dichiarato:

Nel suo articolo, lei indica (cito)  molte delle persone coinvolte lavorano con questa agenzia specializzata .
Se confronta la lista delle blogger che fanno parte del nostro network con quella del post de “La Blogger Mafia” (sempre da lei linkato recuperandolo tramite cache di Google) noterà che le persone riconducibili al nostro gruppo sono cinque su un totale di ottanta.
Conseguentemente affermare che molte delle persone coinvolte collaborano con BloggerAgency.it è un’informazione a mio avviso non corretta.
Tengo comunque a precisare che la nostra organizzazione non è a conoscenza (e non è tenuta ad esserlo) delle attività che ciascuna blogger svolge per promuoversi autonomamente.  Associare il nostro nome a questa polemica – indicando la cosa come circostanza ancor più grave –  è quindi a mio avviso improprio e rischia di dare una visione distorta della vicenda.
Infine non capisco per quale motivo veniamo presi in considerazione soltanto noi come agenzia e non altre realtà analoghe che – a loro volta – hanno blogger che compaiono nella ben nota lista.

20 commenti

Archiviato in Comunicazione, Passaggi & Paesaggi

20 risposte a “Codice Anti Marchette

  1. Talvolta anche i giornalisti abbandonano la propria deontologia professionale a favore dell’anarchico comportamento dei più smaliziati blogger.
    Credo che piuttosto che individuare un codice etico per giornalisti online e blogger (quanti codici abbiamo noi giornalisti) sia necessario individuare un valore di eticità da attribuire al curatore editoriale. La reputazione va sempre più agganciata al giornalista e al blogger come se fosse la scheda Crif che si utilizza nel credito al consumo per valutare l’affidabilità di una persona.

  2. Giancarlo

    l’articolo è stato rimosso non per un’azione legale ma per il fatto che l’autrice stessa tramite screenshot è stata “beccata” far parte attiva del gruppo da lei criticato (per altro giustamente eh)

    • pedroelrey

      Più che beccata e’ lei stessa che dice che faceva parte del gruppo nel suo post; anche perché se non ne faceva parte essendo “segreto” non avrebbe avuto accesso alle informazioni che ha diffuso, no?
      PL

      • Lavinia

        già ma negli screenshoot si è – ops – dimenticata di tagliarsi (in uno solo) e il suo avatar è perfettamente riconoscibile e lei è perseguibile penalmente perché quell’articolo viola l’art 15 della costituzione, le norme della privacy ed è diffamatorio in quanto accusa di mafia e truffa persone che non hanno commesso alcun reato.

  3. Il codice anti-marchette, come il bollino blu, è una roba fascista. Io il bollino non lo voglio perché chi mi segue sa che sono corretto. E lo deve sapere per quello che scrivo, ogni sacrosanto giorno. Cosa pretendi di fare, di venire a spiarmi per verificare se sto scrivendo bene o male di un prodotto perché qualcuno mi sta pagando per farlo? Certo, c’è chi lo fa, e allora? Io voglio il bollino quando vado al supermercato che dice che non sono un ladro.

  4. Pingback: Un segno civico | Ket! che ci fai in Congo?

  5. cigarafterten

    Cioè fatemi capire, questo gruppo di blogger passano il loro tempo a scambiarsi LIKE l’un l’altro?

  6. Nel mondo del giornalismo del vino, particolarmente endogamico e settario, la questione è stata dibattuta fino allo sfinimento. Anni fa ad un convegnoal Vinitaly dissi che non ha senso fare fatica per creare un (probabilmente lacunoso) codice di condotta quando ci ha già pensato, e bene, la WOMMA. Quindi renderò palese su biscomarketing che il blog adotta quel codice etico. Così anche chi non mi conosce/nuovi visitatori avranno un riferimento e così potrò essere sbugiardato se dico bugie. Invito quanto più bloggers a fare lo stesso. Grazie.

  7. Qui, come in passato il PageRank, si è creato un mercato delle vacche fittizio, in cui delle azioni di per se poco utili (lo scambio link prima, lo scambio like o scambio commenti ora) hanno acquisito un valore di mercato che viene dunque venduto ed acquistato.

    Basterebbe che le aziende prima di tutto e le agenzie poi misurassero i “giusti” risultati, i ritorni reali, i corretti KPI nel giusto periodo per rendersi conto cosa è il vero valore o meno.
    E questo metterebbe fine a tutte ste storie.

    E’ solo una questione di mancata informazione alla fine…

    • Io, che sono cinica, penso che aziende incapaci di misurare il ROI, meritino di essere prese in giro. La mia esperienza mi dice che poi, dopo un primo investimento sbagliato, diventano capacissime di distinguere un professionista da un hobbysta (se è il loro obiettivo).

  8. Pingback: Il bollino per "bravi" blogger e account social? #fanculoilbollino

  9. Pingback: Il bollino blu per i blogger

  10. Assolutamente d’accordo. Basta con questi blogger sutoreferenziali che riescono a posizionarsi sul mercato grazie alle banalità retwittate 10000 volte dai loro pari. Almenouna volta bisgonava prendere un tesserino per scrivere qualcosa di pubblicabile. Adesso scrive chiunque. Eccheppalle!

  11. Salve, sono Francesco Leone, titolare di BloggerAgency.it. Vi contatto poichè citati in questo articolo in modo non corretto. BloggerAgency.it è un portale finalizzato alla promozione delle fashion blogger ed all’organizzazione di eventi e campagne pubblicitarie con le aziende che con i blogger vogliono collaborare. Di realtà come la nostra ne esistono molte altre. Le attività che le blogger svolgono autonomamente (scambio link, scambio commenti, scambio di mi piace etc.) non hanno alcuna connessione con il nostro operato. Vi saremo grati se vorrete quantomeno integrare quanto da me appena dichiarato nel testo del vostro articolo. Grazie, Francesco Leone

  12. questa cosa del codice è un evergreen. ero contrario due anni fa, perché inapplicabile, lo sono tuttora. in un post del dicembre 2011, ragionando di blog, marketing e informazione mi chiedevo: “Perché invece di un generico bollino, non diamo vita a una prassi condivisa, per cui una testata (organo di informazione riconosciuto dalla Legge) è tenuta a chiedere (e rendere pubblici sulle proprie pagine) eventuali rapporti di lavoro subordinati, parasubordinati o di tipo consulenziale di quei blogger chiamati a scrivere in qualità di esperti o opinionisti?”. sarebbe un buon inizio, o no? http://www.segnalezero.com/timu_bollino_blog/

  13. Pingback: Codice Anti Marchette | Social Media Marketing ...

  14. Un Codice Italiano delle Buone pratiche esiste già, e lo abbiamo scritto due anni fa. Si chiama Mommit. Per riassumere, davvero sinteticamente: la necessità di rendere trasparente il proprio lavoro, dichiarando omaggi e sponsorizzazioni, è sempre stata molto sentita anche nel campo del mommyblogging, di cui faccio parte. Ma è anche una Legge: non si può fare pubblicità occulta, da nessuna parte, nemmeno in Rete.
    Un Codice delle Buone Pratiche come quello che abbiamo scritto in 200, tutte insieme, serviva dunque a definire una sorta di honour code delle blogger professioniste, esplicitando diritti e doveri e accettando di seguire le Leggi già esistenti.
    Sottolineo la necessità di utilizzare Mommit come base di partenza, visto che è collaudato e funziona bene da due anni: è in CC e nessuno ci guadagna.
    Sottolineo anche l’opportunità di eliminare dal vocabolario del metablogger la parola ‘marketta’, che io personalmente non posso più sentire: anche fare il blogger può essere un lavoro, e in Italia abbiamo tanti esempi di blogger davvero professionali e professionisti. Usciamo dalla logica della marketta, per entrare nella logica del lavoro: la trasparenza è dovuta a noi stessi principalmente, ma anche a chi ci legge.
    Non ho mai avuto cali di visite o di guadagni, usando il tag ‘contenuto sponsorizzato’ e il link nofollow nei contenuti retribuiti: diamoci tutti un po’ di trasparenza, e chi non vuole: amen. Penso che la Rete sia capace di essere abbastanza meritocratica da sola, per fortuna.
    Nessuna delle blogger nella lista ha successo (inteso in termini di numeri, guadagni e opportunità lavorative): io lo catalogo in ‘cose stupide che ti sfuggono dalle mani perché sbagliate in partenza’.
    Scusami per la prolissità: ho cercato di ridurre, quindi leggi tutto con un sorriso, e non scambiare la sintesi con maleducazione, please. 🙂
    Sono disponibile a parlare di Mommit quando vuoi, se ti va.
    A presto e grazie! Barbara.

  15. Pingback: Blogger, marchette e trasparenza - Cablogrammi - Wired.it

  16. Pingback: Mi faccio il personal col branding degli altri

Lascia un commento