Fallimenti All Digital

Quando ad ottobre 2012 «Newsweek» aveva annunciato di cessare entro la fine dell’anno le proprie pubblicazioni della versione cartacea si era riacceso inevitabilmente il dibattito, per usare una terminologia in voga, tra rottamatori, coloro che vedono come ineluttabile la cessazione delle versioni tradizionali di testate quotidiane e periodiche, e riformatori, coloro che ritengono, come il mio caso, che la sfida da vincere sia quella della convergenza, dell’integrazione, assegnando a ciascun mezzo, carta inclusa, il suo ruolo e significato sia sotto il profilo dei contenuti che di contribuzione ai ricavi delle testate.

Come dissi allora la casistica disponibile dimostra che spesso il passaggio è una fuga più che una scelta che ha portato al successo.

E’ di pochi giorni fa l’annuncio della messa in vendita del settimanale statunitense. Vendita che, secondo quanto dichiarato dal CEO Baba Shetty e dall’editor-in-chief Tina Brown, in un memorandum interno sarebbe motivata dall’essere riusciti ad abbattere i costi, rendendo dunque appetibile l’acquisto della testata, e dall’eccesso di “distrazione” che la gestione del periodico implica rispetto alla testata madre: «The Daily Beast».

Che il magazine stesse toccando il fondo lo si era capito dalla copertina del primo numero digitale e dalle parole di Barry Diller, CEO di IAC, la compagnia che controlla, anche, il periodico in questione, che aveva affermato candidamente di essere pentito di aver acquistato «Newsweek» da Washington Post Co.

A complemento del quadro arrivano i dati pubblicati ieri da The Pew Research Center’s Project for Excellence in Journalism che mostrano in tutta la sua crudezza la negatività dei dati del settimanale sia in assoluto che rispetto alla performance delle testate concorrenti. Negatività ulteriormente accentuata dal passaggio alla versione all digital con un crollo degli abbonamenti da 1.5 milioni di copie a fine 2012 a 470mila nel primo trimestre di quest’anno e con anche gli utenti unici online in picchiata dai 2.9 milioni di gennaio ai 1.9 milioni di aprile.

Una previsione che non era difficile a farsi considerando che negli USA, nonostante siano raddoppiati rispetto all’anno precedente, i lettori di riviste in edizione digitale rappresentano un misero 1.4% del totale. Nella maggioranza dei casi pare essere prevalente un modello “misto” con la vendita abbinata di carta+digitale ed anche le proiezioni effettuate, sempre da PEW, in “State of the News Media 2013” indicano che i ricavi da digitale per i periodici peseranno il 14.5% del totale nel 2016.

La capacità dunque di realizzare un prodotto editoriale che sia apprezzato, di qualità, e fruibile in egual maniera indipendentemente da dove è distribuito, complementare anche ai diversi momenti di lettura dell’informazione che, ancora una volta, si integrano tra loro, sarà, è, uno dei punti chiave. Il grafico impietoso del confronto tra «Newsweek» e «Time» ne è la dimostrazione più evidente, direi.

Time_and_Newsweek_Subscriptions_Over_Time

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