Prospettive & Modelli di Business dell’Informazione Digitale

Il tema di quali prospettive e quali modelli di business siano realisticamente perseguibili per l’informazione digitale è centrale rispetto all’evoluzione dell’ecosistema dell’informazione.

Al contributo, agli spunti offerti dalle riflessioni di Stefano Quintarelli, si è aggiunta ieri la visione a tutto tondo, come sempre da leggere con attenzione, di Luca De Biase.

Dopo aver analizzato la scorsa settimana l’ambiente, la filiera editoriale tradizionale, cercando di identificare le potenziali aree di recupero di efficenza e redditività in tale ambito, come promesso, è ora la volta dell’online e più in generale del digitale.

Le più recenti, e qualificate, analisi dell’evoluzione e del macroscenario di riferimento sono state effettuate dalla Columbia University Review che ha rilasciato a maggio di quest’anno un rapporto di analisi dei modelli di business dell’informazione digitale [ottimo il lavoro di traduzione integrale dello studio CJR che gli amici di LSDI stanno svolgendo] e, con specifico riferimento all’Italia, grazie alla ricerca presentata a marzo dall’Osservatorio New Media & Tv della School of Management del Politecnico di Milano.

In entrambi i casi appare chiaro come la transizione, l’evoluzione verso il digitale non offra complessivamente prospettive significative in termini di ritorni econonomici  nel breve – medio periodo, come aveva già segnalato Poynter nel 2005 , immaginando tassi di crescita ottimistici del 33% all’anno, ipotizzava che i ricavi del digitale avrebbero impiegato ben 14 anni [si parla dunque, nella migliore delle ipotesi, della fine di questo decennio]  per raggiungere quelli della carta stampata. E’ chiaro, altrettanto, che non essendoci stato questo tasso di crescita ed in funzione dell’abbattimento, sin ora, delle tariffe ai quali vengono venduti gli spazi pubblicitari online, il periodo si dilata ulteriormente.

- Incidenza dei Media in Italia - Fonte: Osservatorio New Media & Tv

Il modello di business dell’informazione online ricalca fondamentalmente, sin ora, quello tradizionale con attese di ricavi per gli editori dalla vendita di spazi pubblicitari e di abbonamenti, di pacchetti, per poter fruire dell’informazione pubblicata.

Sul tema della comunicazione pubblicitaria online e sui ritorni che può generare per gli editori, ed in particolare per i quotidiani on line, mi concentrerò, completando la trilogia di analisi di scenario e prospettive, a breve. Jeff Jarvis, anche in questo caso, ne ha recentemente definito puntualmente i contorni, chiarendo quale sia la problematica di fondo in quest’ambito.

In chiave più strettamente informativa, e di propensione da parte del lettore a pagare per la stessa, il contributo più interessante arriva da Lynne K. Brennen, Senior Vice President Circulation di Dow Jones & Company, editore di The Wall Street Journal newspaper ed altre testate.

In un articolo pubblicato sul sito dell’International News Marketing Association la brillante manager propone un algoritmo, una formula di calcolo di media ponderata, che identifica la propensione delle persone a pagare l’informazione incrociando tipo di piattaforma e contenuto.

La Brennen identifica 5 drivers assegnando a ciascuno di essi un peso specifico in termini di rilevanza:

Complessivamente, in base a questi fattori ponderati, la miglior valutazione è per i tablet che ottengono un punteggio di 100, seguiti dai giornali di carta con 60 e dalle edizioni online dei quotidiani con 38. Marginali smartphones e social network.

Indicazioni estremamente interessanti che, da un lato, vanno incrociate con la penetrazione di ciascuna piattaforma e, dall’altro lato,  adattate, personalizzate per un’analisi specifica della singola realtà aziendale.

La chiave del successo sembra risiedere essenzialmente in due fattori: forte specializzazione e valore, anche in termini di permanenza, di durata, dei contenuti, combinati con una grandissima attenzione, in termini di monitoraggio, delle informazioni ottenute grazie al tracking dell’utenza online, ai quali, con specifico riferimento ad informazioni economico – finanziarie, va aggiunta l’importanza dell’informazione in tempo reale, e dunque necessariamente digitale/online, che rappresenta maggiormente un valore aggiunto in tale ambito.

E’ probabilmente impossibile, e forse sbagliato concettualmente e metodologicamente, trarre una lezione generale applicabile a contesti diversi sulla possibilità di valorizzare i contenuti online. Se una va proposta risiede certamente a mio avviso nella [ri]definizione della customer value proposition  per la realizzazione di proposte di successo in ambito editoriale. Su questo fronte la strada della specializzazione, a parità di condizione, potrebbe essere vincente nell’attuale scenario competitivo caratterizzato da frammentazione di interessi e sovrabbondanza di informazione. Se siete arrivati a leggere sin qui significa che si tratta di un tema che vi interessa e vi coinvolge, qualunque commento o integrazione è, come sempre, non solo gradito ma auspicato.

Nei prossimi giorni, come anticipato, completerò la visione concentrandomi sulla terza variabile: la comunicazione pubblicitaria e e le revenues che può realisticamente generare per l’informazione online.

3 commenti

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3 risposte a “Prospettive & Modelli di Business dell’Informazione Digitale

  1. Trovo interessantissima la documentazione proposta. Ma, anche a rischio di sembrare velleitariamente sempliciotto, proprio i dati riportati mi confermano nella posizione che ho tentato di illustrare nel mio libro “Sono le news Bellezza, vincitori e vinti nella guerra della velocità digitale”.Ossia che la transizione al digitale non ci annuncia un innovazione di processo ,ma un cambio, radicale, dello stesso paradigma economico che guida il mercato dei contenuti.Anzi per meglio dire, più che una trasformazione, siamo in presenza di un cammino ripreso, dopo la parentesi fordista. Infatti se andiamo a vedere, sono proprio i 250 anni di produzione verticale e gerarchicizzata dell’industrializzazione macchinista ad avere stravolto le modalità di produzione e diffusione dell’informazione, riconducendole ad una logica mercatista. La comunicazione nasce come esperienza condivisa, scambiata, donata, o celata, ma mai venduta. I passaggi dalla tradizionale orale alla scrittura, e poi dalla personalizzazione del documento scritto, con l’avvento del libro che sostituisce la pergamena, e infine con l’esploisione della stampa, si stringe sempre più lo spazio sociale dell’informazione a vantaggio delle prime forme di business. Negli ultimi 250 anni , con gli enciclopedisti che lanciano il marketing del libro privato, e con il prendere forma della macchina giornale, dove un apparato industriale trasforma i rumori della strada in merce quotidiana, si impone la value proposition dell’informazione. Ora la Rete, in particolare con la versione del web 2.0, reintroduce uno spazio pubblico dove non solo circolano, ma si formano e formattano le informazione negli standard cross mediali.
    Qualcuno si fa male in questi passaggi? certo, i mediatori. Tutti i mediatori cominciano ad essere incalzati dalla crescita della consapevolezza sociale: giornalisti, avvocati, medici, insegnanti.
    Le notizie, come la musica e le immagini, diventano commodities. E non è assolutamente detto che in futuro dare una notizia sarà un mestiere retribuito e diffonderla un’impresa economica.
    Semmai a diventare un patrimonio industriale sarà invece la capacità di dare forma all’algoritmo per forme di research e retrieval di contenuti sempre più personalizzate e individuali. Il giornale, come dice giustamente il vecchio Murdoch, sarà sempre più un centro servizi per il cliente finale e sempre meno un volano di contenuti per generici lettori. Il digitale così si dimostra innanzitutto una fabbrica, prima che una vetrina, e la macchina giornale , fortemente dimagrita e alleggerita economicamente, sarà uno dei tanti servizi che l’impresa editoriale distribuirà per campare.Ma tutto questo è il frutto di una straordinaria espansione della consapevolezza e dei saperi sociali, non un’ autunno di mediocrità.Grazie a Dio avremo meno bisogno di giganti sulle cui spalle salire per guardare più lontano

  2. pedroelrey

    Caro Michele,
    Ho appena ordnato il tuo libro che, pur avendo visto in libreria all’uscita, [colpevolmente] non avevo ancora letto.
    Capisco e condivido gli ideali che trasmetti, non a caso per questo spazio alla definizione canonica di blog preferisco quella di TAZ – https://giornalaio.wordpress.com/2011/07/05/le-11-cose-che-credo-di-avere-imparato-curando-questa-taz/
    Quoto in pieno, in ambito digitale, questo tuo passaggio: “diventare un patrimonio industriale sarà invece la capacità di dare forma all’algoritmo per forme di research e retrieval di contenuti sempre più personalizzate e individuali” ed infatti fa parte delle conclusione che traggo nella mia [mini] analisi di scenario.
    Sono decisamente meno ottimista sul resto poichè nella realtà dei fatti di assiste sempre più ad un iperconcentrazione dei media alla quale la Rete non si sottrae – https://giornalaio.wordpress.com/2011/07/20/concentrazione-di-poteri/
    Grazie del tempo e dell’attenzione che hai dedicato alla lettura ed al commento.
    Pier Luca Santoro

  3. Michele, ritrovo nel commento argomenti del suo precedente “Media senza Mediatori” [in attesa di iniziare “sono le News Bellezza!] e l’occasione e’ ghiotta per fare tre domande:

    [1] quello che si dice nel commento a proposito di notizie, e’ valido anche per la conoscenza? Mi spiego: non credi che un patrimonio altrettanto importante [e non solo dal punto di vista industriale] sia il lavoro del giornalista professionista di guida per i lettori [i.e. Cittadini] alla contestualizzazione e “significazione” della notizia “nuda e cruda” verso la Conoscenza di un determinato argomento?

    [2] La frase con cui termini il commento mi fa pensare alla fiducia riposta nei lettori [sempre Cittadini] ma, anche per completare il quesito di prima, non ritieni che senza un interprete si rischia di “affogare nel flusso” [per quanto in un agire facilitato dal research e retrieval]?

    [3] “La comunicazione nasce come esperienza condivisa” citando dal commento, ma…questo non dovrebbe avere una declinazione piu’ sistemica nell’ecosistema di chi sta nell’informazione [intendendo – banalizzo molto – sia “chi scrive”, sia “chi legge”?] Parlo di una integrazione delle/nelle piattaforme di Social Networking da parte delle Testate.

    Grazie e, ovviamente, le domande sono per tutti :))

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